Segni dal cielo
È tutta colpa di Giotto. Quando dipinse l’Adorazione dei Magi, negli anni tra il 1303 e il 1305, ebbe l’idea di raffigurare il generico (e non meglio identificato) fenomeno celeste di cui parlano i Vangeli dipingendo, sopra la capanna, una stella con una lunga coda. Si pensa che Giotto avesse visto la cometa di Halley, apparsa nel 1301, e ne fosse rimasto impressionato al punto da usarla nel dipinto. Sia come sia, da allora, per colpa sua, dici cometa e pensi al Natale. Quindi, quando è sembrato che quest’anno potessero esserci non una, ma addirittura due comete visibili durante le feste, la gente è andata al settimo cielo (ah-ah). Purtroppo, una delle due, ISON, si è sbriciolata durante il passaggio attorno al Sole. Resta l’altra, Lovejoy C/2013 R1: chissà che fine farà, ma probabilmente non darà un grande spettacolo a occhio nudo.
Sono capricciose, le comete: difficile prevedere come si comporteranno. E il rapporto del genere umano con questi oggetti celesti, bisogna dirlo, non è dei più sereni: in passato, si sa, la reazione più frequente quando improvvisamente ne appariva una era interpretarla come annuncio di imminenti carestie, pestilenze, invasioni e altre sfighe assortite. Prendiamo proprio la cometa di Halley, quella che ispirò Giotto e che da molti secoli si ripresenta all’incirca ogni 75 anni. Be’, secondo una leggenda che non trova conferma nei documenti storici e che è probabilmente falsa — ma che forse dice qualcosa sul clima che si respirava — nel 1456 Papa Callisto III arrivò a darle la scomunica, alla cometa. Ma ancora nel 1910, cioè al penultimo passaggio, in pieno positivismo, ci fu il boom nella vendita di maschere antigas, perché qualcuno aveva alimentato il timore che i gas contenuti nella coda avrebbero potuto avvelenare l’atmosfera terrestre. C’erano poi sempre quelli particolarmente megalomani, che pensavano che l’apparizione della cometa riguardasse proprio loro. Per prenderli in giro, Mark Twain, che era nato con la cometa del 1835, nel 1909 scrisse che ci sarebbe rimasto molto male se non fosse morto con il passaggio successivo, l’anno dopo. In effetti morì davvero nel 1910.
Il fatto è che a noi esseri umani piace pensare che ci sia un ordine, nelle cose celesti e non solo, e che se sappiamo leggere bene i segni possiamo capire qualcosa di quello che ci aspetta in futuro. Il nostro cervello è una formidabile macchina per elaborare i segnali. Ci siamo evoluti così, imparando a cogliere intorno a noi avvisaglie minime di pericolo, provando a estrarre previsioni affidabili sul nostro futuro dagli incerti e caotici stimoli in cui siamo continuamente immersi. Ne andava della nostra sopravvivenza. Ci allarmiamo facilmente — meglio spaventarci per nulla che sottovalutare un pericolo reale. Solo con enorme fatica ci siamo educati ad andare oltre la reazione istintiva, ad addomesticare le impressioni viscerali, trasformandole in analisi più razionali. Appare la cometa, e la prima reazione è: panico! Calma, dice invece Halley: ragioniamo. Spulcia gli annali, studia i dati, e si accorge che l’apparizione della cometa è un evento ricorrente, che è stato registrato molte volte nel corso della storia. C’è una regolarità. Il suo amico Newton ha appena trovato una legge di gravitazione universale che si applica a qualunque corpo materiale, quindi anche alle comete. E allora Halley calcola, e calcola, e prevede che la cometa ritornerà. Lui è già anziano, e sa che non sarà lì a vederla. Ma in effetti la cometa torna davvero. La meccanica newtoniana trionfa: l’universo sembra un orologio, ogni sua parte segue traiettorie precise e perfettamente calcolabili, se solo si conoscono le condizioni di partenza e le leggi di natura. Dato A, segue B. Tutto è determinato. Il matematico Laplace la mette giù dura: un’intelligenza in grado di conoscere perfettamente la velocità e la posizione di ogni particella esistente, dice lui, e tutte le forze in gioco, sarebbe in grado di prevedere completamente il futuro.
Col tempo, però, si è capito che le cose non sono così pulite. Quando i sistemi diventano complessi, piccoli errori nelle condizioni iniziali si amplificano. Da A segue B, certo, ma da quasi-A non segue quasi-B: segue C. Il mondo reale è caotico, fare previsioni accurate è complicato: in molti casi, di fatto, impossibile. Se anche le leggi di natura fossero fondamentalmente deterministiche (ed è una questione dibattuta e ancora irrisolta), ai fini pratici la casualità gioca un ruolo enorme.
Noi stessi siamo qui per una lunga concatenazione di eventi accidentali. Il nostro pianeta ha preso forma in un caos di collisioni. Chi l’avrebbe detto che un giorno sarebbe diventato così bello e ospitale, stabilizzandosi proprio alla distanza giusta dal Sole per permettere l’origine di forme viventi? Sbagli di poco, cambi una virgola, e fai la fine di Venere o di Marte, fantasmi di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Le prime fasi di vita della Terra sono state segnate da continui impatti di tremenda violenza con i detriti rimasti in orbita dopo la formazione del sistema solare. Per centinaia di milioni di anni, il bombardamento è stato così frequente che non riusciva neppure a formarsi una crosta solida. La Terra era un inferno di magma. Poi i pianeti più grandi hanno ripulito le orbite e le cose si sono un po’ calmate. È arrivata anche l’acqua, e probabilmente l’hanno portata (almeno in parte) proprio le comete.
Si perché oggi sappiamo che questo sono, le comete: gigantesche palle di ghiaccio. Materiale di costruzione avanzato dalla nascita dei pianeti. Se ne stanno lontane, nelle fredde regioni esterne del sistema solare, calme e tranquille, finché una perturbazione, un disturbo casuale, non ne spinge una su un’orbita eccentrica, facendola passare dalle nostre parti. Ad alcune di loro è capitato di schiantarsi sul nostro pianeta, nel corso della sua lunga storia, depositando il loro contenuto sulla sua superficie. La prossima volta che berrete un bicchiere d’acqua, pensate al viaggio che ha fatto.
E non solo l’acqua. Forse anche le prime molecole organiche complesse — i mattoni da cui è iniziata la vita — sono arrivate così, a cavallo di una cometa. Ed è stato ancora un altro impatto, 65 milioni di anni fa, a togliere di mezzo i dinosauri. Erano i padroni del pianeta, c’erano stati per tantissimo tempo. Chi avrebbe potuto prevedere che sarebbero spariti così all’improvviso, lasciando campo libero a piccoli mammiferi pelosi sopravvissuti (per caso) alla catastrofe? Senza quel botto accidentale, le cose avrebbero preso una piega diversa, e quasi certamente noi oggi non saremmo qui.
Quanto durerà? Chissà. Forse il futuro è scritto o forse no, ma in ogni caso noi non possiamo prevederlo se non in casi particolari e circoscritti, e in modo molto limitato. E però che altro possiamo fare, se non imparare a leggere sempre meglio e nel modo giusto – con la ragione e con la misura – i segni che vediamo intorno a noi, provando a volgerli a nostro favore, per quanto possiamo?