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  • Sabato 22 marzo 2025

Non tutti i serbi bosniaci stanno con Milorad Dodik

Il leader dell'entità serba della Bosnia Erzegovina promuove l'idea che ci sia un popolo unito attorno a un solo capo – lui – ma la realtà è un po' diversa

di Rodolfo Toè

Milorad Dodik durante un comizio nel 2022
Milorad Dodik durante un comizio nel 2022 (Getty/Pierre Crom)
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Nelle ultime settimane in diverse strade della Republika Srpska sono comparsi cartelli con questa frase: «Hanno condannato me soltanto perché non potevano portare milioni di serbi in tribunale». La Republika Srpska è una delle due entità in cui è suddivisa la Bosnia Erzegovina, quella abitata a grande maggioranza da serbi bosniaci, mentre la persona a cui si riferiscono i cartelli è Milorad Dodik, presidente dell’entità, coinvolto in un caso giudiziario molto discusso nel paese.

Un cartello di sostegno a Milorad Dodik, in Republika Srpska

Un cartello di sostegno a Milorad Dodik vicino alla cittadina di Kneževo, nell’entità bosniaca di Republika Srpska (Il Post)

A fine febbraio un tribunale bosniaco ha infatti condannato Dodik in primo grado a un anno di carcere, giudicandolo colpevole di non avere rispettato le decisioni dell’Alto rappresentante della Bosnia Erzegovina, un funzionario che ha un ruolo molto particolare nel paese: è la persona incaricata di assicurarsi che vengano rispettati gli accordi di pace che misero fine alla guerra in Bosnia nel 1995, e le cui decisioni ancora oggi sono vincolanti per tutti, anche per le principali cariche politiche e istituzionali bosniache.

Dodik, politico nazionalista, filorusso e piuttosto spericolato, aveva definito il processo una «persecuzione politica», non solo contro di lui ma anche nei confronti della popolazione serba di Bosnia Erzegovina. I cartelli per le strade della Republika Srpska suggeriscono esattamente questo: che i serbi siano un popolo unito attorno a un solo capo e che Dodik sia l’interprete di un’aspirazione condivisa, che vorrebbe che la Republika Srpska avesse sempre maggiore autonomia dal governo centrale di Sarajevo, o che ottenesse la secessione.

Dopo la condanna, Dodik ha reagito. Ha fatto approvare dal parlamento della Republika Srpska diverse leggi contrarie alla Costituzione bosniaca che negano l’autorità delle istituzioni giudiziarie statali, in particolare della procura, della Corte di Bosnia Erzegovina (il tribunale che l’ha condannato), e dell’Agenzia statale d’investigazione e protezione (Sipa, l’unica forza di polizia che opera in tutto il territorio del paese). Il governo di Dodik ha anche iniziato un processo per approvare una nuova Costituzione della Republika Srpska, che tra le altre cose doterebbe il territorio di un proprio esercito e istituzioni giudiziarie separate.

Per modificare la Costituzione della Republika Srpska è necessaria una maggioranza di due terzi, che però per ora il partito di Dodik non ha: può contare sull’appoggio di 53 deputati su un totale di 83, tre in meno del numero necessario, e finora nessuno dei principali partiti serbi di opposizione ha detto di voler sostenere la proposta del governo.

Per questo i rapporti tra partiti nel parlamento locale sono diventati molto tesi. Nebojša Vukanović, giornalista e politico serbo a capo del movimento Per la Giustizia e l’Ordine (ZPR), attualmente deputato al parlamento della Republika Srpska, ha raccontato che nelle ultime sessioni si è creato un clima «di linciaggio» nei confronti dei deputati serbi dell’opposizione. Dodik li ha attaccati, definendoli «traditori» dell’interesse nazionale. La scorsa settimana il presidente del parlamento, Nenad Stevandić, ha detto di «volerli uccidere tutti», e qualcuno ha anche dato fuoco all’auto di Vukanović: è successo a Trebinje, una città del sud, poco distante da Dubrovnik, e il governo della Republika Srpska ha detto che indagherà.

Un manifesto di sostegno a Milorad Dodik, a Banja Luka

Un manifesto di sostegno a Milorad Dodik, a Banja Luka (in questo caso la scritta tradotta significa: “Presidente Milorad Dodik, uno nel nome di tutti!”) (Il Post)

Al di là delle tensioni tra deputati della Republika Srpska, la condanna di Dodik ha generato una grossa crisi istituzionale tra la Republika Srpska e la Bosnia Erzegovina. Secondo molti, è la più grave crisi dalla fine della guerra.

