Grazie Stramaccioni, non come mister ma come maestro
Mentre infiamma l’ennesima atavica, stantia, insopportabile polemica tra Juve e Inter sul terreno sempre più scivoloso delle designazioni e direzioni arbitrali, mi viene da sottolineare quali sarebbero i messaggi che i grandi attori dello show business calcistico dovrebbero cercare di trasmettere.
Venerdì 16 novembre, ventiquattr’ore prima di farsi espellere durante Inter-Cagliari per eccesso di proteste nei confronti del “quarto uomo”, Andrea Stramaccioni, giovane e intraprendente allenatore dei nerazzurri, rilascia un’intervista geniale, mi verrebbe da dire, a Sette, il magazine di attualità del Corriere della Sera.
Geniale sin dal titolo “Studiando latino ho imparato anche ad allenare”. Edoardo Vigna porta il tecnico dell’Inter su un percorso collaterale al 3-5-2, all’eredità di Mourinho e al rapporto con Moratti.
Essendo il sottoscritto padre di due figli adolescenti alle prese con gli ultimi anni di Liceo (Scientifico il maschio e Classico la femmina) ho trovato di grande interesse il passaggio in cui Stramaccioni spiega cosa gli ha lasciato il Liceo, “Il metodo me lo sono ritrovato scandendo una seduta di allenamento. Se non hai metodo nello studio non vai avanti”.
Ecco questo è il primo pensiero forte che ho voluto trasmettere subito ai miei. Come strutturate gli appunti presi a lezione, come integrate le esposizioni del professori con le letture personali, come interagite coi compagni nei lavori di gruppo, come trasformare le nozioni in conoscenza profonda, tutto questo è il metodo. E questo si impara a scuola e si porta dietro per tutta la vita, nel proprio cammino professionale e umano. Non importa la materia in questione, che sia greco o matematica, chimica o storia dell’arte, acquisire lo strumento per imparare a conoscere è più importante della conoscenza stessa. Ho sentito quella frase di Stramaccioni lontana dalla retorica e ricca di concretezza. Spero che i miei figli l’abbiamo recepita. Tra l’altro Tommaso, il mio primogenito, nell’anno della maturità scientifica, sta allenando in una Scuola Calcio i bambini del 2003 e si trova a dover, per la prima volta nella sua vita, strutturare delle attività, darsi degli obiettivi, gestire un gruppo motivandolo e direzionandolo, interagire con dirigenti e genitori. Non male come tirocinio. Non male avere Stramaccioni che gli dà quelle indicazioni.
Ma vorrei tornare agli insegnamenti del mister: “E poi ti insegna a esporre dei concetti, ti abitua a essere esaminato, alla dissertazione… lo studio è importante lo dico sempre ai miei giocatori”.
Quanto serve la scuola ad un allenatore! Partendo dall’attesa per un’interrogazione, gestire il tempo a disposizione per ottenere la miglior preparazione possibile, farsi aiutare da un compagno più bravo o dare una mano a quello in difficoltà, imparare a controllare le emozioni e lo stress della vigilia. E poi quando sei lì alla cattedra con tanti occhi puntati addosso. Devi reggere la tensione, reagire con prontezza alla domanda del professore che non ti aspetti, saper argomentare usando la dialettica quando la conoscenza profonda non ti supporta, collegare le nozioni una all’altra in un percorso logico, tutto questo determina la prestazione. Infine il dopo, non esaltarsi e continuare a studiare anche con un bel voto in saccoccia e non far pesare il successo ai compagni meno fortunati o, al contrario, evitare di abbattersi in caso di un risultato inferiore alle proprie aspettative, non scaricare le colpe sugli altri, non abbattersi, ma analizzare le cause della sconfitta.
Quanto vicino è tutto ciò alla vita quotidiana di uno sportivo, giocatore o allenatore che sia? Quanto uno studente può trovare motivamente certe correlazioni tra il suo impegno attuale e i benefici che si ritroverà in futuro? Ne ho parlato a tavola con i miei figli, ne è nata una stimolante discussione sfociata nel tema più grande del cosa farò da grande.
E’ bastato poco, pochissimo. Due frasi messe lì dall’allenatore dell’Inter. Per questo dico grazie a Stramaccioni per aver espresso con semplicità il legame stretto che c’è tra la sua esperienza scolastica e il suo fortunato lavoro. Questi sono i messaggi che vorremmo trovare più spesso in tv e sui giornali, al di là del rigore dato o non dato.