Raccontare le cose
L’altra sera è successa una cosa. Alla tv, su La7, hanno mandato in onda in prima serata uno spettacolo di Marco Paolini. Gli spettacoli di Paolini, per quei due o tre che non ne avessero mai visto uno, funzionano così: c’è Paolini – che è un attore che potremmo definire specializzato in monologhi – su un palco allestito con una scenografia minima o quasi inesistente, che racconta delle cose, per due o tre ore. Punto. Questi spettacoli Paolini normalmente li fa a teatro, in giro per l’Italia, ma qualche anno fa qualcuno ebbe l’idea, e il merito, o l’incoscienza, di farlo andare in televisione, e Paolini riuscì a tenere inchiodata davanti allo schermo un bel po’ di gente, raccontando per filo e per segno quello che era successo alla diga del Vajont e alle persone che abitavano nella valle, quando ci fu la sciagura. Da solo. Una cosa che uno dice non può funzionare – invece funziona benissimo. Inizi a sentirlo raccontare e non te ne vai più. Io ho davanti agli occhi un’immagine precisa dell’acqua che va da un lato all’altro della valle, ma non l’ho mai vista davvero quell’immagine, l’ho solo sentita raccontare da Paolini. E insomma, quello spettacolo, portato in televisione, andò benissimo, e anche chi prima non ci credeva capì che una cosa del genere poteva funzionare. Da allora Paolini si è riaffacciato in televisione diverse volte, parlando di temi sempre piuttosto impegnativi e tenendo ogni volta incollate davanti alla televisione parecchie persone. Parecchie nel senso di molte.
Benissimo. La cosa che è successa l’altra sera è che Paolini, su La7, ha parlato di Galileo. Anche questo è uno spettacolo che da un po’ di tempo porta in giro per l’Italia, non solo nei teatri ma anche nelle scuole, che secondo me è una gran bella cosa. Ah, ecco un’altra cosa importante: Paolini, quando va in televisione, di solito sceglie di ambientare il suo racconto in un posto particolare, che abbia qualche attinenza con il tema. Per parlare di Galileo è andato sotto il Gran Sasso, nei laboratori dell’INFN. Ora, sì, Galileo è Galileo, ci mancherebbe, e c’è il processo e l’inquisizione e compagnia bella, quindi uno potrebbe dire che la scienza c’entra e non c’entra, c’entra più la storia. E invece no, perché Paolini ha parlato anche del Sidereus Nuncius, e di Tolomeo e di Copernico e di Keplero, e ha pure reinterpretato alla maniera della commedia dell’arte (in veneto stretto, e io l’ho capito lo stesso) il famoso discorso della stiva, che è uno dei momenti fondanti della fisica moderna. Quindi, riassumendo, Paolini è andato in tv, in prima serata, a parlare di scienza, in un posto di scienza, e la cosa è andata avanti per un paio d’ore buone – e poi c’è stato anche un seguito, con interviste a ricercatori che lavorano sotto il Gran Sasso, e Paolini che girava tra gli esperimenti e li spiegava. E li spiegava bene. Il tutto è andato avanti fino all’una passata e, a quanto pare, è stato visto da parecchie persone, nel senso di molte. Dicono (lo dicono quegli apparecchi che alcune famiglie hanno in casa e che servono per misurare la cosiddetta audience) che ci fossero, davanti alla televisione, a guardare Paolini che parlava prima di Galileo e poi addirittura di materia oscura, un milione e mezzo di persone, più o meno. Che secondo me sono parecchie. Nel senso di molte.
Dal che, deduco alcune cose. Intanto che non è vero che non si può parlare di scienza in televisione perché alla gente la scienza non interessa (voi non ci crederete ma c’è chi la pensa così, e di solito fa il funzionario televisivo). No: alla gente – non a tutta, magari, ma comunque a parecchia – piace sentirsi raccontare le cose bene, che si tratti di scienza o di qualunque altro argomento, anche impegnativo. E poi che non è vero che ci vogliono tanti soldi, per raccontare le cose bene. Può farlo anche una sola persona, su un palco semi-spoglio – a patto, però, che sia una persona che le cose le sa raccontare. Per raccontare le cose bene ci vuole fatica mentale, ci vogliono le idee, ci vuole il talento, ci vuole anche molta tecnica. Queste cose, se uno ha provato a raccontare, lo sa che ci vogliono, e si rende conto che non tutti sono capaci e non tutti sono Paolini, certo. Ma, appunto, a modo loro, da molti anni le conferenze TED, o le lectio magistralis nei vari festival della scienza, provano a fare la stessa cosa, a raccontare cose difficili in un modo che ti faccia venire voglia di stare a sentire. E funzionano – alcune di più, alcune di meno, ma funzionano, e la gente va a sentirle. Così come funzionava Baricco quando raccontava i libri o l’opera lirica, o funziona Benigni che racconta Dante, o Saviano che racconta la malavita organizzata.
Poi, certo, lo capisco, è più facile raccattare qualche vecchio documentario dalle pay tv americane, fare un po’ di taglia e cuci, e mandarlo in onda introdotto da una presentatrice o da un presentatore improvvisato. Solo, se poi quella roba non la guarda nessuno, non diamo la colpa alla scienza, o alla gente.