Pensieri cupi di inizio semestre
Libero da impegni didattici e accademici, l’estate è il periodo ideale per passare un po’ di tempo all’estero, per conferenze o in visita in qualche università. Una volta era il momento in cui facevi il pieno di stimoli, e potevi iniziare il nuovo anno accademico con la testa rimbombante di idee, e la fiducia o almeno la speranza che ne sarebbe venuto fuori qualcosa di buono. Adesso è semplicemente il periodo in cui tocchi con mano la vitalità del mondo accademico internazionale, prima di fare le valigie e tornare indietro, nel posto in fondo al baratro in cui è precipitata l’università italiana. Hai incontrato colleghi della tua età, persone che magari avevi conosciuto quando eravate insieme studenti di dottorato all’estero. Negli ultimi dieci anni avete fatto più o meno le stesse cose, ma loro adesso dirigono un gruppo di ricerca, hanno un laboratorio, sono responsabili di un progetto. Ti dici che la differenza l’ha fatta il contesto, il fatto che loro abbiano lavorato in un sistema sano, negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese europeo, mentre tu provavi a ossigenare il sangue di una balena che adesso si è spiaggiata e non tornerà più in mare aperto, un organismo in decomposizione, fatto di cellule vecchie che non saranno sostituite. Ma non cercare scuse. Potevi fare di più, dovevi fare di più. Forse, semplicemente, potevi andartene, dire qualche no in più, mollare la balena morente finché eri in tempo. Pensi ai tuoi connazionali che dai loro begli uffici a Princeton o a Berlino o a Cambridge ti danno lezioni di meritocrazia, fanno i nostalgici del loro paese che amano tanto, perché sì la pastasciutta e il sole e il mare, ma a tornare non ci pensano nemmeno, son mica scemi loro, ché il rientro dei cervelli è stato l’ennesimo trucco cosmetico di una classe politica che non sa quello che fa o forse lo sa fin troppo bene. Perché un sistema in difficoltà non lo si aiuta togliendogli il nutrimento e l’ossigeno, a meno che non si sia deciso di decretarne una pietosa eutanasia. E non farti illusioni, le cose stanno così, il corpo dell’università italiana apparentemente respira ancora, ma è un riflesso, sono le schiere di ricercatori ultraquarantenni che fanno un lavoro che non gli competerebbe a dare l’apparenza che qualcosa ancora si muova, ma l’encefalogramma è piatto, la testa è fatta di ultrasessantenni preoccupati soprattutto di rimandare il proprio pensionamento, che hanno perso il contatto con il mondo e non mandano più segnali e istruzioni all’organismo. E tutto attorno al cetaceo morente si agitano le energie dei giovani che premono per entrare dentro quel corpo. Dovevano esserne le parti di ricambio, ma ormai è tardi, saranno l’infezione che lo porterà al collasso. Pensi che quel calore che ancora avverti sia una cosa buona, un segno di ripresa, ma è solo l’ultima febbre.