Quasi un terzo degli ospedali gestisce male le liste d’attesa

Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha richiamato le regioni per risolvere «troppe situazioni indegne»

Paziente che viene sottoposto a una TAC
(GettyImages)

Il ministero della Salute Orazio Schillaci ha inviato una nuova lettera alla conferenza delle regioni, l’organo di rappresentanza delle regioni nelle trattative col governo, per richiamarle in merito alla gestione della lunga attesa per esami e visite in ospedali e ambulatori. Schillaci aveva già inviato un richiamo lo scorso ottobre, ma da allora i tempi si sono ulteriormente allungati, al punto che lo stesso ministro ha parlato di «troppe situazioni indegne». Dalle recenti ispezioni dei carabinieri per la tutela della salute (NAS), ha scritto Schillaci, sono emerse gravi irregolarità nel 27 per cento delle strutture sanitarie.

Il problema delle liste d’attesa è discusso da anni, già prima del sensibile peggioramento causato dalla pandemia. Il punto è che in Italia c’è un notevole squilibrio tra la domanda e l’offerta: il numero di persone che cercano di prenotare una visita o un esame è molto più alto rispetto agli appuntamenti disponibili. Questo squilibrio allunga le liste di pazienti in attesa e nei casi meno gravi – la maggior parte – allunga di molto anche i tempi di attesa.

Solo pochi ospedali in Italia riescono a rispettare i tempi massimi previsti dalla legge: entro 72 ore se la priorità è urgente (indicata con la sigla U sulla prescrizione), entro 10 giorni se è breve (B), entro 30 giorni per visite differibili (D), entro 120 giorni quando sono programmate (P). Soprattutto quando le visite sono programmate, l’attesa è di diversi mesi o addirittura supera l’anno. Per questo motivo molte persone preferiscono, anzi sono quasi costrette a rivolgersi a strutture private, che hanno organizzazioni più flessibili rispetto agli ospedali pubblici e possono concentrare l’attenzione e gli sforzi sulle prestazioni più remunerative. In privato ci sono più posti disponibili e soprattutto in tempi molto più rapidi.

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Per ridurre le liste di attesa si può quindi intervenire sulla domanda, cioè contenere il numero di esami e visite, oppure aumentare l’offerta. Negli ultimi anni i governi hanno scelto la seconda opzione: tra il 2020 e il 2024 sono stati dati 2 miliardi di euro alle regioni, che in Italia gestiscono la sanità, per aumentare esami e visite. Di questi soldi tuttavia ne è stato speso circa un terzo.

Schillaci ha sollevato una serie di problemi strutturali che riguardano l’organizzazione delle liste, accusando le regioni di «pratiche opache che ostacolano l’accesso alle cure». Una delle irregolarità più note è la chiusura delle agende, cioè l’impossibilità di prenotare perché non c’è posto, nemmeno a mesi di distanza. Nonostante sia una pratica piuttosto diffusa, è vietata dalla legge: le strutture sanitarie pubbliche devono sempre avere a disposizione appuntamenti, anche a costo di rivolgersi a strutture private convenzionate a cui commissionare la prestazione che non si riesce a garantire.

Come ha scritto il ministro, la chiusura delle agende dipende in parte da «medici che rifiutano di rendere disponibili le proprie agende di lavoro al sistema di prenotazione unificato; professionisti che limitano la propria attività nel servizio pubblico privilegiando quella privata in intramoenia, creando così un sistema a due velocità; dirigenti che non esercitano i dovuti controlli su situazioni che le ispezioni dei NAS hanno dimostrato essere diffuse e sistematiche». Ci sono anche casi di ospedali e ambulatori che gestiscono le prenotazioni con elenchi cartacei invece che con piattaforme digitali.

Una gestione così approssimativa e poco controllata nasconde una serie di stratagemmi portati avanti negli anni per falsare i dati sulle liste di attesa. Spesso capita che quando non sono disponibili appuntamenti, i centri di prenotazione invitano le persone a richiamare nelle settimane successive per controllare se si sono liberati dei posti: in questo modo il tempo di attesa inizia ufficialmente da quando viene fissato l’appuntamento e non dal momento della prima chiamata. Così facendo, le rilevazioni dei tempi e delle liste d’attesa sono inferiori al numero reale. «Non è più sostenibile che in alcune regioni le liste siano ancora immotivatamente e illegalmente chiuse costringendo i cittadini a rivolgersi ai media per veder garantito un proprio diritto costituzionale», ha scritto Schillaci nella lettera inviata alle regioni.

Nel luglio del 2024 il governo approvò un piano per cercare di ridurre le liste d’attesa. Tra le varie novità approvate, una delle più celebrate dal governo fu la creazione della piattaforma nazionale delle liste d’attesa, un sistema per controllare che le regioni rispettino le priorità indicate sulla ricetta.

Finora la piattaforma non ha portato risultati, anche perché senza dati affidabili non è possibile individuare i problemi e risolverli. Molte altre novità di quel piano non si sono ancora concretizzate per via del mancato accordo con le regioni, tra cui la più importante è l’obbligo di introdurre un centro unico di prenotazione tra strutture sanitarie pubbliche e private.