Le ispezioni alle petroliere a Savona dopo il caso della Seajewel
Servono a controllare che non ci siano bombe sugli scafi; intanto la procura continua a indagare sulle esplosioni avvenute a febbraio
di Laura Fasani

Dopo l’esplosione che a metà febbraio ha danneggiato la petroliera Seajewel a Vado Ligure, in provincia di Savona, diverse navi petroliere sono state sottoposte a ispezioni al largo del porto. La Capitaneria di porto di Savona parla di «una decina» di navi controllate, ma non ha reso noto il numero preciso. È una misura preventiva ma inusuale, dovuta al livello di sicurezza richiesto nell’area in cui c’è stato il presunto attacco alla Seajewel. Le ispezioni vengono fatte alla carena, cioè la parte sommersa dello scafo, dunque sott’acqua, e servono a verificare che lo scafo sia integro e non ci siano anomalie, per esempio delle bombe: secondo le indagini all’esterno della Seajewel erano attaccati due ordigni esplosivi, uno dei quali ha provocato uno squarcio di oltre un metro e mezzo nella carena.
Le ispezioni non vengono fatte a tutte le petroliere che arrivano, ma solo ad alcune. Vengono valutate caratteristiche precise: la provenienza delle navi, le toccate precedenti, cioè i porti in cui hanno attraccato prima di arrivare a Vado Ligure, e il tipo di prodotto che trasportano. Dalla Capitaneria di Savona, che è responsabile della sicurezza del porto, non dicono di più su cosa faccia ritenere necessaria un’ispezione, e non specificano se vengono cercati legami con la Russia. Ci sono diversi elementi, comunque, per sospettare che l’attacco alla Seajewel c’entri con la guerra in Ucraina.
Chi ordina le ispezioni è la Capitaneria di porto di Savona, che dà mandato di eseguirle alle agenzie marittime, cioè i referenti locali degli armatori. In un’ordinanza di metà marzo firmata dal comandante Matteo Lo Presti, visionata dal Post, si legge che l’obiettivo dell’ispezione è verificare l’integrità dello scafo e l’assenza di «eventuali ostacoli in prossimità dell’opera viva» della nave, cioè della carena. Non si citano quindi ordigni, ma è ragionevole ritenere che ci sia questa preoccupazione. Nel testo del provvedimento si fa peraltro riferimento all’«evento occorso in data 14 febbraio», cioè quello in cui è stata coinvolta la Seajewel.
Funziona così, secondo un agente marittimo che lavora con le navi petroliere ispezionate: una volta ricevuta l’ordinanza le agenzie marittime coinvolgono ditte specializzate (una di queste si chiama I.L.MA.SUB., di Vado Ligure, già incaricata dalla Capitaneria di altre ispezioni) e organizzano l’ispezione quando arriva la nave al largo del porto. Le petroliere attraccano di solito al campo boe Sarpom, dal nome della società che gestisce l’area: è un’area di fronte al porto dove ci sono sette grosse boe a cui le petroliere si attaccano mentre scaricano il petrolio greggio in tubature sottomarine. Queste tubature sono collegate con la raffineria di Trecate, in provincia di Novara, in Piemonte, dove si lavora il greggio e lo si distribuisce sotto forma di carburante ad altre aziende. Ogni anno al campo boe Sarpom arrivano circa 80 navi, in questo periodo circa una o due alla settimana.
Alle navi che arrivano ora non viene più dato subito un punto di fonda. È la posizione di sosta per gettare l’ancora vicino alla costa, in attesa di potersi agganciare al campo boe Sarpom. Vengono lasciate invece in drifting, come si dice in gergo, cioè devono fermarsi “in folle” a qualche miglio dalla costa. A quell’altezza non possono gettare l’ancora perché il mare è troppo profondo: devono quindi tenersi in posizione usando il proprio carburante.
