Che cosa vuole fare Trump con tutti questi dazi
Dice di voler proteggere l'industria statunitense e sanare pratiche commerciali «ingiuste», ma potrebbe andare quasi tutto storto

Con l’annuncio di pesanti dazi contro più di 100 paesi, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha aperto quella che è già stata definita una «guerra commerciale globale», che potrebbe indebolire le economie di molti paesi e cambiare i commerci internazionali.
Come abbiamo già visto per i dazi contro Canada e Messico, minacciati e poi rimandati più volte, bisogna considerare che in questi annunci di Trump c’è un elemento di tattica negoziale, e che le sue decisioni possono sempre essere soggette a revisioni, modifiche, ripensamenti. Va tutto un po’ preso con le molle. Al tempo stesso, è chiaro che i dazi sono diventati lo strumento principale della politica economica degli Stati Uniti. La maggior parte degli economisti è però scettica nei confronti della loro efficacia.
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L’industria
Anzitutto, Trump sostiene che i dazi consentiranno agli Stati Uniti di proteggere e rivitalizzare la propria industria manifatturiera. Trump è convinto che l’industria statunitense sia stata negli ultimi decenni danneggiata dalle pratiche commerciali scorrette di paesi come la Cina, che avrebbero usato i propri vantaggi competitivi (per esempio una forza lavoro meno costosa e minore regolamentazione) per convincere le industrie americane a delocalizzare, facendo perdere il lavoro a milioni di lavoratori e indebolendo la base industriale del paese. «Il nostro paese è stato razziato, saccheggiato, devastato e stuprato», ha detto Trump mercoledì.
Sulla deindustrializzazione degli Stati Uniti e sul ruolo di paesi come la Cina è in corso da decenni un dibattito molto ampio tra gli economisti, ma tra tutti gli argomenti di Trump, usare i dazi per proteggere le proprie industrie dalla concorrenza straniera è quello economicamente più solido. È la ragione primaria per cui i dazi esistono, e per cui sono usati da molti paesi. Per esempio l’Unione Europea ha recentemente imposto dazi del 17 per cento contro l’azienda di automobili elettriche cinesi BYD, tra le altre, perché vuole proteggere la propria industria automobilistica.
Le politiche di Trump però hanno due problemi. Il primo è che con i dazi Trump spera non soltanto di proteggere, ma anche di rivitalizzare l’industria americana. La sua amministrazione è convinta che, visti gli alti costi aggiuntivi imposti dai dazi, le industrie americane decideranno di abbandonare paesi come la Cina e il Vietnam e di tornare negli Stati Uniti (il termine tecnico in inglese che descrive questo meccanismo è reshoring). Su questo molti economisti sono scettici.
L’altro problema, per certi versi il più grave, è che questi dazi hanno qualche possibilità di funzionare quando sono mirati e calibrati per proteggere uno specifico settore industriale. I dazi di Trump invece sono indiscriminati e colpiscono tutti i prodotti importati negli Stati Uniti: li ha imposti anche su merci che gli Stati Uniti non producono, e su settori dove non c’è nessuna industria locale da proteggere. Questo aumenterà i costi (e dunque i prezzi) in maniera generalizzata.

Automobili Mercedes nel porto di Baltimora, negli Stati Uniti, marzo 2025 (AP Photo/Stephanie Scarbrough)
Il deficit
Donald Trump è ossessionato dall’idea che avere un deficit commerciale con un altro paese (cioè importare più di quanto si esporta) sia un segno di debolezza. Come ha spiegato la sua amministrazione nel comunicato di annuncio dei dazi, uno degli obiettivi è «sistemare le ingiustizie del commercio globale» e «ribilanciare il nostro deficit commerciale cronico sui beni». In realtà, avere un deficit commerciale con un altro paese non è necessariamente un problema per un’economia. Peraltro gli Stati Uniti, benché siano in deficit commerciale con molti paesi per quanto riguarda i beni, sono in surplus per quanto riguarda l’esportazione di servizi, come per esempio i servizi internet, da Google a Netflix.
L’amministrazione ha perfino fatto del deficit commerciale la base sulla quale calcolare i dazi da imporre agli altri paesi: ha preso il deficit commerciale americano nei confronti di un certo paese e l’ha diviso per il valore delle merci importate da quel paese (cioè deficit diviso importazioni). Per esempio il deficit commerciale con l’Indonesia è di 17,9 miliardi di dollari, e le importazioni dall’Indonesia sono di 28 miliardi. 17,9 diviso 28 fa 0,64, cioè 64%.
L’amministrazione ha preso questo 64%, l’ha diviso per due (una specie di «sconto», secondo Trump) e imposto sanzioni del 32% all’Indonesia. Per gli economisti questo calcolo è del tutto insensato.

Container nel porto di Los Angeles, aprile 2025 (AP Photo/Damian Dovarganes)
I conti pubblici
Poiché i dazi sono tasse sulle importazioni, quando i dazi di Trump entreranno in vigore gli importatori dovranno pagare al fisco statunitense una tassa sul valore delle merci importate. Chi importerà negli Stati Uniti merci indonesiane, dovrà pagare al fisco il 32 per cento del valore di quella merce.
Questo potrebbe aumentare notevolmente gli introiti fiscali, e l’amministrazione ha già cominciato a pensare a come spenderli: Peter Navarro, uno dei consiglieri commerciali di Trump, ha detto per esempio che con i soldi ottenuti dai dazi si potrebbero pagare gli enormi tagli alle tasse che Trump ha promesso in campagna elettorale.
Durante il primo mandato di Trump, però, gli introiti dei dazi furono quasi tutti spesi per cercare di riparare ai danni fatti dai dazi stessi. Quando nel 2018 Trump iniziò una guerra commerciale contro la Cina, la Cina rispose imponendo a sua volta dazi sui prodotti agricoli statunitensi, che danneggiarono gravemente gli agricoltori. L’amministrazione allora dovette usare più del 90 per cento degli introiti ottenuti dai dazi per aiutare gli agricoltori in difficoltà, annullando ogni possibile beneficio.
Diplomazia
Come abbiamo visto in queste settimane, Trump considera i dazi anche come uno strumento negoziale e come un modo per ottenere concessioni da altri paesi. Di recente, dopo che Trump aveva minacciato di imporre dazi sulle merci di Canada e Messico, entrambi i paesi hanno aumentato i controlli di frontiera per ridurre il flusso di migranti e di droghe illegali.
È quindi probabile che, dopo l’annuncio di mercoledì, più o meno tutti i paesi coinvolti proveranno ad aprire un negoziato per eliminare o perlomeno abbassare i dazi stabiliti dall’amministrazione Trump. Ed è probabile che Trump cercherà di ottenere qualcosa in cambio. Di fatto, le percentuali annunciate mercoledì vanno considerate come una base di negoziato.

Donald Trump nel marzo 2025 (AP Photo/Jose Luis Magana)