Il calcio italiano è troppo vecchio
Mi sono divertito molto stamani a vedermi Napoli-Juventus (ieri sera gli ho preferito un Jovanotti smagliante al Palaolimpico di Torino). Gol, ribaltamenti, fairplay, pubblico entusiasta, tutti elementi consoni a un big-match di rango internazionale.
C’era però un elemento invisibile che strideva rispetto alla Liga Spagnola o alla Premier League: l’età media in campo, di 27,8 anni. Il Napoli alzava questa media con 28,6, la Juve era un pò più virtuosa con 27,1. Il giocatore italiano più giovane in campo tra i padroni di casa era Maggio, 29 anni! La Juve si salvava grazie a Bonucci, 24 primavere sulle spalle.
Tra le 5 leghe più importanti d’Europa la Serie A è oggi la più vecchia con un età media di quasi 27 anni, passando negli ultimi 10 anni dal penultimo posto al primo (Grafico 1).
Ce lo dice il CIES, il Centro Studi Internazionale della FIFA. Siamo quindi in controtendenza rispetto alla necessità, anche economica, di puntare sui giovani e sulla valorizzazione dei vivai.
Ma i dati allarmanti sono anche altri. In Serie A i giocatori Under 21 sono desaparecidos. I minuti giocati sono sono il 4% del totale. Impressionante il benchmark della Serie A croata che arriva al 30%.
C’è sicuramente un problema legato ai Settori Giovanili: priorità nelle Scuole Calcio (si punta al risultato o alla crescita del talento?), decadenza delle infrastrutture, basso livello degli istruttori, poco qualificati e poco o per niente pagati.
C’è poi un problema legato alla selezione dei giovani sul territorio. I talent scout dei club professionistici vanno sui campetti di periferia a cercare i ragazzini grossi e forti o quelli svegli e tecnici (magari piccoli come la “Pulce atomica”)?
Ma a monte di tutto questo c’è un problema ancor più grande di politica aziendale. I club non danno ai nostri ragazzi, finito il ciclo nelle giovanili, la chance di giocare in prima squadra. Vengono subito dirottati in prestito nelle categorie inferiori senza tutela e, quasi sempre, senza biglietto di ritorno.
Il campionato Primavera non è sufficientemente propedeutico al grande salto. Serve una riforma radicale che permetta ai grandi club di far giocare la loro squadra Under 18 nella serie B come avviene ad esempio in Spagna.
Infine c’è il problema relativo agli immigrati immessi nei Settori Giovanili. Di quei 4 minuti su 100 giocati in Serie A gli Under 21, solo 60 secondi hanno la carta d’identità italiana (1 su 4). Gli altri sono ragazzi immigrati che non potranno mai giocare nella nostra Nazionale.
Per cui vestono la maglia azzurra molti ragazzi prelevati dalle squadre di serie B con pochissima esperienza internazionale, con ampie ricadute negative sulla competitività.
Questo è un altro fenomeno tutto italiano. In Germania ad esempio il tasso di immigrati tra gli Under 21 è pari al 15%, in Inghilterra al 31% (Grafico 2).
La speranza è che i club, attanagliati dai debiti e obbligati dalla UEFA a mettersi in regola col fairplay finanziario, adottino delle politiche virtuose come fatto dalla federazione tedesca nel 2000. Nel Mondiale in Sudafrica la Germania è stata la più giovane del torneo con 24,7 anni e Thomas Mueller, non ancora ventuenne, ha portato a casa i titoli di capocannoniere e di miglior giovane del torneo.
Tale risultato è stato il prodotto di una progettazione di base lungimirante con forti incentivi economici ai club che danno priorità ai giovani talenti nazionali e puntano su infrastrutture professionali d’elite (tra cui gli stadi della Bundesliga).
Speriamo che il governo Monti, introducendo nuovamente il Ministero dello Sport, sappia imprimere a FIGC e Lega Calcio quella spinta necessaria per rilanciare, partendo proprio dai giovani, la terza industria del paese.