Non si riesce a tenere la ‘ndrangheta fuori da San Luca

Per la terza volta in 25 anni il paese della provincia di Reggio Calabria sarà commissariato dallo Stato

San Luca
San Luca (Franco Cufari/ANSA)

Il Consiglio dei ministri ha commissariato per mafia il comune di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, conosciuto come il “paese della ‘ndrangheta”. Già dallo scorso anno San Luca era amministrato da un commissario nominato dal prefetto perché nessuno si era presentato alle elezioni.

Il nuovo commissario che sarà nominato dallo Stato rimarrà in carica 18 mesi in cui governerà il comune in attesa che qualcuno si candidi alle prossime elezioni, a questo punto nel 2027. Per San Luca non è una novità, anzi è l’elezione che sarebbe un’eccezione: quello di giovedì è infatti il terzo commissariamento per mafia deciso negli ultimi 25 anni. Finora l’intervento dello Stato, considerato inconsistente dagli abitanti, non è servito a estromettere la criminalità organizzata dal controllo delle scelte amministrative e degli appalti.

Per circa vent’anni, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Ottanta, San Luca divenne noto in Italia per via dei sequestri organizzati dalla ‘ndrangheta nell’Aspromonte. Insieme a Platì e Natile di Careri formava il cosiddetto «triangolo dei sequestri»: in tutto furono rapite e tenute prigioniere 191 persone.

Nel 2007 la nomea di San Luca superò i confini nazionali, quando sei calabresi di quelle parti furono uccisi da loro concittadini davanti a un ristorante italiano in Germania, gestito da emigrati anche loro di San Luca. Era il 15 agosto. La strage di Duisburg, conosciuta anche come strage di Ferragosto, fu l’episodio più violento di una faida tra due famiglie di ’ndrangheta cominciata nel 1991 con un pretesto, uno scherzo di Carnevale di alcuni ragazzi che lanciarono delle uova contro un circolo gestito da un malavitoso, e che causò negli anni successivi decine di morti.

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Oggi a San Luca abitano poco più di 3.500 persone, di cui solo 700 risultano avere un lavoro. Secondo i dati diffusi dalla commissione antimafia, sono 369 gli abitanti registrati nelle banche dati delle forze dell’ordine come appartenenti alla criminalità organizzata. Sono oltre 200 i detenuti di San Luca condannati per reati come associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Altre 60 persone sono sottoposte ad altre misure cautelari. Sono almeno 5 le ‘ndrine di San Luca, il nome con cui sono conosciute le famiglie di mafia: Strangio, Nirta, Pelle, Vottari e Mammoliti.

Nel 2013 il comune fu commissariato per la prima volta per infiltrazioni mafiose. Non si riuscì a votare fino al 2019. In realtà nel 2015 si presentò una lista, ma non andò a votare quasi nessuno e le elezioni furono annullate. Nel 2019, invece, per smuovere la situazione arrivò a candidarsi l’opinionista svizzero Klaus Davi, presentando una lista di persone che non erano di San Luca. Per impedirne la vittoria si formò un’altra lista civica chiamata «San Luca ai sanluchesi» con a capo Bruno Bartolo, sindaco rimasto in carica fino allo scorso anno, quando alle elezioni non si presentò nessuno. Dal 2000 a oggi San Luca ha avuto tre sindaci ed è stato commissariato complessivamente per dodici anni.

Lo scorso anno Bartolo annunciò di non ripresentarsi alle elezioni denunciando il mancato sostegno da parte dello Stato. Cinque anni prima, infatti, l’allora prefetto Michele Di Bari aveva promesso sostegno e aiuti a chi si fosse preso la briga di candidarsi.

La spiegazione per l’assenza di candidati non è la paura della ‘ndrangheta o il timore di ripercussioni legate al sospetto di contiguità alla ‘ndrangheta, ha scritto sul Post Anna Sergi, professoressa ordinaria di criminologia all’Università di Essex, nel Regno Unito, ed esperta di criminalità organizzata. «La vera ragione è la radicalizzazione di un sentimento anti-Stato che, oltre a essere un problema di ordine pubblico, è un problema politico e un pericolo per la democrazia. Questa radicalizzazione fomenta e si nutre di ‘ndrangheta, certo, ma paradossalmente può diffondersi molto più della ‘ndrangheta stessa, tanto a San Luca che altrove».

Il sentimento «anti-Stato», sostiene Sergi, è dovuta in parte al fastidio per il modo con cui i giornalisti parlano di “mafialand”, ma soprattutto alla frustrazione per l’atteggiamento dello Stato che colpevolizza tutti gli abitanti e allo stesso tempo non offre soluzioni. A San Luca la ‘ndrangheta è vissuta come una reazione all’isolamento e come una necessità, un’istituzione che consente di mantenere l’ordine sociale contro uno Stato inaffidabile. Per tutte queste ragioni è complicato trovare qualcuno pronto a esporsi e diventare rappresentante di quello Stato, anche solo per cinque anni.

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