Quando si avvicina il momento di fare ormeggiare la nave, da Vado Ligure parte un rimorchiatore della ditta incaricata dell’ispezione che si avvicina alla nave. A bordo, oltre a chi guida, c’è almeno un’altra persona che ha il compito di manovrare un ROV (acronimo di Remotely Operated Vehicle), cioè un robot sottomarino dotato di telecamera e guidato a distanza che serve per scandagliare i fondali. L’operatore fa girare il ROV attorno allo scafo della nave e nel frattempo guarda le immagini in diretta da un monitor sul rimorchiatore. In questo modo verifica che non ci sia nulla attaccato alla carena.
Questa operazione richiede circa tre ore di tempo, spiega un agente marittimo che preferisce rimanere anonimo. È possibile fare le ispezioni delle carene solo a certe condizioni: dev’essere giorno per avere la luce del sole, il mare deve essere calmo e non deve esserci vento, altrimenti il rimorchiatore non può avvicinarsi alla petroliera in sicurezza e le immagini riprese dal ROV rischiano di essere torbide. In quel caso, bisogna rimandare o rifare tutto da capo. Se dal ROV non emerge nulla di anomalo, e la relazione tecnica inviata alla Capitaneria di porto soddisfa i requisiti, la nave viene fatta attraccare.
Secondo l’agente marittimo, le petroliere ispezionate dalla fine di febbraio sono almeno sei: non molte in termini assoluti, ma l’operazione ha comunque imposto cambiamenti nelle procedure che normalmente si seguono quando arriva una nave di questo tipo. È una delle conseguenze per ora più tangibili del caso della Seajewel, dopo l’indagine aperta dalla procura di Genova per naufragio con l’aggravante del terrorismo, su cui non ci sono ancora stati sviluppi sostanziali. Dalla Capitaneria di porto fanno sapere che non è ancora stato deciso se le ispezioni saranno fatte anche dopo questa prima fase di allerta.
Nonostante prendano più tempo delle solite procedure di scarico, finora le ispezioni non hanno causato problemi o ritardi nella fornitura del petrolio. A Malpensa, per esempio, dove gli aerei vengono riforniti in parte con il carburante raffinato a Trecate, non ci sono stati disservizi.
L’attacco alla Seajewel era avvenuto nella notte tra venerdì 14 e sabato 15 febbraio mentre la nave era ferma in rada, a poche centinaia di metri dalla costa. Una prima bomba aveva aperto uno squarcio nella carena, danneggiando però solo lo strato più esterno. Non c’era quindi stato uno sversamento di petrolio in mare e nessuno era stato ferito. Una seconda bomba era esplosa sul fondo del mare ventidue minuti dopo: forse si era staccata dalla chiglia per un malfunzionamento.
L’ipotesi degli investigatori è che una squadra di sommozzatori sia partita da terra, si sia immersa con il buio, abbia coperto la breve distanza che li separava dalla petroliera, e abbia piazzato le bombe. Poi si sarebbe allontanata mentre qualcuno da terra controllava la situazione.
Le indagini si stanno concentrando sulla scatola nera della petroliera, e su un campione di petrolio per stabilirne la provenienza. Secondo l’agenzia Reuters la Seajewel e altre due petroliere danneggiate in Turchia e in Libia nei mesi scorsi avevano di recente attraccato in Russia. Una di queste, la Seacharm, appartiene alla stessa compagnia greca della Seajewel, la Thenamaris, ed era arrivata a Savona pochi giorni dopo la Seajewel. Sull’incidente della Seacharm le autorità greche hanno aperto un’indagine. Un’ipotesi è che gli attacchi facciano parte di una campagna di sabotaggi per colpire nel Mediterraneo le petroliere che partecipano al commercio del greggio e del gas russi aggirando le sanzioni internazionali.
Al momento la Seajewel è in Grecia, ferma da settimane al largo del porto del Pireo, dove dovrebbe essere riparata e dove sono attesi anche i due consulenti incaricati dalla procura di fare i rilievi.
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