La riapertura del contestato CPR di Torino
Prima che chiudesse i migranti erano tenuti lì in condizioni degradanti, e arrivavano a commettere anche atti di autolesionismo

Nel fine settimana a Torino ci sono state diverse manifestazioni di protesta contro la riapertura del Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) che si trova tra via Santa Maria Mazzarello e corso Filippo Brunelleschi, a sudovest della città. Ha riaperto lunedì 24 marzo dopo due anni di chiusura. È uno dei nove centri dove vengono detenute le persone che non hanno un permesso di soggiorno valido per rimanere in Italia, in attesa di essere espulse: era stato chiuso nel 2023 dopo che alcuni migranti avevano incendiato parte dei locali e reso inagibili gli spazi.
La segretaria della CGIL di Torino, Elena Ferro, dice che non si sa ancora quando arriveranno i primi migranti, ma dovrebbero essere una ventina su un totale di 70 posti.
Il CPR di Torino è un posto criticato da tempo dalle associazioni che si occupano di diritti delle persone migranti per via delle pessime condizioni igienico-sanitarie, e degli atti di autolesionismo documentati negli anni. Quello più grave e recente è avvenuto il 23 maggio del 2021, quando un uomo di 23 anni originario della Guinea, Moussa Balde, si suicidò. Era stato portato al CPR di Torino perché era stato trovato senza documenti dopo aver subito un’aggressione da parte di tre uomini a Ventimiglia: era poi stato messo in isolamento in una sezione nota come “ospedaletto”, che comprende dodici celle spoglie e buie, prive di spazi comuni. Lì si impiccò. Nel 2019 un altro uomo detenuto, Faisal Hossein, si era suicidato mentre si trovava in isolamento nella stessa sezione.
La sezione dell’ospedaletto ha chiuso, dice Francesca Troise, la presidente della circoscrizione 3 di Torino. Troise ha visitato il CPR in un primo sopralluogo lunedì insieme a un deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Marco Grimaldi. Il nuovo direttore le ha confermato che il CPR è aperto da lunedì mattina, ma non sa ancora quando arriveranno le prime persone.
A metà febbraio è iniziato il processo per la morte di Balde: gli imputati sono l’ex direttrice del centro e il medico che ne aveva disposto l’isolamento. Entrambi sono accusati di omicidio colposo.

L’avvocato di Moussa Balde, Gianluca Vitale, con la mamma e il fratello di Moussa Balde, Djenabou e Thierno Balde, a Torino, 12 febbraio 2025 (ANSA/BRUNO BRIZZI)
Della riapertura del CPR di Torino si era cominciato a parlare quando la scorsa estate la prefettura aveva bandito la gara d’appalto per l’affidamento dei servizi all’interno del centro. A ottobre i residenti della zona, la circoscrizione 3, i sindacati e numerose associazioni avevano costituito la “Rete torinese contro tutti i CPR” per chiedere di non riaprire il centro. Alla richiesta si era unito anche il comune di Torino, con l’assessore alle Politiche sociali Jacopo Rosatelli che aveva definito la riapertura del CPR «una ferita inferta al corpo della città» dopo il suicidio di Balde. Rosatelli ha spiegato che il comune aveva elaborato uno studio insieme alla garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo, per dimostrare che non era necessario un CPR per svolgere le procedure di identificazione e rimpatrio dei migranti: «Lo studio è stato mandato dalla prefettura a Roma ma è stato ignorato», ha detto.
Nel 2023 la garante aveva definito il CPR di Torino «simbolo del fallimento» della gestione delle persone migranti decisa dal governo: a fronte di spese molto elevate, quell’anno fino alla chiusura del centro erano state rimpatriate solo 46 persone su 235 detenute. È un problema condiviso dalla maggior parte dei CPR in Italia, dove solo la metà delle persone transitate viene effettivamente rimpatriata, anche perché applicare i decreti di espulsione è difficile: mancano gli accordi bilaterali con molti dei paesi verso cui dovrebbero tornare.
La cooperativa che ha vinto il bando da 8,4 milioni di euro per la gestione biennale dei servizi all’interno del CPR si chiama Sanitalia ed è di Torino. I bandi per i CPR vengono assegnati secondo il criterio della “offerta economicamente più vantaggiosa”, quindi se li aggiudicano le aziende che dicono di poter offrire il servizio migliore al prezzo più basso, con tutta una serie di problemi ampiamente documentati. Nei giorni scorsi Altreconomia ha ottenuto i documenti dell’offerta con cui Sanitalia si è aggiudicata il bando, e nelle parti pubblicate ci sono alcune stranezze: si fa riferimento ad attività normalmente non previste nei CPR, che ricordano più che altro quelle dei centri di accoglienza e che, scrive Altreconomia, sono difficilmente realizzabili in un CPR; c’è poi un riferimento anche alle donne (è un centro solo per uomini) e ai minorenni, che non sono ammessi nei CPR.
Per ora Sanitalia si è limitata a dire che il capitolato d’appalto, cioè il documento del ministero dell’Interno che contiene le informazioni tecniche e amministrative delle gare per le forniture di beni e servizi, è unico per i centri di accoglienza e per i CPR, e che la proposta progettuale «va contestualizzata». Non si sa per ora molto di più su come sarà organizzato nel dettaglio il CPR una volta che entreranno i primi uomini migranti detenuti: la Stampa scrive che dovrebbe esserci un medico per 35 ore alla settimana, che dovrebbero esserci due operatori notturni in più rispetto a quelli richiesti dal capitolato, e che anche lo psicologo dovrebbe garantire delle ore in più.
In generale, ed è uno dei motivi per cui associazioni e sindacati nei giorni scorsi hanno protestato a Torino, i CPR sono luoghi in cui alle persone è negato ogni tipo di socialità e contatto con l’esterno, e dove le condizioni igieniche, i livelli di sostentamento e le cure sono spesso al di sotto di ogni soglia accettabile. Un’inchiesta del 2023 sempre di Altreconomia aveva documentato come all’interno dei centri, compreso quello di Torino, venissero prescritte e somministrate quotidianamente grandi quantità di psicofarmaci, perlopiù con l’obiettivo di sedare le persone detenute ed evitare che si ribellassero.
Secondo il Gruppo Immigrazione e Salute del Piemonte, che fa parte della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), sarà fondamentale monitorare la parte sanitaria del CPR. Sarà necessario, dicono, verificare che le visite mediche per certificare l’idoneità delle persone a essere detenute in un CPR siano svolte in modo corretto. Secondo la SIMM, comunque, i medici non dovrebbero dichiarare l’idoneità delle persone per i CPR, in quanto «luoghi pericolosi per la salute».
Venerdì la “Rete torinese contro tutti i CPR” ha manifestato contro la riapertura del CPR di Torino. Sabato la rete “Mai più lager-No ai CPR”, SIMM, Legal Team e Forum salute mentale hanno portato in corso Brunelleschi una copia del Marco Cavallo, la statua diventata simbolo della lotta per l’abolizione degli ospedali psichiatrici negli anni Settanta. Nella notte tra sabato e domenica i partecipanti a un rave a Moncalieri, un comune a sud di Torino, hanno appeso vari striscioni contro la riapertura del CPR. Verso le 18 di lunedì è in programma un altro presidio davanti al CPR di Torino, organizzato dal centro sociale torinese Gabrio.
– Leggi anche: I CPR costano molto e servono a poco