Le esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti sono bloccate
Sono stati disdetti gli ordini per paura che entrino in vigore i dazi annunciati da Trump, che preoccupano i produttori

Da circa una settimana si sono fermate molte esportazioni di vino italiano e prosecco verso gli Stati Uniti. I produttori italiani e gli importatori statunitensi sono molto preoccupati che possano entrare in vigore a breve i dazi del 200 per cento su vino, champagne e alcolici prodotti nell’Unione Europea annunciati dal presidente Donald Trump il 13 marzo. Il risultato è che da giorni imprenditori e associazioni di categoria parlano di casse con migliaia di bottiglie ferme nelle cantine e nei porti (il vino viene spedito via mare), senza sapere quando e se saranno spedite. Molti importatori, dicono i produttori, hanno infatti annullato i loro ordini per paura di dover pagare molto di più una volta che la merce sarà arrivata a destinazione, se per allora l’amministrazione di Trump avrà approvato l’entrata in vigore di questi dazi.
Trump aveva minacciato di imporre i dazi sugli alcolici europei dopo che l’Unione Europea aveva annunciato alcuni dazi sulle merci statunitensi importate dai paesi europei: erano stati decisi in risposta a quelli ordinati dall’amministrazione di Trump su acciaio e alluminio importati dagli Stati Uniti. La settimana scorsa la Commissione Europea ha fatto sapere che rimanderà dall’1 al 13 aprile l’entrata in vigore dei dazi. Se Trump dovesse confermare il suo annuncio, quelli su vino e alcolici europei potrebbero essere imposti subito dopo.
Sandro Sartor, presidente e amministratore delegato dell’importante azienda vinicola toscana Ruffino, ha spiegato che se una nave partisse ora da Livorno arriverebbe negli Stati Uniti dopo la metà di aprile. «Nel dubbio, per timore di dover pagare il 200 per cento dei dazi su ogni bottiglia, gli importatori americani hanno già cancellato tutti gli ordini», ha detto. Ruffino ha quasi un milione di bottiglie chiuse in un deposito dopo le disdette.
Il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, dice che è bastato l’annuncio di Trump a generare una forte incertezza in tutto il settore, sia in Italia che negli Stati Uniti. Frescobaldi parla di una «fase di stallo» in cui nessuno sa come comportarsi: le bottiglie sono bloccate nelle cantine e nei porti, e «gli importatori statunitensi di vino non sono in grado di fare piani aziendali non conoscendo le condizioni di mercato da qui al brevissimo termine». Lo stesso vale per i ristoratori e i negozianti statunitensi che vendono principalmente vini europei, e per i distributori.
L’annuncio di Trump aveva avuto conseguenze concrete fin da subito. Già il 13 marzo Mary Taylor, titolare di un’importante azienda che importa vini europei, aveva detto all’agenzia Reuters che stava cercando di capire se poteva annullare alcuni suoi ordini già in viaggio. «Se devo pagare… sono finita», aveva detto riferendosi all’eventualità che le navi arrivassero dopo l’entrata in vigore dei dazi al 200 per cento.
Il giorno dopo la catena Total Wine & More, un grosso rivenditore con sede a Bethesda, nel Maryland, ha scritto alle cantine italiane da cui importa normalmente che intendeva sospendere gli acquisti per la stessa ragione, almeno temporaneamente. Pochi giorni fa anche l’associazione degli importatori americani, US Wine Trade Alliance, ha scritto ai propri associati di interrompere tutte le importazioni dall’Europa.
Sebbene nel complesso il settore agroalimentare non sia quello principale nelle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, i dazi del 200 per cento avrebbero comunque un impatto considerevole sui produttori di vino italiani. Secondo numeri forniti dall’Unione italiana vini, nel 2024 era diretto negli Stati Uniti il 24 per cento del vino italiano esportato, per un valore di 1,93 miliardi di euro. Per l’Uiv i dazi inciderebbero in particolare sui vini italiani esportati considerati in fascia “popolare”, che sono la maggior parte: 350 milioni di bottiglie, vendute ciascuna al dettaglio al massimo per 13 dollari (i vini della fascia più alta rappresentano solo il 2 per cento di quelli esportati).
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Naturalmente l’impatto di questi possibili dazi non sarebbe uguale per tutti i produttori, ma dipende dalla quantità di bottiglie esportate negli Stati Uniti da ciascuna azienda. Il Consorzio Franciacorta, per esempio, al momento non ha ricevuto segnalazioni di particolari problemi dei suoi consociati, che con gli Stati Uniti hanno meno rapporti rispetto ad altri consorzi vinicoli italiani. Per un’azienda come Ruffino invece, che deve metà del suo fatturato alle esportazioni negli Stati Uniti, i dazi causerebbero con ogni probabilità dei grossi danni a livello economico.
Negli ultimi giorni le associazioni di categoria hanno chiesto in vari modi al governo italiano di intervenire per impedire i dazi, e il grave danno economico che ne conseguirebbe. Il 19 marzo il presidente e il segretario generale di Uiv, Lamberto Frescobaldi e Paolo Castelletti, ne hanno parlato con il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Martedì i tre consorzi di tutela del prosecco (Prosecco Doc, Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e Asolo Prosecco Docg), che complessivamente esportano negli Stati Uniti quasi 150 milioni di bottiglie, hanno scritto una lettera al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, per chiedere un suo intervento. «Il venir meno di un mercato simile comporterebbe la necessità di individuare paesi alternativi ove andare a collocare queste produzioni e, nell’emergenza, questo comporterebbe di sicuro una pesante contrazione del valore, con ripercussioni per le nostre aziende, sia in termini economici che sociali», hanno spiegato. Anche i consorzi del Chianti Classico, Brunello di Montalcino, Bolgheri e Barolo hanno scritto al ministro, scrive il Sole 24 Ore.
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