Chi accompagna Giorgia Meloni negli incontri internazionali
Una delegazione di quattro persone ormai abbastanza collaudata, anche se non sempre affiatatissima

Venerdì scorso il ministero degli Esteri francese ha inviato all’ambasciata italiana a Parigi, e attraverso questa al ministero degli Esteri italiano, la mail con cui veniva convocata la «Riunione sulla pace e la sicurezza per l’Ucraina» per il giovedì seguente. È un po’ la prassi consueta, per questo genere di iniziative. E come di consueto, oltre alle informazioni sul luogo e l’ora dell’incontro, organizzato al Palazzo dell’Eliseo a Parigi giovedì mattina, venivano forniti anche i dettagli sul formato dell’incontro e le istruzioni a cui le varie delegazioni si sarebbero dovute attenere.
Meloni ci ha messo un po’ a decidere se andare, vista la sua diffidenza verso l’attivismo del presidente francese Emmanuel Macron, verso l’idea di una forza militare europea che garantisca la sicurezza dell’Ucraina e verso una minore collaborazione tra Europa e Stati Uniti. Dopo aver deciso una linea comune coi suoi vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini alla fine è andata: lo ha fatto insieme ad altre quattro persone, che compongono abitualmente le delegazioni italiane per questo tipo di incontri, oltre ai vari accompagnatori e collaboratori, che però hanno un ruolo molto defilato.
Il formato della riunione dell’Eliseo è infatti, come si dice nel gergo diplomatico, un 1+2+2. Vuol dire che, oltre al capo di Stato o di governo, sono ammessi all’incontro due accompagnatori della delegazione tecnica, a cui è concesso di assistere all’incontro seduti in disparte o alle spalle del proprio leader, e due altri accompagnatori, che ogni leader sceglie tra i collaboratori di cui si fida di più (possono essere dello staff della comunicazione, della sicurezza personale, o altro).
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Meloni in questi casi ha una squadra consolidata. Oltre a lei c’è la sua segretaria Patrizia Scurti, il capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio Fabrizio Alfano e i due consiglieri diplomatico e militare, Fabrizio Saggio e Franco Federici. Quando il protocollo lo consente c’è anche il fotografo ufficiale di Palazzo Chigi (la sede della presidenza del Consiglio), l’ormai storico Filippo Attili: è lui che si apposta sul piazzale d’onore dell’Eliseo per immortalare l’arrivo di Meloni, le sue strette di mano con Macron che la accoglie, eccetera. Talvolta, più di rado, c’è anche un suo collaboratore addetto alle riprese video.
Di Patrizia Scurti si è detto molto. A lungo nello staff dell’ex leader della destra italiana Gianfranco Fini, a partire dal 2006 è diventata negli anni la più fidata collaboratrice di Meloni, che nella sua autobiografia Io sono Giorgia l’ha descritta come la sua «padrona», spiegando che «non c’è nulla della mia vita che non passi da lei». In effetti il controllo di Scurti sull’agenda della presidente del Consiglio è quasi maniacale, cosa che non di rado ha generato conflitti e malumori all’interno dello staff di Palazzo Chigi. Praticamente tutti quelli che ambiscono a ottenere un colloquio con Meloni passano da Scurti.

