Da Eddington ai neutrini (passando per Einstein)
C’è una frase attribuita a sir Arthur Eddington, grande astrofisico e divulgatore, che dice, più o meno: non credete troppo nei risultati di un’osservazione fino a quando non sono confermati da una teoria (“It is also a good rule not to put overmuch confidence in the observational results that are put forward until they are confirmed by theory”). Sembra una battuta, una frase detta per amore di paradosso, e invece andrebbe presa molto sul serio.
Eddington era uno che ne sapeva. Nel 1919 aveva caricato su una nave tutto l’armamentario necessario a fare osservazioni ed era partito per l’isola di Príncipe, al largo delle coste occidentali dell’Africa equatoriale. Qualche anno prima, Einstein aveva previsto che ovunque c’è massa (e energia) lo spazio si curva come se fosse fatto di gomma. Già, roba pazzesca: ma come si fa a capire se è vero? Be’: se si curva lo spazio si curva anche il percorso della luce nello spazio. E allora, mettiamo che la luce di una stella lontana ci giunga passando radente al Sole: per via della curvatura, dovrebbe deviare leggermente, apparendoci spostata rispetto a quando il Sole non si trova lungo il percorso. Eddington si era messo in testa di capire se le cose stavano davvero così. Cosa difficile, perché quando nel cielo c’è il Sole le stelle non si vedono. Niente paura, pensò Sir Arthur: facciamo l’osservazione durante un’eclissi, quando il Sole è nel cielo, ma è oscurato. Guardiamo se le stelle attorno al disco del Sole sono nella solita posizione oppure no: se sono spostate, vuol dire che ha ragione Einstein.
Ecco il motivo della spedizione in nave: a Príncipe, nel marzo del 1919, era prevista un’eclissi di Sole. Le misure di Eddington mostrarono che le cose stavano esattamente come aveva previsto Einstein, e il resto è storia – gloria e prime pagine per il vecchio Albert, e tutto il resto. Ma cosa sarebbe successo se le cose fossero andate in modo diverso? Se cioè Einstein non avesse fatto nessuna previsione sulla curvatura dello spazio ma Eddington fosse andato lo stesso, per ragioni sue, a misurare la posizione delle stelle durante un’eclissi di Sole, accorgendosi, inaspettatamente, che non si trovavano nella posizione giusta? Sicuramente ci sarebbe stato un dibattito accanito, e i colleghi astronomi avrebbero con ogni probabilità provato a convincere Eddington che le sue misure erano tutte sbagliate. Se Eddington fosse stato assolutamente convinto di aver fatto tutto nel modo migliore avrebbe insistito, provando magari a convincere altri astronomi a ripetere le osservazioni per riprodurre il suo risultato. Ma anche se le misure fossero state confermate, esse sarebbero rimaste disorientanti in mancanza di una solida spiegazione teorica. Senza un Einstein, le osservazioni di Eddington sarebbero state rubricate nel campo delle anomalie suggestive ma di difficile interpretazione.
Insomma: esperimenti e misure sono il cuore del metodo scientifico, ma la scienza non è una semplice collezione di fatti, non è empirismo allo stato puro. Le cose bisogna capirle. Se i fatti non li sai interpretare non li capisci, e se non li capisci non puoi crederci davvero. Per certi versi, è come se non esistessero. Gli scienziati riescono a “credere” (notare le virgolette) a cose apparentemente assurde e lontane dal senso comune, come la materia oscura o, appunto, la curvatura dello spazio: e la ragione non è semplicemente che hanno osservazioni che suggeriscono quelle cose, ma anche che hanno modelli teorici sensati per spiegare l’origine fisica di quelle osservazioni. È un po’ come assistere a un gioco di prestigio: l’effetto è sconvolgente fino a quando non sai cosa lo produce. Uno volta che conosci il trucco – la teoria che c’è dietro – anche David Copperfield che attraversa la muraglia cinese diventa una cosa normale (non che io abbia mai capito come facesse, anzi: e, finché si tratta di godersi uno spettacolo, va benissimo non saperlo).
Questo è, credo, il senso della frase di Eddington. Nei giorni in cui cala il sipario sulla vicenda dei neutrini più veloci della luce, mi sembrava che valesse la pena ricordarla. Magari, tenerla presente un po’ di più potrebbe aiutare, in futuro, a evitare entusiasmi prematuri.