La scorsa settimana la situazione si è ulteriormente aggravata quando la Corte di Bosnia Erzegovina ha ordinato l’arresto di Dodik e altri due importanti membri del suo partito perché si erano rifiutati di testimoniare in un’indagine in cui sono accusati di avere attaccato l’ordine costituzionale bosniaco (un’indagine separata rispetto a quella per cui Dodik è già stato condannato). Gli altri due membri sono il primo ministro della Republika Srpska, Radovan Višković, e il presidente del parlamento locale, Stevandić.

È difficile dire cosa succederà ora, ma c’è molta preoccupazione, anche perché sia il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, sia il ministro dell’Interno della Republika Srpska, che controlla la polizia locale e appartiene anche lui al partito di Dodik, hanno detto che non permetteranno in nessun caso che Dodik venga arrestato. Il rischio è che le forze di sicurezza attive in Bosnia Erzegovina possano scontrarsi tra loro: da una parte quelle che rispondono al governo della Republika Srpska, dall’altra quelle vicine al governo centrale di Sarajevo.

La sede della presidenza della Republika Srpska, a Banja Luka

La sede della presidenza della Republika Srpska, a Banja Luka (Il Post)

Dodik e il suo partito, l’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD), sono al governo della Republika Srpska dal 2006. Da allora hanno progressivamente diminuito lo spazio per il dissenso: hanno aumentato il controllo sui media e reso più difficile manifestare in pubblico, tra le altre cose. Nonostante i tentativi di consolidare il suo potere nel parlamento locale, ricorrendo per esempio alla corruzione degli oppositori, Dodik non è riuscito però a trasformarsi in un leader con poteri assoluti, diversamente da come viene a volte descritto da osservatori esterni.

«Dodik è un despota e un politico corrotto, che sta distruggendo la Republika Srpska per soddisfare i suoi interessi. Lui e i suoi collaboratori hanno semplicemente approfittato del fatto di essere al governo per arricchirsi», ha detto Vukanović.

Vukanović è uno dei politici di opposizione che si sono opposti alle più recenti misure di Dodik. Il suo movimento, Per la Giustizia e l’Ordine, ha posizioni nazionaliste, e come praticamente tutti i partiti serbi di Bosnia Erzegovina sostiene l’autonomia della Republika Srpska ed è contrario a un rafforzamento del governo centrale di Sarajevo. Secondo Vukanović, però, le iniziative prese da Dodik nelle ultime settimane sono andate troppo oltre e sono inaccettabili, perché «mettono a rischio la stabilità del paese».

Il politico Nebojša Vukanović durante un comizio nella città di Nevesinje, lo scorso autunno

Il politico Nebojša Vukanović durante un comizio nella città di Nevesinje, lo scorso autunno (foto tratta dalla sua pagina Facebook)

Jelena Trivić, che alle elezioni del 2022 era stata la candidata congiunta dell’opposizione alla posizione di presidente della RS, perdendo proprio contro Dodik, e che oggi è alla guida del Fronte Popolare — un partito di opposizione oggi marginale — è un buon esempio delle differenze che esistono tra le posizioni di Dodik e quelle dei partiti serbi che gli si oppongono.

Trivić, come Vukanović, è infatti una politica nazionalista che sostiene l’autonomia della Republika Srpska, ma allo stesso tempo ritiene che la retorica di Dodik serva semplicemente a distogliere l’attenzione dai problemi reali, come quelli che riguardano la sanità, l’istruzione, l’agricoltura o la situazione delle imprese pubbliche: «usa la propria retorica come una bomba fumogena per nascondere i veri problemi della Republika Srpska».

Jelena Trivic durante una manifestazione, l'anno scorso

Jelena Trivić (al centro) durante una protesta a Banja Luka nell’ottobre del 2022 (AP/Radivoje Pavičić)

Le proteste contro il governo di Dodik sono state organizzate in passato anche da alcune associazioni parecchio attive, nonostante la repressione governativa: è il caso di ReStart Srpska, che negli ultimi anni si è mobilitata in particolar modo per protestare per la morte di David Dragičević, un ragazzo ucciso nel 2018 in circostanze mai chiarite del tutto.

Secondo Stefan Blagić, giornalista e presidente dell’associazione, la popolarità di Dodik è in calo. Ha raccontato che, dopo la condanna di fine febbraio, Dodik ha organizzato una manifestazione dei suoi sostenitori davanti al parlamento locale, con l’obiettivo di dimostrare di godere ancora di un ampio sostegno popolare. «Qualche anno fa non avrebbe avuto problemi a portare anche 30mila, 40mila persone. Adesso invece non ce n’erano più di 6mila: penso che le persone abbiano finalmente capito che Dodik ha oltrepassato una linea rossa, e che così facendo sta iniziando a mettere in pericolo la loro sicurezza. E le persone sono molto sensibili quando si tratta della propria sicurezza».