La scienza, l’uomo, il futuro
Ho letto, su Repubblica, un botta e risposta tra Umberto Veronesi e Vito Mancuso. Veronesi dipinge un futuro trasformato dalla scienza e da una serie di invenzioni mirabolanti nel campo delle nanoscienze, non si sa quanto davvero a portata di mano: onestamente sembra un po’ di leggere certe previsioni degli anni Settanta che dicevano che nel Duemila avremmo avuto la macchina volante, i robot domestici, e le vacanze sulla Luna. Si sa poi come è andata. Ma insomma, il messaggio di fondo è ottimista: la scienza è al servizio dell’uomo, i ricercatori lavorano per migliorare le condizioni di vita dell’umanità.
Ribatte Mancuso. Comincia premettendo che a lui la scienza piace tanto, e che ne sfrutta i vantaggi come tutti. Poi, però, dice che diffida. Di cosa? Della scienza col complesso di superiorità, degli scienziati che intervengono sulla natura umana e che pensano che l’umanità si debba fidare di loro perché così la vita sarà migliore. Sembra quasi che Mancuso pensi che gli scienziati non facciano parte dell’umanità, ma forse mi sbaglio. Poi continua parlando di questa famigerata società nanoscientifica evocata da Veronesi, che francamente non si è ben capito cosa sia, se non che a Mancuso fa molta paura perché ci sono gli scienziati che ti mettono nel sangue i microorganuli (da non confondere coi microgranuli: quelli gli scienziati li mettono nei dentifrici), così poi puoi correre per tre ore senza respirare. Evviva, gridano tutti (ma tutti chi?), e invece no, dice Mancuso, perché chi stabilisce cosa è buono per l’uomo? Attenzione, continua, perché un uomo che corre senza respirare poi parla senza pensare e vive senza amare (ma potrebbe anche amare senza respirare o correre senza parlare, dico io). A questo punto salta fuori Einstein, e ci mancherebbe. Einstein, poveretto, deve aver passato buona parte della sua vita a pronunciare e scrivere frasi che fossero citabili in qualunque contesto. Comunque, Einstein, nelle frasi riportate, parlava di lotta alla guerra e di limitazione degli armamenti, ma Mancuso dice che vabbe’, in fondo fa lo stesso, perché il messaggio è che la ricerca scientifica deve essere guidata dall’etica. Come non essere d’accordo? Qui però uno si aspetta che Mancuso, da filosofo, approfondisca il discorso, dandoci qualche opinione, qualche spunto di riflessione, su quale sia la fonte dell’etica. Lo stato? La chiesa? I filosofi? Gli scienziati stessi? I comitati di cittadini? Non si sa. Peccato.
Però occhio, continua Mancuso: alla scienza servono enormi finanziamenti pubblici e supporto politico, e quindi non può fare quello che vuole: deve decidere la comunità umana (di cui, se abbiamo capito bene, non fanno parte gli scienziati). Su questo punto mi sento di rassicurare Mancuso: nel nostro paese la scienza non ha né enormi finanziamenti né supporto politico, quindi non c’è problema. Ma il pericolo è comunque in agguato, secondo Mancuso, perché la società nanoscientifica, sempre lei, potrà imporre all’individuo uno standard di salute fisica e mentale predefinito invadendolo di questi maledetti microorganuli: e sarebbe un peccato, sempre secondo Mancuso. Perché? Perché in base a questo standard predefinito (non si sa quale, ma si ha il sospetto che si tratti di semplice buona salute), non avremmo avuto Michelangelo, Leopardi, Nietzsche, Van Gogh, Tolstoj, ecc. Questi grandi uomini, infatti, imbottiti di microorganuli, avrebbero pensato solo a fare jogging ogni mattina (per tre ore senza respirare, ricordiamo) dopo una colazione a base di cereali (americani e ogm, aggiunge Mancuso per chiarire meglio come la pensa).
E qui è il caso di farsi seri, di lasciare la società nanoscientifica alle fantasie dei futurologi, e di ricordare un po’ di cose sulla realtà in cui viviamo. Per esempio che mettere la sofferenza fisica e il disagio mentale alla base della grandezza artistica è un argomento debole (che la grande arte nasca dal dolore è un luogo comune romantico, ma siamo sicuri che sia anche vero?) e anche pericoloso. Un argomento al quale si potrebbe obiettare che se, per avere Van Gogh, migliaia e migliaia di persone hanno dovuto soffrire le pene dell’inferno, preda di disagi psichici e fisici che oggi si curano facilmente grazie ai farmaci di sintesi, be’, allora forse è il caso di tenersi i farmaci e di rinunciare ai quadri coi girasoli. Ma fortunatamente le cose non sono così semplici. E le parole di Mancuso suonano involontariamente ironiche in un paese come l’Italia dove, tanto per fare un esempio, la legge rende la vita molto difficile a genitori portatori di anomalie genetiche anche gravi che vogliano mettere al mondo un bambino sano, nonostante la scienza dia loro tutti i mezzi per farlo. Non è la scienza, quindi, a imporre alla comunità umana del nostro paese uno standard di salute fisico e mentale. Se poi, un giorno, qualcuno vorrà aiutarci a capire su cosa fondare un’etica che non sia basata unicamente sull’irrazionalità e sulla paura del nuovo (possibilmente facendo uno sforzo per capire cosa fanno davvero gli scienziati, e senza trattarli da personaggi di un tecnothriller alla Crichton), qui troverà orecchie pronte ad ascoltare.