I dazi di Trump, fin qui
Quelli entrati in vigore e quelli solo minacciati, per capirci qualcosa del caos degli ultimi mesi

Nei poco più di due mesi dall’inizio della sua presidenza Donald Trump ha detto tutto e il contrario di tutto sui dazi che vuole introdurre sulle merci importate dagli Stati Uniti. Li ha più volte annunciati, poi ritrattati e rimandati, con l’intenzione di ottenere qualcosa in cambio dai paesi coinvolti e con una strategia pensata proprio per creare caos, incertezza e paura. È quello che è successo anche nei giorni scorsi, nell’attesa dei nuovi dazi annunciati da Trump mercoledì sera.
I dazi sono una tassa che rende più care le importazioni. Dovrebbero servire per difendere l’industria nazionale dalla concorrenza straniera, nella pratica Trump punta soprattutto ad avere uno strumento politico per ottenere quello che vuole dai paesi che li subiscono, e che avrebbero molto da perdere in una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Per questo spesso si è limitato a minacciarli, senza poi davvero introdurli o facendolo solo in parte, in modo da costringere gli altri ad accettare alcune sue richieste pur di non danneggiare le proprie economie. È successo per esempio con Canada e Messico: a inizio febbraio Trump aveva annunciato dei dazi, per poi posticiparli dopo aver ottenuto dai due paesi alcune garanzie e impegni sulla gestione dei flussi migratori.
Dal punto di vista comunicativo inoltre Trump è solito fare moltissimi annunci, anche per provare a sviare l’attenzione dai reali problemi e dalle inadempienze della sua amministrazione. La confusione creata sui dazi va in questa direzione, così come la grande attesa che si è creata intorno all’annuncio di mercoledì sera, in cui ha infine detto che introdurrà dei dazi reciproci verso tutti i paesi per bilanciare le barriere che ostacolano le merci statunitensi all’estero. È quindi utile fare ordine su cosa era stato effettivamente introdotto finora, e quali effetti concreti ha iniziato a produrre sull’economia.

(AP Photo/Andre Penner)
I primi dazi che Trump ha annunciato sono stati quelli verso le merci provenienti da Cina, Messico e Canada, che almeno in parte sono entrati in vigore.
I dazi verso la Cina sono partiti lo scorso 4 febbraio. Colpiscono tutti i prodotti provenienti dal paese, a cui sarà applicata una tassa del 20 per cento sul prezzo di vendita. L’obiettivo quindi non è difendere particolari settori della concorrenza, per i quali sarebbero bastati dazi mirati, ma creare un danno complessivo all’economia cinese.
La Cina è il quarto partner commerciale degli Stati Uniti e il paese con cui hanno storicamente più squilibrio commerciale: significa che gli Stati Uniti dipendono tantissimo dalle merci cinesi, mentre l’economia cinese da tempo ha imparato a emanciparsi dal commercio con gli Stati Uniti, che dal primo mandato di Trump sono diventato un partner commerciale ostile e instabile. Negli ultimi anni la Cina ha privilegiato il commercio con altri paesi, come la Russia e il Vietnam. Per questo gli economisti dicono che questi dazi danneggeranno perlopiù gli Stati Uniti, dove consumatori e aziende pagheranno di più i prodotti cinesi di cui non riusciranno a fare a meno.

Il porto di Savannah, in Georgia (AP Photo/Stephen B. Morton)
I dazi sulle merci da Messico e Canada sono in vigore dal 4 marzo e prevedono diverse eccezioni. Sono del 25 per cento e riguardano tutti i prodotti che non rientrano nell’USMCA, cioè l’accordo di libero scambio firmato tra Canada, Messico e Stati Uniti nel 2018: l’esenzione riguarda perlopiù auto e loro componenti, prodotti agroalimentari, chimici e tessili.
Sui dazi a Messico e Canada c’è stata molta confusione. Dovevano essere introdotti insieme a quelli sui prodotti cinesi, ma dopo solo 48 ore dall’annuncio Trump li aveva sospesi per trenta giorni in cambio di alcune concessioni temporanee, ed erano infine entrati in vigore il 4 marzo. Il giorno successivo aveva esentato per un mese le società produttrici di automobili Ford, Stellantis e General Motors, che hanno fabbriche sparse tra Stati Uniti, Messico e Canada e avrebbero avuto grossi problemi. Il giorno dopo ancora aveva allargato l’esenzione a tutti i prodotti dell’USMCA, tra cui rientrano proprio le auto.
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Messico e Canada sono rispettivamente il primo e il secondo partner commerciale degli Stati Uniti: da qui arriva per esempio oltre il 70 per cento delle importazioni di petrolio greggio destinato alle raffinerie statunitensi; è molto a rischio anche il settore della produzione di auto e altri veicoli, poiché gli Stati Uniti importano quasi la metà dei componenti per le auto proprio da Messico e Canada.
Gran parte degli economisti è comunque concorde nel dire che, nonostante siano attesi degli effetti negativi per l’economia statunitense per l’aumento dei prezzi, i danni più grossi di questi dazi saranno a carico di Messico e Canada, che hanno un’economia molto più dipendente dagli scambi internazionali: verso gli Stati Uniti sono diretti rispettivamente l’80 e il 78 per cento delle loro esportazioni totali. Al contrario dal commercio internazionale dipende “solo” un quarto del Prodotto Interno Lordo statunitense, oltretutto distribuito tra diversi partner commerciali.

Un lavoratore di un’acciaieria, a Zaporizhzhia, in Ucraina (AP Photo/Efrem Lukatsky)
Gli altri dazi già in vigore sono quelli su acciaio e alluminio: sono del 25 per cento e sono applicati dal 12 marzo su tutto l’acciaio e l’alluminio importato negli Stati Uniti, da qualsiasi paese provenga (quindi anche quelli dell’Unione Europea). Sono molto diversi da quelli universali contro Canada, Messico e Cina: sono specifici sui due prodotti, e dovrebbero servire a proteggere i relativi settori dalla concorrenza straniera, rendendo acciaio e alluminio importati più cari di quelli prodotti internamente. Seguono quindi per certi versi una teoria economica, sebbene antiquata e con evidenti controindicazioni in un’economia così globalizzata.
Gli economisti ritengono che almeno nel breve termine i dazi su acciaio e alluminio danneggeranno soprattutto gli Stati Uniti, che sono perlopiù importatori. L’industria pesante statunitense è da tempo in crisi e da sola non riuscirebbe a far fronte alla domanda nazionale. È possibile che, almeno nel breve termine, le aziende statunitensi continueranno a comprare acciaio e alluminio dall’estero sopportandone il sovrapprezzo, in attesa che la produzione locale riesca ad aumentare e a tenere il passo del fabbisogno nazionale. Significa che il costo di produrre beni con acciaio e alluminio potrebbe aumentare, col risultato che saliranno anche i prezzi finali per i consumatori.
Ci sono infine i dazi promessi sulle importazioni di auto e componenti per veicoli, pari al 25 per cento del prezzo: erano stati annunciati la settimana scorsa e avrebbero dovuto entrare in vigore oggi. Alla fine quelli sulle auto entreranno in vigore il 3 aprile, e quelli sui loro componenti un mese dopo.
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