C’è sempre meno stigma sui trapianti di capelli

Andare in Turchia per farne uno è diventato normale, grazie ai prezzi accessibili e alle persone che raccontano le loro esperienze sui social

di Giuseppe Luca Scaffidi

Un paziente che si è sottoposto a un trapianto di capelli nella clinica Esteworld di Istanbul nel 2017 (Chris McGrath/Getty Images)
Un paziente che si è sottoposto a un trapianto di capelli nella clinica Esteworld di Istanbul nel 2017 (Chris McGrath/Getty Images)
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La clinica New Hair si trova al terzo piano di un edificio di Pendik, un esteso quartiere a sudest del Bosforo, nella parte asiatica di Istanbul. È una zona residenziale e molto silenziosa, piuttosto anonima dal punto di vista architettonico e lontana dalle attrazioni turistiche della principale città turca: per raggiungere posti come la basilica di Santa Sofia, il palazzo di Topkapi o il ponte di Galata bisogna spostarsi in taxi o sui mezzi pubblici per più di un’ora.

Eppure, nonostante si trovi in una posizione così scomoda e periferica, la clinica è frequentata ogni mese da decine di cittadini italiani: è infatti specializzata nei trapianti di capelli, interventi molto richiesti e attorno ai quali da almeno una decina d’anni si è sviluppata una fortunata forma di turismo medico. Le cliniche proliferano, i pacchetti turistici tutto compreso (voli, hotel e clinica) abbondano e l’intero settore ha un volume di affari stimato intorno ai 2 miliardi di dollari all’anno.

La clinica è stata fondata dall’imprenditore marchigiano Gianluca Pappalardo, che un paio d’anni fa ha deciso di mettersi in affari con Yasemin Yamuk, una dottoressa specializzata in questo tipo di interventi. Alla New Hair si fanno «circa 90 trapianti al mese», dice Pappalardo, e tutti i clienti sono italiani. Yamuk racconta che l’Italia ha un’ottima nomea tra gli addetti ai lavori, e che le richieste dal paese «sono sempre tantissime».

Una volta entrati in clinica, i pazienti vengono sottoposti a un elettrocardiogramma per verificare le loro condizioni cardiache. Poi vengono rasati a zero, e a quel punto vengono condotti in uno studio per il disegno dell’hair line, l’attaccatura frontale dei capelli. Yamuk dice che è «l’elemento estetico a cui le persone tengono di più», e che la sua definizione è sempre frutto di trattative, perché «se si sbaglia a tracciare la linea, poi non c’è più modo di rimediare».

Matteo (nome di fantasia), una delle persone venute in clinica per l’operazione, dice che ora come ora fare un trapianto in Turchia è «una passeggiata», perché «basta contattare un’agenzia, entrare in contatto con una clinica e fare l’operazione. Se hai qualche risparmio da parte, in un paio di giorni ti togli il dente». Il tutto spendendo una cifra tutto sommato contenuta: «cosa sono un paio di migliaia di euro di fronte alla propria felicità?».

Capelli prima di un impianto nela clinica Esteworld di Istanbul nel 2017

Capelli prima di un impianto nella clinica Esteworld di Istanbul nel 2017 (Chris McGrath/Getty Images)

Secondo Matteo, l’accessibilità dei trapianti ha permesso di risolvere «una fragilità che è spesso difficile da comprendere», specialmente da chi i capelli ce li ha. «Cominci a vederti diverso, a perdere ore a pettinarti per nascondere i buchi, a farti scrupoli prima di fare un tuffo al mare», dice.

Insieme a Matteo c’è anche Sergio (altro nome di fantasia), che si definisce un «precursore» di questo genere di interventi. Fece il primo trapianto vent’anni fa in Belgio, per correggere i primi segni di stempiatura. «Sapevo che nel lungo periodo avrei perso i capelli, e quindi decisi di muovermi con largo anticipo», racconta.

