Scuola: proviamo a provare
Consentire alle scuole di “uscire” dal sistema pubblico, autogestendosi e accettando di essere finanziate in ragione della loro capacità di attrarre allievi. “La necessità aguzza l’ingegno”: e quando, se non davanti a una crisi conclamata come quella della scuola italiana, è il caso di sperimentare idee nuove?
Idee per la crescita è un forum avviato dalla Bocconi e dall’Ente Einaudi della Banca d’Italia per produrre proposte di policy che aiutino la nostra economia a ritrovare slancio. L’eBook Liberiamo la scuola (uscito nella collana “Corsivi” del Corriere della Sera) è un interessante prodotto di questa riflessione collettiva. Lucia Quaglino qui ripercorre in modo puntuale i contenuti del pamphlet e della proposta che ne sortisce.
Gli autori vorrebbero consentire alle scuole di ogni ordine e grado, di ogni regione del Paese, di fare “opt out” dal sistema pubblico. Questo non in omaggio a un pregiudizio positivo nei confronti della scuola “privata” (la loro analisi non è indulgente verso gli istituti privati oggi esistenti), ma per provare a migliorare la qualità del servizio, consentendone una gestione meno ingessata. L’autonomia che essi vorrebbero concedere alle singole scuole infatti comprende:
– La definizione dei nuovi contratti di natura privata per la gestione di tutto il personale, insegnanti inclusi;
– Le assunzioni, i licenziamenti e le retribuzioni dei docenti che dovranno poter essere selezionati dalle scuole senza vincoli; in particolare non dovranno essere previste particolari certificazioni che i candidati insegnanti debbano conseguire per poter essere assunti da una scuola autonoma; l’evidenza empirica internazionale è infatti quasi unanime nell’affermare che non esista correlazione tra le certificazioni degli insegnanti e i risultati da loro conseguiti;
– L’offerta formativa, i programmi, le modalità di insegnamento e gli orari che dovranno poter essere definiti dalle scuole liberamente;
– La gestione del capitale fisico e delle attrezzature, inclusi acquisti e vendite di edifici scolastici.
Come si finanzia questa autogestione?
Al momento della transizione, le scuole, diventate autonome, riceveranno la proprietà di tutte le strutture e di tutti i beni materiali in dotazione alla scuola stessa in quel momento. Riceveranno inoltre un budget pari a quanto lo Stato ha speso mediamente per quella scuola negli ultimi cinque anni (…) Negli anni successivi al primo, ogni scuola autonoma riceverà fondi in proporzione agli studenti che riuscirà ad attrarre.
È difficile sintetizzare nello spazio di un post un progetto complesso e ben concepito, fino all’ultimo ingranaggio, come questo. Gli autori di Idee per la crescita hanno pensato a dribblare le obiezioni più comuni: ovviamente la competenze dei ragazzi che si formano nelle scuole autonome saranno verificate nei medesimi esami che aspettano i loro coetani della scuola di Stato, l’uscita dal sistema pubblica dovrà essere “votata” a livello di ogni istituto, la sperimentazione è “reversibile” dopo i primi cinque anni. La loro preoccupazione è quella di garantire la libertà di provare modi nuovi di organizzare i fattori di produzione del servizio-scuola, uscendo dalle rigidità che la gestione, inevitabilmente burocratica, della scuola “pubblica” determina.
Non sono sicuro che queste cautele renderanno meno scettici i sostenitori del monopolio pubblico senza se e senza ma, per i quali esso ha valore in quanto “simbolo”, non in quanto fornitore di un certo servizio. La proposta di “Idee per la crescita” risponde alla necessità di migliorare la qualità dell’istruzione suggerendo non un passaggio tout court a un sistema “competitivo”: ma semplicemente la possibilità di provarlo sul strada. Essa, non a caso, fa perno sulla volontarietà dell’uscita dal sistema. Questo è un principio che può avere un valore vieppiù rilevante, nei prossimi anni. La crisi nella quale ci troviamo, a meno che qualcuno non sia così folle da immaginare un aumento ulteriore del prelievo fiscale, ci costringe a pensare a modi nuovi con cui garantire l’erogazione di servizi che sono entrati, nel corso degli ultimi due secoli, nel perimetro dello Stato. Sperimentazioni di questo tipo possono essere un modo per verificare sul campo se e in che misura diversi “aggregati” di persone (fondazioni, associazioni non profit, imprese sociali e magari non solo) possono organizzare da sé la produzione di certi servizi.