La cultura tattica e la cultura del sospetto
Gli Europei 2012 stanno entrando nel vivo e si comincia a capire qualcosa nei meandri di un caos politico-mediatico, ma mi limito ad analizzare quello che accade dentro al campo, allargandomi al massimo ai centri sportivi dove le squadre si allenano.
Abbiamo un’Italia che, alla vigilia della terza partita, è ancora imbattuta ma con un sacco di preoccupazioni, più o meno legittime. Altrove c’è chi sta meglio (Germania, Spagna, Francia) e chi soffre anche di più. Soprattutto due tipologie di squadre sono quelle che hanno deluso maggiormente. Quelle con un’età media sopra i 28 anni e quelle che si affidano come struttura di gioco ad un unico top player.
La Svezia, la peggiore in assoluto e già fuori dalla competizione, ha entrambe queste caratteristiche: un’eta media di quasi 29 anni e il solo solito Ibra a fare e disfare.
All’opposto il caso virtuoso della Germania che nel calcio ha fatto nel Duemila degli investimenti mirati per riformare la qualità della formazione nelle scuole calcio obbligando tutti i suoi club ad adeguarvisi. Così oggi la squadra è la più giovane del torneo (25 anni di media), ha giocatori costruiti nei propri centri di formazione e che giocano tutti quasi in Bundesliga, ha club competitivi e con bilanci sani.
E giocano bene a calcio. In ogni partita si può apprezzare organizzazione, disciplina, equilibrio, forza fisica, capacità interpretativa, tenuta mentale. Si potrebbe obiettare che manca il genio, la libertà tecnica di un Cassano o di un Ronaldo. Sarebbe vero se non ci fosse un difensore di 23 anni in grado di uscire in slalom dalla propria metà campo e arrivare fino al tiro. Parlo di Hummels, strepitoso prodotto del settore giovanile del Bayern Monaco e valorizzato dal Borussia Dortmund. Sarebbe vero se non ci fosse Mesut Ozil, folletto in forza al Real Madrid, in grado di inventare sempre la giocata funzionale al contesto. Lì c’è tecnica, c’è fantasia, c’è personalità, ma sempre all’interno di una visione corale, dove il trequartista sa se deve dare il sostegno o creare ampiezza, se andare in pressing o dare copertura. Tutto questo si chiama cultura tattica e si inizia a coltivare a 8-10 anni, quando oltre al dribbling (il “come”) si insegna anche il “dove” e il “quando”. Per arrivare ad avere a 20 anni un giocatore consapevole. Ozil oggi ne ha 23, ha già fatto un Mondiale da protagonista e da due anni è una stella del Real Madrid. Chi semina raccoglie.
Potrei dire cose analoghe, forse anche più lusinghiere, della Spagna ma ne parlano tutti da tempo, visti gli exploit ripetuti e ripetibili , anche senza Guardiola, del Barcellona. Tutti speriamo che la Spagna non faccia un passo indietro proprio contro la Croazia, ma vorrei anche su questo dire la mia. Sarebbe poi così antisportivo un 2-2? Una squadra che ha come obiettivo di passare il turno adotterà tutte le strategie di gioco possibili per centrarlo. Se entrambe hanno lo stesso obiettivo è chiaro che il punto d’incontro è possibile se non scontato. Nessuno vende niente, nessuno corrompe nessuno. Si gioca per vincere il torneo e se un pareggio permette di ridurre i rischi, non disperdere energie, eliminare un avversario potenzialmente pericoloso, fa parte del gioco. L’Italia non doveva arrivare in questa situazione. Non serve gridare allo scandalo, ormai serve solo pregare. Pregare la Spagna di non fare calcoli, di non pensare ai suoi piccoli interessi di bottega ma di guardare alto, così da provare, forte del suo strapotere tecnico/tattico, a mandare a casa la Croazia. Nel frattempo noi dovremmo vincere (o forse stravincere) contro l’Irlanda e, mi auguro, attraverso il gioco: senza pensare ai favori concessi da uno staff tecnico della squadra avversaria tutto italiano.