In quel periodo reperire informazioni non era così immediato: «Oggi ci sono gruppi Facebook interamente dedicati ai trapianti, e frequentarli è un buon modo per orientarsi, condividere pareri e capire a che professionista affidarsi per evitare fregature o brutte sorprese». Prima invece «gli spazi in cui parlarne erano davvero pochi», e le tecniche non erano ancora avanzate. Se tornasse indietro, Sergio «farebbe una scelta più consapevole: ero molto giovane, non riuscivo a guardarmi allo specchio, e per rimediare a quel senso di inadeguatezza feci tutto di fretta e in modo avventato. Per fortuna andò bene».

La perdita di capelli è un processo naturale che si verifica con l’avanzare dell’età. Non riguarda tutte le persone allo stesso modo e interessa l’80 per cento degli uomini e il 40 per cento delle donne. Le cause sono diverse, ma la più frequente è l’alopecia androgenetica, condizione che per cause per lo più genetiche porta il follicolo pilifero a diventare sempre più piccolo, facendo assottigliare i capelli fino alla loro perdita. Il processo può essere in parte arrestato o invertito, a patto di intervenire prima della perdita completa del capello. Non tutti i pazienti sono ricettivi allo stesso modo (all’alopecia androgenetica si possono sovrapporre altre cause) e di conseguenza non sempre i trattamenti si rivelano efficaci.

La foto di un paziente durante un trapianto di capelli nella clinica Esteworld di Istanbul nel 2017

Un paziente durante un trapianto di capelli nella clinica Esteworld di Istanbul nel 2017 (Chris McGrath/Getty Images)

Quando Sergio fece la prima operazione in Belgio, il metodo più diffuso era il cosiddetto FUT (trapianto di unità follicolari), in molti casi utilizzato ancora oggi. Consiste nell’asportare una striscia di cuoio capelluto nella parte posteriore della testa, chiamata in gergo strip. La ferita viene poi chiusa con dei punti, mentre separatamente vengono selezionate le unità follicolari dalla striscia di pelle appena asportata.

Oggi il metodo più usato è invece il FUE (estrazione di unità follicolari), che non prevede di asportare un’intera striscia di pelle, ma di rimuovere una per una le unità follicolari da trapiantare. Uno strumento crea una incisione intorno all’unità follicolare, in seguito questa viene estratta e poco dopo collocata nella nuova posizione sulla testa. Entrambe le tecniche presentano vantaggi e svantaggi ed è ancora dibattuto se effettivamente una pratica sia meglio dell’altra.

– Leggi anche: I trapianti di capelli funzionano?

A seconda delle caratteristiche dei capelli del paziente, della loro abbondanza nell’area donatrice e di altri parametri, la quantità di unità follicolari trapiantate varia molto. In media in un primo intervento il trapianto riguarda almeno 2mila unità, ma ci sono casi in cui possono essere necessarie più di 3mila unità. Da tempo si parla di future tecniche basate sull’impiego di cellule staminali (cellule non differenziate che possono poi assumere determinate funzioni), o di ingegneria genetica per clonare i follicoli, ma i progressi vanno a rilento, mentre si sono affinate tecniche e strumentazioni soprattutto legate al metodo FUE (una di queste è la cosiddetta DHI).

La convalescenza non presenta particolari rischi, ma può essere «molto pesante dal punto di vista psicologico», dice Sergio. Al termine dell’operazione il cuoio capelluto viene disinfettato, poi viene coperto da garze per evitare che le ferite si infettino. Di solito viene prescritto un ciclo di antibiotici per ridurre ulteriormente il rischio di infezioni, che potrebbero danneggiare le unità follicolari da poco trapiantate.

