Tre giorni di proteste contro Hamas nella Striscia di Gaza
Non sono state enormi, ma che ci siano è già notevole: i manifestanti chiedono la fine della guerra e considerano il gruppo parte del problema

Negli ultimi tre giorni in varie località della Striscia di Gaza ci sono state delle proteste contro Hamas e contro la guerra in corso da un anno e mezzo. I manifestanti chiedono ad Hamas di lasciare il potere nella Striscia, che il gruppo detiene da oltre 18 anni, e in generale di porre fine ai continui attacchi e bombardamenti israeliani, nei quali sono state uccise più di 60mila persone palestinesi. È molto inusuale che nella Striscia di Gaza ci siano manifestazioni pubbliche di dissenso verso Hamas, ed è diventato ancora più raro dall’inizio dell’invasione israeliana: alle proteste di questi giorni hanno partecipato centinaia di persone, e sono state di gran lunga le più estese degli ultimi mesi.
Le proteste sono cominciate dopo che martedì scorso l’esercito israeliano aveva ricominciato a bombardare la Striscia, violando il cessate il fuoco in vigore dal 19 gennaio. Sono partite dalla città di Beit Lahia, a nord di Jabalia, vicino al confine settentrionale della Striscia: è una zona per la quale negli ultimi giorni Israele ha imposto un ordine di evacuazione, chiedendo quindi ai cittadini di andarsene. Molte persone palestinesi erano tornate lì dopo l’inizio del cessate il fuoco, e prima per oltre un anno erano state costrette a spostarsi più volte, da una parte all’altra della Striscia, per sfuggire agli attacchi. Ora la prospettiva di doversene andare di nuovo è stato il primo motivo delle manifestazioni. A questo si è aggiunta, come detto, la richiesta della fine del governo di Hamas.
Da Beit Lahia le proteste si sono diffuse in altre località della Striscia, soprattutto nel centro-nord: Deir al-Balah, Nuseirat, la città di Gaza e Jabalia.
Le proteste sono nate su iniziative spontanee di piccoli gruppi di persone e hanno ricevuto il sostegno di vari movimenti tra cui Bidna Na’eesh (“Vogliamo vivere”), nato nel 2019 per protestare contro le cattive condizioni economiche nella Striscia, e “Vogliamo dignità”, nato dopo il 7 ottobre del 2023. Hanno partecipato anche persone legate al partito Fatah, che è rivale di Hamas e governa in Cisgiordania, e dei cosiddetti mukhtar, figure tradizionali e leader locali che hanno una grande influenza sulle comunità di riferimento.

Alcuni partecipanti alle proteste di Beit Lahia (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Per quanto animate da diverse componenti, dalle proteste è emersa una linea comune: i manifestanti continuano a ritenere Israele il principale responsabile della guerra e delle condizioni disastrose della Striscia, ma molti considerano Hamas parte del problema e non più una possibile soluzione. «Non possiamo accettare che tutti noi moriremo perché loro rimangano al potere» ha detto al New York Times Sharif al-Buheisi, attivista di Fatah che ha partecipato alle proteste. Majdi, un altro manifestante che ha chiesto di essere chiamato solo per nome, ha detto ai giornalisti: «Se la soluzione [alla guerra] è che Hamas lasci il potere, perché non lo fa per proteggere gli abitanti?».
In video della manifestazione di Beit Lahia verificati da Reuters e Associated Press si sentono cori che dicono «Fuori Hamas», fra più generali invocazioni alla pace. Saeed Kilani, uno dei manifestanti, ha spiegato al Washington Post la sua interpretazione di quello slogan: «Non significa che siamo contro Hamas, ma la loro gestione dei negoziati è sbagliata, inadeguata e non ci ha portato sicurezza». Ha detto che la gente di Beit Lahia è esasperata e vorrebbe che Hamas trasferisse la responsabilità di negoziare e gestire la Striscia a qualcun altro, «non importa chi».
Hamas governa la Striscia di Gaza dal 2006, quando vinse largamente le elezioni, che da quel momento non sono mai più state organizzate. Ancora oggi mantiene un ampio sostegno fra la popolazione: le manifestazioni di questi giorni non possono essere considerate indicative di un dissenso diffuso, ma dimostrano comunque che questo esiste e ha trovato la forza per emergere anche in condizioni estremamente complesse.

La manifestazione sulle macerie a Beit Lahia (AP Photo/Jehad Alshrafi)
Hamas è un movimento islamista sunnita e fondamentalista. Nella Striscia di Gaza ha messo in atto molti principi della legge islamica, e da decenni governa in modo repressivo: tra le altre cose ha silenziato qualsiasi tipo di protesta, arrestando i critici e gli oppositori e disperdendo con violenza le dimostrazioni pubbliche di dissenso. Era successo anche appena prima della guerra, nell’agosto del 2023, a Khan Yunis.
Oggi la minaccia di una repressione è meno efficace: da un lato perché la gran parte della popolazione della Striscia è in condizioni disperate e ha poco da perdere, e dell’altro perché il controllo di Hamas sul territorio è minore, dopo oltre un anno e mezzo di attacchi da parte dell’esercito israeliano. Molti manifestanti dicono che partecipare alle manifestazioni resta difficile, nonostante un malcontento che definiscono «generalizzato»: chi protesta contro Hamas rischia di essere considerato un «traditore della causa palestinese» e di contestare quelli che molti considerano l’unica forza che attivamente risponde all’occupazione israeliana.
In questi giorni Hamas non ha bloccato o contrastato le manifestazioni, anche se secondo chi le ha organizzate il gruppo ha cercato di limitarne la copertura mediatica e la diffusione sui social network. Un portavoce di Hamas ha detto alla CNN che gli slogan contro il gruppo non riflettevano la «posizione generale della popolazione», ma erano frutto di iniziative «singole e spontanee» e dell’enorme pressione sulla popolazione di Gaza. In seguito alcuni suoi membri hanno genericamente accusato i manifestanti di essere animati o fuorviati da forze straniere e da Israele, senza fornire prove credibili.

(AP Photo/Jehad Alshrafi)
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sottolineato l’eccezionalità delle proteste, ma non le ha appoggiate apertamente, anche perché questo potrebbe spingere Hamas a reprimerle.
Come detto le proteste sono invece animate e sostenute da Fatah, il partito politico che rappresenta l’Autorità nazionale palestinese, l’ente che governa in Cisgiordania ed è indicato da alcuni come possibile incaricato della gestione futura della Striscia e della sua ricostruzione. Ogni discorso di questo genere è al momento prematuro: Israele non prende in considerazione ipotesi simili e anzi negli ultimi mesi ha aderito al problematico e irrealizzabile piano di Donald Trump che propone di mettere la Striscia sotto il controllo statunitense e trasformarla in un centro turistico.
La stessa Autorità palestinese è assai contestata e screditata anche in Cisgiordania, soprattutto per via di una cattiva gestione degli affari pubblici e di un atteggiamento nei confronti di Israele giudicato da molti palestinesi troppo accomodante. Un sostanziale ridimensionamento del sostegno ad Hamas potrebbe favorirla.
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