Perché in Italia l’energia costa così tanto
La guerra e le sanzioni c'entrano fino a un certo punto: le aziende italiane pagano molto più della Germania, della Francia e della Spagna

È noto che dall’invasione russa in Ucraina il prezzo dell’energia in Europa sia cresciuto in modo strutturale, vista la necessità di sostituire il gas venduto dalla Russia con alternative ben più costose. È meno noto che il problema coinvolga in modo particolare l’Italia: secondo uno studio di Confindustria, citato anche da Mario Draghi nella sua recente audizione parlamentare, nel 2024 le imprese italiane hanno pagato l’elettricità l’87 per cento in più rispetto alla Francia, il 70 per cento in più della Spagna e quasi il 40 per cento in più della Germania.
La prima ragione di questo squilibrio è la tassazione. Le tasse italiane sulle bollette delle imprese sono tra le più alte dei paesi europei: nel primo semestre del 2024 l’Italia è stato addirittura il secondo paese europeo per livello di tassazione sull’energia, che pesava per il 27,5 per cento del costo finale. Non è semplicemente un livello più alto della media europea: è quasi il doppio della media europea.
Le cose vanno un po’ meglio per le bollette dei consumatori domestici, per cui l’Italia è in linea con la media europea: le tasse rappresentano il 25 per cento del costo finale, contro una media europea del 24,3.
Negli ultimi anni in Italia le tasse sull’energia sono state temporaneamente ridotte per compensare il grosso aumento del prezzo del gas, ma dal 2024 è tornato tutto praticamente come prima. Secondo i dati del ministero dell’Economia, nel 2024 lo Stato ha incassato 2,4 miliardi di euro dalle accise sull’energia elettrica e 2,1 miliardi da quelle sul gas naturale, per un totale di 4,5 miliardi. È una cifra significativa ma non esagerata, per il bilancio dello Stato: la fallimentare misura del “cashback”, poi abolita, costava circa 5 miliardi l’anno.
Ci sono anche altre ragioni che spiegano questo squilibrio, legate al modo in cui in Europa si calcola il prezzo dell’energia.
Semplificando molto, l’energia elettrica oggi si produce usando sia fonti fossili – come gas naturale, carbone e petrolio – che fonti non fossili come il nucleare e le rinnovabili come sole, vento e acqua. In poche parole (qui potete trovare la versione lunga), dato che il mercato europeo dell’energia è unico a prescindere dalle fonti utilizzate per produrla, più un paese si affida al gas e più l’energia prodotta sarà quotata sulla base del prezzo del gas, a prescindere da cosa derivi realmente; meno un paese si affida al gas e meno il costo del gas pesa sul prezzo totale.
Sebbene il ricorso alle rinnovabili stia aumentando molto, tra i paesi europei il gas si usa ancora per produrre il 20 per cento dell’energia. Questo dato però è una media: ci sono paesi meno dipendenti dal gas e altri di più. L’Italia è tra questi ultimi: nel 2023 ancora il 54 per cento dell’elettricità italiana è stato prodotto da fonti fossili, perlopiù gas (45 per cento). Per avere un termine di paragone, in Spagna quasi il 60 per cento dell’energia è prodotto con fonti rinnovabili; in Francia il 60 per cento dell’energia è prodotto col nucleare e solo il 6 per cento viene dal gas.
In una situazione come quella italiana, il prezzo del gas naturale finisce per determinare anche il prezzo dell’elettricità prodotta con altre fonti, comprese quelle rinnovabili, che invece hanno un costo di produzione molto più basso (essendo il vento, il sole e l’acqua sostanzialmente gratuiti).
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Secondo quanto indicato dal rapporto Draghi, nel 2022 in Italia il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso è dipeso da quello del gas per il 90 per cento: siamo il paese in cui questa quota è in assoluto più alta. Le conseguenze si ripercuotono su moltissimi altri settori: le aziende italiane spendono di più per produrre le loro merci, sono costrette a proporre prezzi più alti e subiscono di più la concorrenza delle aziende che pagano meno l’energia.
Il sistema era stato pensato così proprio per incentivare la produzione da fonti rinnovabili, perché permette ai produttori che le sfruttano di ottenere margini di guadagno maggiori, compensando gli investimenti iniziali necessari a costruire impianti eolici o fotovoltaici, in proporzione più alti di quelli richiesti dalle centrali termoelettriche. Il forte aumento del prezzo del gas degli ultimi anni però ha distorto il meccanismo: il ricorso alle rinnovabili è aumentato ma le bollette sono cresciute comunque.
Per questo da tempo si parla della possibilità di riformare il mercato elettrico e attuare il cosiddetto “disaccoppiamento” (o decoupling, in gergo) del prezzo dell’energia da quello del gas, per vendere quella prodotta da fonti rinnovabili a prezzi più rappresentativi di quanto costi effettivamente produrla.
In questo modo avremmo più mercati dell’energia, separati sulla base della fonte utilizzata, e i produttori di energia eolica e solare potrebbero proporre ai consumatori e alle imprese prezzi più bassi; diventerebbero anche molto più convenienti i contratti che prevedono la fornitura esclusiva di energia prodotta con fonti rinnovabili. Ma il decoupling è più facile a dirsi che a farsi.
Innanzitutto servirebbe una riforma europea, che dovrebbe mettere d’accordo tutti i paesi dell’Unione e richiederebbe tempo. Ma ci sono anche una serie di questioni concrete.
Le fonti rinnovabili per loro natura non sono una fornitura stabile – non c’è sempre vento, così come non c’è sempre il sole – e sebbene le capacità di stoccaggio stiano aumentando sempre di più, a lungo serviranno ancora altre fonti da usare quando queste sono scarse: una funzione “cuscinetto” che gli operatori attribuiscono al gas e, dove c’è, al nucleare. Per questo molti operatori del settore ritengono che non sia possibile creare mercati totalmente separati – uno che attinga solo dalla fonte eolica, uno solo da quella solare, e così via – in modo da garantire un prezzo sganciato dal gas.
L’unica soluzione ritenuta praticabile per attutire il problema senza una riforma complessiva è continuare ad aumentare la capacità di produrre energia da fonti rinnovabili, aumentandone l’offerta così da ridurre gradualmente l’uso del gas e farlo pesare sempre meno sul prezzo, col risultato che l’importo delle bollette sarà sempre più basso.
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Negli ultimi anni in Italia sono stati fatti grossi passi avanti in questa direzione, ma ci sono ancora diverse lungaggini legate non tanto agli investimenti quanto alla burocrazia, alle autorizzazioni e tutti i modi in cui la politica locale e nazionale rallenta o blocca l’aumento della produzione di rinnovabili. Durante la sua audizione, Mario Draghi ha ricordato che in Italia sarebbe già disponibile una certa capacità aggiuntiva proveniente da impianti rinnovabili che sono però in attesa di autorizzazione.
Nel frattempo stanno iniziando a diffondersi nuove forme di contratti di lungo termine per le imprese, che prendono accordi direttamente con le società energetiche per la fornitura di energia prodotta da fonte rinnovabile e pagata direttamente a un prezzo appropriato. Sono contratti ancora piuttosto rari, ma su cui c’è grande richiesta: col tempo è possibile che le imprese dell’energia riusciranno anche a proporli agli utenti domestici.