In Italia abbiamo un problema con i dati sui femminicidi
Non sono abbastanza aggiornati e manca una banca dati istituzionale pubblica e facilmente consultabile

Aggiornamento: dopo la pubblicazione di questo e di altri articoli sul tema, il ministero dell’Interno ha comunicato sul proprio sito che i report usciranno con cadenza trimestrale. E ha pubblicato anche i dati relativi al primo trimestre del 2025.
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In Italia non esiste una banca dati istituzionale, pubblica e completa sui femminicidi. I dati considerati ufficiali sono contenuti nei report dell’Istat e in quelli del ministero dell’Interno: sono aggiornati con tempistiche diverse e non seguono gli stessi criteri.
L’Istat pubblica il proprio report con i dati sui femminicidi ogni anno in occasione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne. Ma è appunto un report annuale. Il ministero dell’Interno invece pubblica i dati sugli omicidi volontari, che sono classificati in base al sesso delle vittime e alla relazione con il presunto colpevole, e che in mancanza di altro sono comunque utili per avere un’idea del fenomeno, anche se il ministero dell’Interno non usa la parola femminicidio.
Fino al dicembre del 2024 l’aggiornamento di questi dati era settimanale, ma a gennaio è diventato mensile. Inoltre è da gennaio del 2025 che i dati non vengono aggiornati, e d’ora in poi i report diventeranno trimestrali. Il ministero dell’Interno motiva questo cambiamento sostenendo che la cadenza trimestrale permetterebbe di avere dati più consolidati volta per volta.
Insomma, le uniche due fonti istituzionali sono questi due report, ma sono disomogenei tra loro e aggiornati seguendo metodologie differenti. Il problema è noto da tempo ed è stato recentemente riportato all’attenzione dalla giornalista esperta di dati Donata Columbro, che ne ha parlato nella sua newsletter Ti spiego il dato, proprio nei giorni in cui stanno ricevendo molta attenzione i femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella, entrambe uccise dagli uomini con cui avevano o avevano avuto a che fare. I due femminicidi hanno dato origine a manifestazioni di protesta organizzate in diverse città italiane dal movimento femminista Non Una Di Meno, e altre ne sono previste un po’ in tutt’Italia.
Donata Columbro spiega che l’associazione di cui fa parte, Ondata, che si occupa di dati pubblici, è in contatto con il servizio analisi criminale che fornisce a sua volta i dati per il report del ministero: «Ci hanno avvertito che il report sarebbe diventato mensile e ci hanno anzi anticipato che diventerà trimestrale, ma senza darci alcuna spiegazione sul motivo e soprattutto senza darla pubblicamente, sul sito stesso, come se quella pagina non la vedesse nessuno o non fosse importante. In mancanza di spiegazioni, questo vuoto può far pensare solo a un loro disinteresse».
Attualmente, aggiunge Columbro, lo strumento migliore per monitorare la situazione in Italia è il database dell’Osservatorio di Non Una Di Meno. Si tratta di un lavoro di raccolta di “controdati”, di dati cioè raccolti dal basso «quando ci si rende conto di una mancanza nella raccolta da parte delle istituzioni: se chi ha il potere di produrre dati non lo fa, se ne occupa la comunità dal basso», dice Columbro, e così ha fatto Non Una Di Meno.
Federica Rosin fa parte dell’Osservatorio. Spiega che i loro dati vengono aggiornati l’8 di ogni mese e che vengono raccolti in modo autonomo «con tanta santa pazienza: è molto difficile perché utilizziamo informazioni che sono già pubbliche. Facciamo dunque un grande lavoro di ricerca sui media, sui giornali e anche nelle cronache locali, territorio per territorio. Un lavoro che è dunque quotidiano». Rosin dice che Google Alerts, il servizio che individua contenuti su Internet riguardanti uno specifico argomento impostato dall’utente e individuato tramite parole chiave, non è sufficiente «perché molti femminicidi vengono narrati in modo mistificato come incidenti o come tragedie familiari: non bastano insomma le parole chiave perché molte notizie sono celate».
Oltre ai femminicidi, l’Osservatorio raccoglie anche i casi di lesbicidi e transcidi, cioè le uccisioni di donne che non hanno un orientamento eterosessuale e di persone trans, se quelle uccisioni sono riconducibili alle stesse dinamiche che stanno alla base del femminicidio: dinamiche di sopraffazione, potere e controllo che compongono la violenza patriarcale. Allo stesso modo, l’Osservatorio monitora anche i casi di suicidio indotto e i casi di suicidio o uccisioni di uomini sempre se legati a violenza patriarcale: «Le variabili da monitorare sono molte e vengono discusse costantemente dall’Osservatorio in momenti collettivi», precisa Rosin.
L’Osservatorio, prosegue, è nato nel 2019 dopo l’uccisione di Elisa Pomarelli: «Inizialmente il suo femminicidio non venne riconosciuto come tale, e non venne riconosciuto nemmeno il fatto che fu determinato anche dal suo orientamento sessuale. Giornali, televisioni e siti vari empatizzarono con l’uomo che l’aveva uccisa, le foto di Pomarelli che vennero messe in circolazione erano datate, mostravano una lei estremamente femminilizzata, quando Elisa aveva invece scelto un’altra rappresentazione di sé. Dopo tutto questo pensammo che fosse necessaria una narrazione “di parte”, che leggesse il fenomeno nel suo insieme, che cercasse e raccogliesse i dati a partire da una lettura femminista: una lettura che tenesse conto della violenza patriarcale in tutte le sue forme».
Columbro dice che quello di Non Una Di Meno non è solo un archivio di dati, «ma di storie e di memorie che fornisce, tra l’altro, informazioni che altrove non ci sono».
L’Osservatorio monitora anche i tentati femminicidi, il numero di figli o bambini presenti durante il delitto o che vengono lasciati orfani dall’uccisione della madre, inserisce quelle storie che rimangono fuori dai media tradizionali, come le uccisioni delle sex worker, divide i dati per regione, indica se c’erano state denunce o segnalazioni per violenza, stalking, persecuzione nei mesi precedenti all’uccisione, dice se le persone uccise avevano una disabilità, fornisce diverse indicazioni sui colpevoli o presunti tali, e precisa infine le cause del decesso. «L’Osservatorio non è fatto solo per contare, ma anche per raccontare, ricordare e dare dignità a tutte le persone uccise o coinvolte nella violenza patriarcale, soprattutto in quest’epoca feroce in cui sembra esserci una gerarchia tra le morti: alcune sembrano contare, altre no, nonostante la matrice sia la stessa».
Avere dati completi e accessibili è importante, dice Columbro, «perché dobbiamo capire che cosa caratterizza questo specifico tipo di violenza: solo misurando e mettendo insieme i pezzi possiamo capire quali azioni realmente efficaci siano da intraprendere a livello politico». Vedere quanto sia sistemico il femminicidio, che è l’ultimo atto della violenza maschile, «serve a leggerne la pervasività sociale», aggiunge Rosin, «ma non è solo una questione quantitativa. È fondamentale anche capire che cosa significano quei dati, e sul nostro sito ci sono articoli di analisi e approfondimento, soprattutto per uscire dalle narrazioni di chi usa la violenza basata sul genere per altri scopi e per portare avanti altri discorsi».
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