La libertà di credere e la libertà di costruire
In Lombardia nel 2005 è stata approvata una legge “anti-minareto”, con cui la Regione ha “assoggettato a permesso di costruire” “i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi di culto”. La norma reagisce a una prassi apparentemente abbastanza comune in diverse località italiane. Gruppi di persone accomunate dalla fede religiosa (in particolare, musulmani) presentano al Comune una richiesta per poter fruire di locali pubblici da adibire a centro culturale. Una volta ottenuta la concessione degli spazi, ne viene chiesto il cambio di destinazione d’uso, pur in assenza di modifiche ai piani urbanistici, allo scopo di adibire i locali a luogo di culto.
In ragione della legge lombarda, secondo il Corriere della Sera, nell’ultimo anno hanno chiuso 23 chiese evangeliche (le comunità riformate contano, nella Regione, circa 40 mila fedeli). Un pastore evangelico, commentando la chiusura di diversi luoghi di culto nella bergamasca ha spiegato:
«Solitamente affittiamo una sala che ha un uso commerciale o artigianale. Dopo un po’ di tempo arrivano gli agenti della polizia locale e ci spiegano che bisogna cambiare la destinazione d’uso, una procedura impossibile perché l’uso dello stabile deve rientrare nei criteri dei Piani generali del territorio che solitamente non prevedono ambienti destinati ai luoghi di culto, se non le chiese cattoliche già esistenti. (…) Comprendono che è solamente un’assemblea pastorale, ci ritroviamo a pregare e a svolgere le nostre attività comunitarie, non c’è nulla di illecito, ma trovano sempre mille cavilli per farci chiudere e andar via».
Notizie come queste ci fanno comprendere quanto sia importante la libertà religiosa. Ma anche come le libertà, persino quelle più solennemente affermate, siano sempre a rischio.
In questo caso, il legislatore regionale ha derogato a un principio generale: la libertà religiosa è per definizione “per tutti”: non solo per le fedi che ci stanno simpatiche. La norma non è stata scritta indicando l’Islam come religione sgradita, ma è andata a colpire un’abitudine propria degli immigrati islamici, nella certezza di non sfiorare gli interessi della Chiesa cattolica, che in Italia non ha certo bisogno di adattare a luogo di culto immobili costruiti ad altro scopo.
Questa decisione del legislatore non ha portato solo gli effetti sperati, ma anche altri imprevisti: la chiusura dei luoghi di culto frequentati dagli evangelici. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che diamo ai poteri pubblici una responsabilità astrattamente condivisibile – la pianificazione dell’uso del territorio – senza pensare che ciò può avere conseguenze di questo tipo.
Sono temi molto complessi, rispetto ai quali vanno contemperati esigenze ed interessi diversi e non sempre facilmente conciliabili. Stefano Moroni è uno studioso che ha riflettuto molto su questi temi (soprattutto nel suo La città del liberalismo attivo. Diritto, piano, mercato). Su un punto Stefano insiste sempre: sarebbe sommamente auspicabile che anche nel governo del territorio si passasse da una regolamentazione puntuale, a norme astratte e generali. La discrezionalità del decisore può produrre effetti imprevisti e preoccupanti, che non lo sono di meno solo perché coinvolgono una piccola comunità come quella degli evangelici.