Cosa insegna un biricoccolo
Che gli alberi si possono guardare meglio di come li guardiamo di solito: lo spiega Isaia Invernizzi nella prefazione del nuovo libro di Altrecose "Leggere gli alberi"
Leggere gli alberi, di Tristan Gooley, è il nuovo libro pubblicato da Altrecose, il marchio editoriale creato dal Post assieme alla casa editrice Iperborea. È un manuale che descrive forme di rami, tronchi e foglie, e che spiega come funzionano gli alberi (come fanno a sapere quando è l’ora di fiorire, in primavera?), ma è anche e soprattutto un invito a osservare meglio aspetti dell’ambiente che ci circonda che spesso diamo per scontati e a capire cosa possono insegnarci gli alberi sui posti che ci capita di attraversare.
Quella che segue è la prefazione al libro Leggere gli alberi, scritta da Isaia Invernizzi del Post, che comincia con una scoperta fatta su un biricoccolo (anzi, due). Il libro può essere acquistato in tutte le librerie fisiche e digitali (ma potete anche ordinarlo sul sito del Post, con spese di spedizione gratuite).
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Mentre leggevo questo libro è successo qualcosa di sorprendente. Mi sono accorto che l’unico albero del minuscolo giardino accanto a casa sarebbe stato l’illustrazione perfetta del capitolo che avevo appena finito di leggere.
È un biricoccolo, un albero da frutto di un’antica varietà spontanea, sopravvissuta non si sa come perfino in città. Ogni anno in primavera si ricopre di fiori bianchi e profumati, verso l’estate di frutti rossi e asprigni, un incrocio tra susine, albicocche e ciliegie. La vera sorpresa però sta qui: per me questo biricoccolo era sempre stato un albero. Uno. Singolare. In realtà osservando meglio con il libro tra le mani è venuto fuori che sono due alberi, così avvinghiati tra loro da sembrare uno solo, almeno ai miei occhi inesperti e distratti. Tristan Gooley, l’autore di questo libro, se ne sarebbe accorto al primo sguardo.
Il paragrafo intitolato «Un po’ troppo intimi» (bel titolo in un campionato di titoli notevoli) spiega proprio cosa succede quando due alberi o due rami si toccano e si uniscono fino a fondersi. Si chiama anastomosi, a voler citare il nome scientifico. All’inizio non c’è nulla di male, anzi è un fenomeno affascinante e in alcuni casi provvidenziale, perché gli alberi finiscono per sostenersi a vicenda. Con il tempo però la crescita eccessiva può comprometterne la stabilità fino a spezzarli. Com’è stato possibile non accorgersi di tutto questo passandoci accanto ogni giorno per anni? Non rendersi conto, soprattutto, che erano due alberi e non uno? Nelle pagine successive ho trovato un po’ di consolazione.
Anche per Gooley non è così semplice osservare i movimenti lentissimi degli alberi, men che meno la loro crescita. Quando si avvinghiano tra loro lo fanno a una velocità impercettibile, e anche se alla lunga rischiano di spezzarsi non c’è un momento preciso in cui scatta un allarme. Non c’è una soglia del dolore. Succede e basta, un millimetro dopo l’altro. Sta alle persone accorgersene in tempo.
I due biricoccoli erano sempre stati uno solo perché «leggere» gli alberi e tenere d’occhio tutti i loro segnali è anche più difficile nell’incedere della quotidianità, in mezzo a vite frettolose e impazienti. Gli alberi sembrano sempre immobili, per questo la maggior parte delle persone li ignora fino a quando non accade qualcosa di davvero grave, come una caduta naturale o un abbattimento deciso da qualcuno. Vengono ignorati, appunto, perché già distinguere un olmo da un leccio non è cosa da tutti, figuriamoci riconoscere i cambiamenti che non siamo preparati a vedere: un ramo fuso con un altro, una foglia raggrinzita, un’inclinazione eccessiva.