Giorgia Meloni con la sua segretaria Patrizia Scurti alla parata del 2 giugno 2024, a Roma (Roberto Monaldo/LaPresse)
Vale per rappresentanti delle istituzioni e delle imprese, ma è valso anche per altri personaggi: Andrea Stroppa, l’esperto informatico che cura gli interessi di Elon Musk in Italia, per mettersi in contatto con Meloni ha raccontato di aver parlato con Scurti; Paolo Zampolli, il sedicente inviato speciale di Donald Trump per l’Italia, per provare a essere ricevuto dalla presidente del Consiglio ha telefonato a Scurti (si è scoperto poi che Zampolli non aveva alcun incarico formale). È stata sempre Scurti, nel settembre del 2023, a passare al telefono i due comici russi Vovan e Lexus che si erano spacciati per il presidente dell’Unione Africana e avevano conversato con Meloni per quasi un quarto d’ora di questioni di politica internazionale senza che lei si accorgesse dell’inganno.
Tra i giornalisti che seguono la presidente del Consiglio Scurti è spesso chiamata la «segretaria di Stato», proprio per evidenziare come spesso si occupi anche di faccende diplomatiche piuttosto delicate, o «capo-Scurti», che è un gioco di parole con “caposcorta”: qui il riferimento è al fatto che una delle persone della scorta personale che Meloni ha voluto accanto a sé dopo essere diventata presidente del Consiglio è Giuseppe Natoli, un agente dei servizi segreti interni dell’AISI che è il marito di Scurti. Tra Meloni e Scurti c’è anche una certa somiglianza fisica, spesso accentuata da uno stile di abbigliamento molto simile: a marzo del 2024 l’ex primo ministro libanese che stava accogliendo Meloni in visita ufficiale ha abbracciato e baciato cordialmente Scurti confondendola per la presidente del Consiglio.
Fabrizio Alfano, 55 anni, è un giornalista politico di lungo corso, e pure lui ha lavorato a lungo con Fini: ne fu il portavoce quando il leader di Alleanza Nazionale era presidente della Camera, tra il 2008 e il 2015. È stato poi capo della redazione politica dell’agenzia AGI. È diventato capo ufficio stampa di Palazzo Chigi nel settembre del 2023. La sua nomina avvenne al termine di un periodo molto turbolento dentro lo staff di Meloni, in cui ci fu una lunga ricerca di responsabili dell’ufficio. Fino al giugno del 2023 il noto giornalista Mario Sechi era stato portavoce e capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio, ma aveva lasciato l’incarico dopo appena sei mesi per via di tensioni con altri collaboratori di Meloni e con la stessa Scurti: si decise allora di promuovere Alfano, che di Sechi era stato il vice.
Significativamente, Alfano non ha mai assunto formalmente l’incarico di portavoce di Meloni, nonostante di fatto svolga anche quel compito, e questo per non mettere in crisi i complicati equilibri dentro allo staff di Meloni, dove a occuparsi di comunicazioni con vari ruoli sono, tra l’altro, anche il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari e la ex portavoce di Meloni Giovanna Ianniello.

Giorgia Meloni col suo portavoce Fabrizio Alfano, nel cortile d’onore di Palazzo Chigi, il 3 ottobre 2024 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Il consigliere diplomatico di Meloni è Fabrizio Saggio. Romano, 53 anni, è stato nominato da Meloni nel dicembre del 2023, per rimettere ordine nel suo ufficio diplomatico dopo il trambusto generato dallo scherzo telefonico dei comici russi, a seguito del quale si era dimesso il capo della struttura Francesco Maria Talò. Saggio non è un uomo di destra, ma Meloni l’anno prima ne aveva apprezzato l’impegno per il Piano Mattei, il piano di cooperazione per l’Africa promosso dal governo, quando era a capo dell’ambasciata italiana a Tunisi. In quella sede piuttosto ambita Saggio ci era arrivato dopo una carriera di prestigio che lo aveva portato a diventare uno dei consiglieri diplomatici del presidente della Repubblica, come vice di Emanuela D’Alessandro (poi designata ambasciatrice in Francia, dopo la fine del primo settennato di Sergio Mattarella).
Saggio gode di apprezzamento trasversale: ha collaborato del resto piuttosto da vicino con ministri di centrodestra (come Franco Frattini), di centrosinistra (come Emma Bonino), e con tecnici come Giulio Terzi di Sant’Agata, che ora è però senatore di Fratelli d’Italia. Ha un orientamento da moderato riformista, certo non un nazionalista, e questo spesso lo rende inviso ai collaboratori più stretti di Meloni: in certe occasioni, soprattutto per quel che riguarda la guerra in Ucraina, ultimamente tra l’ufficio di Saggio e il sottosegretario Fazzolari ci sono state delle incomprensioni.
Sono però preziose le sue competenze maturate nei due anni di consigliere commerciale all’ambasciata italiana a Washington, tra il 2013 e il 2015: già in passato, quando era in servizio al Quirinale, gli sono stati chiesti consulti importanti sulla gestione delle politiche protezionistiche di Donald Trump. Oggi la sua esperienza torna di nuovo utile a Meloni per fronteggiare i dazi promossi dal presidente statunitense.

Franco Federici a Palazzo Chigi, il 27 settembre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Infine c’è Franco Federici. Alpino come suo padre Luigi, che era arrivato a guidare l’Arma dei carabinieri come comandante generale tra il 1993 e il 1997, Federici, sessantenne, ha avuto una lunga esperienza nell’esercito anche a livello internazionale, avendo guidato la missione NATO in Kosovo tra il 2020 e il 2021, oltre che una sezione della missione internazionale dell’ONU (UNIFIL) in Libano nel 2016. Gode di grande stima da parte del ministro della Difesa Guido Crosetto e si occupa, tra l’altro, anche delle politiche spaziali del governo, essendo segretario del COMINT, il Comitato interministeriale che gestisce queste faccende. In questo ruolo ha avuto spesso posizioni in contrasto con quelle del ministro delle Imprese Adolfo Urso, che nel governo gestisce la delega sullo spazio a livello politico.
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