I primi giorni di convalescenza possono essere fastidiosi a causa del bruciore post intervento. Dopo l’operazione, tutte le cliniche suggeriscono delle pratiche che i pazienti dovrebbero seguire per evitare danni al trapianto. Per esempio, spiega Matteo, «non si può dormire a pancia in giù, bisogna medicare le ferite con delicatezza e non ci si può lavare i capelli con il getto della doccia, ma soltanto utilizzando un bicchiere d’acqua tiepida con una certa accortezza».

Alcune settimane dopo l’operazione inizia la fase psicologicamente più difficile: i nuovi follicoli vanno incontro a una fase di perdita, che porta in breve tempo tutti i nuovi capelli a cadere. È una reazione normale e dovuta alle fasi cicliche in cui passa il capello, accelerate dall’operazione, ma veder cadere la chioma da poco conquistata dolorosamente e a caro prezzo non è un’esperienza piacevole. «In quei giorni bisogna essere forti, fare pace con sé stessi e confidare che il peggio passerà», dice Matteo.

Un altro elemento della convalescenza che può causare un certo imbarazzo in alcuni pazienti è il rientro al lavoro: «Ho un negozio, e dopo l’intervento devo tornare subito dietro al bancone», racconta Sergio. «Farsi vedere in pubblico con le garze e le croste in testa non è il massimo. L’ideale sarebbe evitare contatti col pubblico fino alla caduta delle croste, ma purtroppo non tutti hanno questa possibilità».

Non è raro che durante il soggiorno nascano nuove amicizie. Questo perché i pazienti trascorrono molto tempo insieme: incontrandosi in albergo, spostandosi in clinica e in aeroporto, cenando insieme dopo l’intervento e scambiandosi impressioni o consigli dopo l’operazione. Matteo e Sergio si conoscono da anni, ma a Istanbul hanno conosciuto Marco, un ragazzo di 33 anni che non aveva mai pensato a un trapianto prima di poche settimane fa. «Mi vedevo rasato, e il risultato mi convinceva». Poi però due persone che frequentano la sua stessa palestra gli hanno parlato del trapianto, e così ha deciso «di provare, anche perché i prezzi non sono poi così eccessivi. Mi sono detto: “perché no?”».

Un paziente parla con una dottoressa dopo essersi sottoposto a un trapianto di capelli presso la clinica Esteworld di Istanbul (Chris McGrath/Getty Images)

Prima di fondare la sua clinica Pappalardo aveva già lavorato nel settore, ma in un modo un po’ diverso: come altre agenzie attive in Italia, si occupava di contattare pazienti interessati ai trapianti e di metterli in contatto con alcune cliniche locali. Nel suo caso, con la più famosa in assoluto: quella del dermatologo Serkan Aygin, un nome in cui è facile imbattersi cercando informazioni sui trapianti.

Secondo Pappalardo, ma il parere è largamente condiviso, Istanbul ha sviluppato «un ecosistema virtuoso» che ha reso «molto conveniente» questo tipo di interventi.

Il primo elemento che ha reso il paese un posto vantaggioso per i trapianti è il cambio di valuta, favorevole per molti paesi occidentali. Un trapianto in Italia può costare dagli 8 ai 10mila euro (i prezzi variano molto), mentre in Turchia si può arrivare a spendere un terzo: questa circostanza ha fatto sì che i trapianti  diventassero «una cosa normale», rendendoli accessibili a un gran numero di persone.

Ma i trapianti sono così accessibili anche per via della concorrenza: si stima che a Istanbul ci siano circa 5mila cliniche specializzate, e in un contesto così competitivo mantenere prezzi bassi è diventato necessario per attrarre pazienti.

Un altro fattore da considerare è che Istanbul è un posto semplice da raggiungere, e con una burocrazia snella. Per esempio, per entrare in Turchia dall’Italia non serve neppure un passaporto: basta la carta d’identità. «L’abbattimento di questo ostacolo rende tutto più semplice e veloce», dice Pappalardo.

