Un uomo – sottopassaggio

Un uomo – sottopassaggio

Racconto breve di Ludovica Cotta-Ramusino Immagine di Adriano Zanni (Scarica l’eBook)

Era martedì. Samuel lo aspettava sempre con impazienza, lui che non aveva un amico con cui andare al pub alle sei. Sapeva delle risate dei colleghi, sapeva del loro modo distratto e maligno di fare a pezzi le sue abitudini: quel caffé amaro lasciato per giorni nella tazza verde e sorseggiato con rumore, come se lo aspirasse con i denti; il panino ricco di cipolla e hummus che mangiava i giorni dispari e quello alle acciughe che mangiava i giorni pari. Sapeva che i colleghi valutavano l’odore del suo cappotto, insinuavano aberrazioni con le loro domande sulla moglie che lo aveva lasciato ed osservavano con ribrezzo le mani gialle di nicotina fino a sotto le unghie spesse. Sapeva d’essere un uomo diverso. Sapeva d’essere l’unico in grado di ricordare gli orari di tutti i treni che arrivavano e partivano dalla loro stazione, i modelli delle locomotive; tutti i dettagli di tariffe, sconti ed abbonamenti ed i nomi di tutti i clienti abituali. Sapeva di essere l’unico sempre disposto a sostituire un collega malato, a lavorare nei giorni di festa e a chiudere lo sportello della biglietteria alle undici di sera. Non il martedì.

Il martedì finiva il turno alle quattro. Metteva il fermo al vetro, riponeva la tazza verde piena nel suo armadietto, s’infilava il cappotto, ed accennava ad un sorriso tenue con lo sguardo fisso altrove.

 

Ciao Sam, dicevano quelli, ci vediamo dopo.

Ciao, diceva lui, con una noce di calore in corpo, nascosta, lì sotto, tra le costole del corpo spigoloso.

 

Camminava qualche metro, osservava il cielo e cercava di decidere che tipo di grigio fosse. C’era il grigio arancio, quello color lavanda, quello livido quasi blu, quello argentato che luccicava, quello che ululava come vento sul mare azzurro, quello che stagnava come una palude verde marcio, quello bianco come ospedale, quello dorato di sole, quello trasparente e liquido come i sentimenti.

Passeggiava nel giardinetto del quartiere, si sedeva sempre sulla stessa panchina, sfogliava i giornali abbandonati, s’affacciava timidamente sui suoi ricordi di bambino, mentre raccoglieva una palla che era stata lanciata con troppa forza da una bambinetta bionda e rubiconda.

Alle cinque fumava la ventiquattresima sigaretta del giorno, prendeva un tè caldo solubile dalle macchinette all’ingresso della stazione della metropolitana e s’avviava verso il sottopassaggio. Scendeva e risaliva le scale con le mani in tasca, assorto, catturato da un’atmosfera sottile di benessere, un’ombra impalpabile di felicità negli occhi.

Il negozio lo avrebbe trovato alla seconda svolta a destra, subito dietro l’angolo. Avrebbe anticipato il tintinnio delle campanelle rosse appese alla porta, il suo sorriso accogliente, l’inchino veloce ed elegante. Il suono della sua voce, un po’ piatta e nasale, quella frase di rito: Buonasera Signor Sam, la trovo bene oggi, s’accomodi pure. Solo per lei si sarebbe furtivamente lavato nel piccolo bagno senza finestre, con il sapone al gelsomino che trovava sempre sul lavandino, intonso. Solo per lei si sarebbe sfilato le scarpe e le calze e tirato su i pantaloni fino al ginocchio. Solo per lei si sarebbe sdraiato e avrebbe chiuso gli occhi, dimentico di sé, al sicuro. E sarebbe rimasto in silenzio mentre lei gli toccava i piedi ed i polpacci, seguendo le regole di un massaggio antico che per lui aveva il sapore di una distanza incommensurabile che s’accorciava fino a diventare reale, come se anche lui e lei vivessero da sempre.

Mirava con il pensiero la fatica dei suoi gesti brevi e forti, si stupiva ogni volta del calore che quelle mani riuscivano a produrre sulla pianta dei propri piedi, come se ne conoscessero le radici e potessero oltrepassare la pelle per sfiorare le vene.

Piangeva ogni volta in silenzio, e sapeva che lei lo sapeva.

Quando lo lasciava solo in cabina perché lui si potesse rimettere le calze e le scarpe in intimità, asciugava con il palmo della mano i residui di lacrime e tirava su con il naso, per vergognarsene subito dopo. Lei deve essere una divinità, si diceva ogni volta. Allora cercava un fazzoletto di carta tra gli scaffali della stanza e si riprometteva di portare d’ora innanzi il fazzoletto di lino, quello con le iniziali rosse S. G. ricamate nell’angolo.

Lei lo aspettava all’ingresso sempre sorridente. Lui s’inchinava pieno di gratitudine e rispetto.

Lei apriva la porta: lui usciva a fatica.

Si girava ad osservarla ancora una volta, già al buio, il corpo immerso in un anticipo di nebbia ed incominciava a contare le ore fino al prossimo martedì.

Il racconto e’ liberamente scaricabile in versione eBook cliccando su questo link

Adriano Zanni

Paesaggi contemporanei
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