Vale lo stesso per i cambiamenti climatici. Gli eventi estremi come alluvioni, tempeste e siccità sono spesso una manifestazione evidente di quanto il clima stia cambiando, eppure la maggior parte delle persone li affronta nell’emergenza e poi passa oltre. I cambiamenti non sono percepibili nello scorrere veloce del tempo, giorno per giorno. Sono quasi invisibili, proprio come la fusione dei due alberi accanto a casa mia. Questo libro – meglio mettere le mani avanti – non parla esplicitamente dei cambiamenti climatici, anzi non ne fa quasi cenno. Aiuta piuttosto a riconoscere i segnali meno evidenti lasciati dalla natura, e in particolare dagli alberi: i loro movimenti solo all’apparenza lentissimi.
Perché gli alberi, scrive Gooley, «non vedono l’ora di raccontarci tantissime cose». Lasciano sempre tracce che permettono di capire il passato e in un certo senso prevedere il futuro. Basta osservare e farsi le domande giuste. Come mai le foglie dell’acero hanno cinque lobi? In che modo le radici dei pioppi si adattano al terreno umido? Com’è che alcuni alberi sono più alti di altri? Perché la corteccia è più spessa da un lato? Quanto influiscono sulla crescita il sole, il vento, la pioggia, la siccità? C’entra il caso o gli alberi hanno una sorta di volontà, una possibilità di scelta?
Tristan Gooley ha trovato una risposta a queste e a molte altre domande in anni di lunghe camminate nei boschi vicino a casa, nel Sussex, in Inghilterra, e in altri posti più remoti. Ha guidato spedizioni in tutti i continenti; ha scalato montagne in Europa, Africa e Asia; ha navigato su piccole imbarcazioni attraverso gli oceani e pilotato aerei in Africa e nell’Artico. La Bbc lo ha soprannominato «Sherlock Holmes della natura», anche se il suo cappello preferito ricorda più quello di Indiana Jones. Gooley è conosciuto soprattutto per aver fondato una scuola di orientamento nella natura con seguaci in tutto il mondo. Gli piace perdersi per poi ritrovare la strada di casa facendosi guidare dagli alberi e dai corsi d’acqua. Insomma, un bel tipo.
Nelle pagine che seguono parla della natura in modo chiaro e sorprendente. Non impone una conoscenza enciclopedica e non parla di scienza alla maniera degli scienziati. Condivide invece alcuni strumenti per orientarsi – letteralmente – tra le specie arboree più comuni, quelle che possiamo incontrare nei parchi vicino a casa o durante una gita in campagna, e trucchi per scoprire dettagli nascosti dietro a ciò che gli occhi percepiscono appena. Da questi dettagli, attraverso gli alberi, è possibile capire come stia cambiando la terra.
Ma in fondo il suo esempio è anche un altro, che con la natura c’entra fino a un certo punto. Ha a che fare soprattutto col tempo, e con la necessità di prendersene un po’ per dedicarlo all’esplorazione, di un bosco o di un parco in città, staccando il telefono, senza pensare al lavoro, alle scadenze e al consumo. Nei ricorrenti interventi tra le pagine Gooley la mette così: «Un pizzico d’inattività fa bene al cervello». È un invito a fermarsi, a perdersi per avere il piacere di ritrovare la strada, a considerare con spirito critico come si sta vivendo, perfino nell’attenzione avuta durante una breve passeggiata.
Come ogni albero è diverso dall’altro, anche di questo libro non esiste un’unica lezione o conclusione. C’è chi lo accoglierà con leggerezza, che comunque non fa male, chi invece troverà spunto per riflessioni più profonde e personali. Non è essenziale conoscere i nomi di tutti gli alberi o individuare le caratteristiche e i problemi di ogni singolo esemplare, scrive Gooley, l’importante è dedicare un po’ di tempo all’osservazione, alla scoperta della natura e al piacere della scoperta.
Puoi comprare Leggere gli alberi sul sito del Post (con spedizione gratuita).
Alcune delle pagine illustrate di Leggere gli alberi di Tristan Gooley