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  • Lunedì 24 marzo 2025

In Colombia il governo di Gustavo Petro continua a perdere pezzi

Negli ultimi tre mesi sono cambiati 13 ministri, e a circa un anno dalle prossime elezioni non è riuscito ad attuare molte delle riforme promesse

Il presidente colombiano Gustavo Petro a Bogotà il 20 luglio del 2024 (Diego Cuevas/Getty Images)
Il presidente colombiano Gustavo Petro a Bogotà il 20 luglio del 2024 (Diego Cuevas/Getty Images)

In Colombia il governo del presidente Gustavo Petro, di sinistra, sta affrontando un’enorme crisi politica: negli ultimi tre mesi si sono dimessi o sono stati sostituiti 13 ministri su 19, e alcune delle nuove nomine hanno suscitato polemiche che lo hanno messo in grossa difficoltà. Le prossime elezioni presidenziali si terranno a maggio del 2026, tra poco più di un anno: Petro non può ricandidarsi per un secondo mandato, ma sta comunque cercando di usare questi ultimi mesi per salvare l’eredità politica del suo governo, che non è riuscito ad attuare buona parte delle ambiziose riforme che aveva promesso in campagna elettorale.

Petro ha 64 anni ed è in carica dall’agosto del 2022: da quel momento sono cambiati più di 50 ministri, per varie ragioni. L’ultima crisi politica, quella in corso ora, è cominciata con la nomina di Armando Benedetti come capo di gabinetto, lo scorso 3 febbraio. Benedetti è un politico di lungo corso, ma è molto impopolare negli ambienti della sinistra più tradizionale: è accusato di corruzione ed è stato denunciato dalla moglie per violenza domestica (accusa che è stata poi ritirata).

La sua nomina aveva causato molto malcontento nel governo, e in risposta Petro aveva convocato un Consiglio dei ministri un po’ irrituale. La riunione, durata sei ore, era stata trasmessa in diretta televisiva: Petro aveva rimproverato tutti i ministri con toni molto duri e diretti, accusando di fatto il suo stesso governo di non aver rispettato la maggior parte delle promesse elettorali: «Mi vergogno: il presidente è rivoluzionario, il governo no», aveva detto. In quell’occasione aveva anche difeso la nomina di Benedetti. Dopo quell’episodio alcuni ministri si erano poi dimessi, tra cui quella dell’Ambiente Susana Muhamad, molto rispettata e popolare.

In seguito alle molte dimissioni, il 27 febbraio Petro aveva presentato una nuova squadra di governo, ma anche in quel caso alcune delle nomine erano state criticate. È stato il caso per esempio del generale Pedro Sánchez, scelto come ministro della Difesa: gode di un’ottima reputazione ma è anche il primo militare a entrare in un governo colombiano dal 1991, cosa che era stata sempre osteggiata negli ambienti della sinistra colombiana.

Gustavo Petro durante le manifestazioni a Bogotà in occasione della giornata civica in sostegno delle riforme, 18 marzo 2025 (AP Photo/Fernando Vergara)

L’ultimo a dimettersi (per ora) è stato Diego Guevara, ministro delle Finanze che era entrato in carica soltanto tre mesi fa. Guevara non ha reso note le motivazioni della sua decisione, ma è probabile che abbiano a che fare con la volontà di Petro di aumentare la spesa pubblica per finanziare alcune delle riforme che ancora non è riuscito a portare a termine, aumentando il già preoccupante deficit colombiano. Il deficit è la differenza tra le entrate e le uscite nel bilancio dello stato: se un paese spende più di quello che guadagna dalle tasse, è costretto a finanziare il resto sul mercato internazionale, aumentando il debito pubblico.

Guevara, che era un sostenitore della necessità di ridurre il deficit, è stato sostituito da Germán Ávila, un economista e amico di lungo corso di Petro, con poca esperienza nella gestione delle finanze pubbliche: la sua nomina è stata interpretata come una volontà di Petro di trovare un ministro più vicino a sé e incline ad assecondare le sue idee. Le dimissioni di Guevara hanno avuto un impatto immediato sui mercati internazionali, dove il peso (la valuta colombiana) ha perso valore. Venerdì scorso Ávila si è affrettato a rassicurare gli investitori, promettendo riforme per aumentare le entrate fiscali e garantire la stabilità finanziaria del paese.

Nel frattempo continuano a rimanere bloccate al Congresso (ossia il parlamento) due delle sue riforme più popolari e tra le principali promesse di Petro durante la campagna elettorale, quelle sulla sanità e sul lavoro. Petro vorrebbe affidare al governo il compito di gestire i fondi della previdenza sociale, ora in mano a delle assicurazioni private, e introdurre nuovi vincoli per le aziende che assumono con contratti a termine, oltre ad aumentare la paga minima dei lavoratori notturni.

Petro ha accusato le opposizioni di fare ostruzionismo e ha detto di voler organizzare due referendum per interpellare i cittadini su questi temi. La scorsa settimana ha anche promosso, insieme ai sindacati, una “giornata civica”, cioè un giorno di mobilitazione collettiva in cui ai dipendenti del settore pubblico è stato permesso di non andare al lavoro per partecipare alle manifestazioni in sostegno delle riforme. Per essere considerati validi però i referendum avrebbero bisogno della partecipazione di un terzo degli aventi diritto, ossia circa 13 milioni di persone: un numero molto alto, considerando per esempio che alle ultime elezioni presidenziali, nel 2022, Petro fu eletto con poco più di 11 milioni di voti.