Sia Matteo che Sergio concordano sul fatto che, al di là della convenienza economica, oggi i trapianti sono così diffusi anche perché lo stigma attorno a questi interventi è molto diminuito. Fino a qualche anno fa parlare apertamente di trapianto poteva essere difficile, perché il ricorso alla chirurgia estetica da parte degli uomini non era ancora socialmente accettato. «Fare un trapianto veniva considerata una forma di vanità evitabile, poco virile e frivola», dice Sergio.

Oggi l’argomento non è più un tabù. A rendere i trapianti un argomento di discussione tra i tanti hanno contribuito anche le prime persone famose che cominciarono a parlarne apertamente. Nel 2011 Wayne Rooney, ai tempi attaccante del Manchester United, annunciò di aver fatto un trapianto di capelli in una clinica di Londra, con un tweet che ai tempi fu ampiamente ripreso e commentato. «Ciao a tutti, ecco la mia testa. Ci vorranno alcuni mesi perché cresca. È ancora un po’ sanguinante. Ma è tutto normale», scrisse pubblicando una foto post trapianto. «Stavo diventando calvo a 25 anni e mi sono detto: perché no?», aggiunse.

Oltre a Rooney, altri calciatori famosi si sono sottoposti a trapianti di capelli (Rio Ferdinand, Bacary Sagna, Rivaldo e Nemanja Gudelj, solo per citarne alcuni). Le cliniche che li hanno operati hanno sfruttato la loro fama per acquisire visibilità, mostrando i risultati ottenuti con delle foto pre e post intervento. In altri casi, pur non avendoli operati direttamente, li hanno citati sui loro siti per stimolare la curiosità delle persone potenzialmente interessate. Negli stessi spazi anche star di Hollywood come Tom Hanks e John Travolta vengono spesso citate come esempi di persone famose che hanno fatto un trapianto (i diretti interessati non hanno mai confermato).

Anche i social hanno avuto un ruolo in questa normalizzazione: oltre ai gruppi Facebook, negli ultimi tempi sempre più persone hanno cominciato a raccontare la loro esperienza sui social. Una di loro è Simone (@bellicapelli), che ha deciso di mostrare i progressi del suo intervento su Instagram e su TikTok. «Lavoro nel marketing, avevo in mente di usare i social per qualche progetto e ho pensato che parlare del trapianto poteva essere un modo per creare un senso di comunità, intercettando tutte le persone che stanno pensando di fare questo intervento». Nel caso di Simone, la decisione di ricorrere al trapianto non è stata dettata da una forma di insicurezza o disagio: «stavo bene con me stesso, è stata più un regalo per i miei quarant’anni: avevo un po’ di soldi da parte, e ho deciso di festeggiarli con i capelli».

L’attività social di Simone è incentrata sul racconto dei progressi ottenuti dal momento del trapianto, e sul prendere in carico le domande delle persone che lo seguono. «Preciso sempre che non sono un medico, e che ciò che dico riguarda esclusivamente la mia esperienza personale».

Anche Mattia Barbiero (@mattiabarbiero_) ha aperto dei profili su Instagram e TikTok per condividere la sua esperienza. «Ho cominciato a perdere i capelli da giovane, e l’ho vissuto come un disagio fortissimo, che incideva sul mio umore e mi rendeva insicuro». Per Barbiero, parlare apertamente dei trapianti  «è un modo per abbattere lo stigma attorno a un disagio che, fino a qualche tempo fa, veniva raccontato poco e male».

Per affrontare l’argomento da prospettive diverse, Barbiero ha strutturato una sua piccola linea editoriale. Pubblica quotidianamente video con obiettivi diversi: alcuni sono consigli su come comportarsi dopo l’operazione (come tenere il cuoio capelluto a riposo, che shampoo usare, che movimenti evitare per non compromettere la riuscita dell’intervento, e così via), altri sono aggiornamenti sui risultati dell’operazione, altri ancora raccontano i trapianti fatti da persone famose. Ha anche aperto un gruppo Facebook dedicato al tema.

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