Il problema con l’Ig Nobel
Confesso di avere qualche difficoltà con gli Ig Nobel, ovvero quei premi istituiti nell’ormai lontano 1991 dalla rivista scientifico-umoristica Annals of Improbable Research e assegnati ogni anno a ricerche scientifiche che dovrebbero, secondo gli ideatori, “prima far ridere la gente e poi farla pensare”. Quando si avvicina il momento dell’annuncio dei vincitori comincio a avvertire un senso di fastidio per il tono che – lo so già – avranno molti degli articoli e dei servizi che commenteranno la notizia.
In effetti il mio problema non è tanto con gli Ig Nobel, ma con il modo in cui essi rischiano di essere percepiti al di fuori del mondo scientifico, soprattutto nel nostro paese. Le ricerche premiate sembrano confermare il pregiudizio negativo della (cospicua) parte di opinione pubblica, di intellettuali e di politici maldisposta nei confronti della scienza. Ovvero: gli scienziati perdono tempo in attività inutili, sono infantili, eccentrici o pazzi, e sprecano denaro (il nostro, sottinteso). Immancabilmente, anche quest’anno ci siamo dovuti sorbire le ironie sui fisici che studiano la forma delle code di cavallo.
Ora, se uno si va a leggere la pagina originale dell’Ig Nobel, trova scritto:
“I premi hanno l’intento di celebrare l’insolito, onorare l’immaginativo, e incentivare l’interesse delle persone per la scienza, la medicina e la tecnologia.”
e a domanda diretta: “State mettendo in ridicolo la scienza?” gli organizzatori rispondono:
“No. Stiamo onorando risultati che fanno ridere la gente e poi la fanno pensare. I buoni risultati possono anche essere strani, buffi e persino assurdi; e così i cattivi risultati. Molta buona scienza viene attaccata a causa della sua assurdità. Molta cattiva scienza viene ammirata nonostante la sua assurdità.”
Insomma, l’intento originale non era quello di mettere alla gogna gli autori delle ricerche premiate (in effetti, i vincitori accettano di buon grado di partecipare alla cerimonia, che ricalca in modo semiserio quella dei premi Nobel) ma semmai quello di far capire che la ricerca scientifica è mossa soprattutto dalla pura e semplice curiosità, o almeno così dovrebbe essere. E che la bontà di una ricerca non si dovrebbe giudicare dalla rilevanza dei suoi risultati, o dall’aderenza a linee di indagine ritenute, in un certo periodo storico, più produttive (o più alla moda), ma unicamente dal rispetto del metodo scientifico e dell’etica professionale da parte di chi la fa. Perché non si può sapere in anticipo se una ricerca apparentemente strampalata sia in realtà il preludio a una scoperta che potrebbe cambiare la vita delle persone. E lo stesso scienziato che un anno vince l’Ig Nobel per aver fatto levitare una rana in un campo magnetico, dieci anni dopo può vincere il Nobel per aver trovato, giocherellando con un rotolo di nastro adesivo, un modo efficiente (e economico) per isolare il grafene. Come diceva Isaac Asimov (citato sul sito degli Annals of Improbable Research): “La frase più eccitante che ci può capitare di ascoltare nella scienza, quella che annuncia nuove scoperte, non è ‘Eureka!’ ma ‘È buffo…'”
In un’epoca in cui anche nella valutazione della ricerca scientifica si stanno affermando criteri improntati all’iperproduttività e all’appiattimento culturale, sarebbe bello recuperare un po’ dello spirito di sano divertimento intellettuale che anima gli Ig Nobel. Il fatto è che per apprezzare quello spirito – e per non fraintenderne le buone intenzioni – bisogna avere non soltanto una buona cultura scientifica, ma anche una certa predisposizione per l’umorismo intelligente, oltre che un’inclinazione a non prendersi sul serio: peccato che da queste parti i Monty Python e The Big Bang Theory non abbiano mai avuto molto successo. Siamo la patria mondiale dell’accademico trombone, preferibilmente umanista. E così quello quello che resta dell’Ig Nobel, ogni anno, è qualche nota di colore, una sfilza di ricerche di cui nessuno capisce lo scopo, e un po’ di cervelloni malvestiti e spettinati che si lanciano i cartoccetti.