Il senso di Report per la scienza
Nel pezzo di mondo che frequento io, c’è un po’ di fastidio per il modo in cui Report – trasmissione che gode di grande fama per la qualità delle sue inchieste – si confronta con questioni che hanno in qualche modo a che fare con la scienza. Che si tratti dei danni dei telefoni per la salute, dei rischi dell’ingegneria genetica o della pericolosità dell’aspartame, la sensazione è che quando c’è da capire qualcosa usando il metodo scientifico – quando bisogna andare a spulciare la letteratura tecnica, a soppesare le competenze, a confrontare prove e dati – Report tenda, come dire, a semplificare un po’ troppo, a scegliere la strada più breve verso una tesi che fatalmente è quella in grado di titillare certi istinti emotivi del pubblico.
È una sensazione che diventa tanto più forte quanto più si è esperti dell’argomento trattato. Ma, in generale, nel pezzo di mondo che frequento io – che è fatto di gente che ha dimestichezza col modo di procedere della scienza ma anche, spesso, una qualche idea delle tecniche di comunicazione usate dei mass media – la sensazione è, per dirla un po’ brutalmente, che Report abbia una qualche diffidenza verso la scienza (che è una sola, con buona pace di chi si ostina a contrapporre una scienza “ufficiale” cattiva con una inesistente scienza “alternativa” buona), e che scelga di orientare le sue inchieste verso una direzione che, a essere cattivi, potremmo definire di massimo allarme o, a essere più benevoli, di massima precauzione.
Oggi, la mia casella di posta è invasa da messaggi di colleghi astrofisici giustamente molto irritati verso l’anticipazione della prossima puntata di Report, che andrà in onda domenica prossima. Puntata che non avrebbe nulla a che fare con la scienza: si parla infatti di banche, di licenziamenti, e di bilanci: quelli del Monte dei Paschi di Siena, in particolare. Insomma, il pane quotidiano di una trasmissione d’inchiesta come Report. Sennonché, a un certo punto, si parla dei soldi spesi dalla fondazione omonima, sottolineando come accanto a “tante cose buone”, la fondazione, in tempi di crisi, abbia finanziato anche “tantissime astrusità”: tra cui, per esemplificare, una borsa di studio di 20.000 euro per studiare “Omega Centauri, il possibile anello di congiunzione tra gli ammassi globulari e le galassie sferoidali nane”. Per apprezzare appieno il tono ironico del giornalista dovete andare al minuto 2:17 del filmato sul sito della Rai. Ora, a parte che, per quanto strano possa sembrare all’autore del servizio, non c’è niente di ridicolo in questo studio (che, peraltro, ha portato a diverse pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali). E anzi, contrariamente alle intenzioni del giornalista, la cosa si trasforma in un megaspot per la fondazione, che almeno mette dei soldi (pochi, ma ce li mette) là dove ormai bisogna cercarli col lanternino. Ma il punto è: che differenza c’è tra chi rubrica sbrigativamente la spesa per la ricerca scientifica nel calderone delle spese inutili e degli sprechi, e chi, passando dalle parole ai fatti, quelle spese le taglia? E chi c’è rimasto, ormai, a difendere la ricerca e la scienza in questo paese, e a fare uno sforzo per capire di cosa si occupa, anche quando non è facile?