L’arresto del sindaco di Istanbul è costato caro alla Turchia

Non solo per le estese proteste di piazza ma anche per le perdite di borsa e della lira turca, generate da una nuova percezione di instabilità

Uno sportello di cambio valute, a Istanbul (AP Photo/Omer Kuscu)
Uno sportello di cambio valute, a Istanbul (AP Photo/Omer Kuscu)
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Negli scorsi giorni gli investitori hanno preso molto male l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, considerato il principale oppositore politico del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che governa ormai da anni in maniera sempre più autoritaria. Le grosse proteste che ne sono conseguite nel paese e la percezione diffusa che le cose stiano andando sempre peggio in termini di repressione del dissenso – ma anche più in generale che il paese sia appena entrato in un periodo di instabilità – hanno provocato grosse perdite per la borsa e la valuta locale, la lira turca.

Da quando è avvenuto l’arresto, mercoledì, fino alla chiusura dei mercati di venerdì sera il principale indice della borsa di Istanbul – il BIST 100, che sintetizza l’andamento delle azioni delle 100 società quotate più importanti – ha perso il 16 per cento del suo valore. Le contrattazioni di borsa sono state interrotte diverse volte per eccesso di ribasso.

Allo stesso modo è andata la lira turca: solo mercoledì è arrivata a perdere l’11 per cento del suo valore nei confronti del dollaro. Ha poi chiuso la settimana con una perdita limitata al 3 per cento, contenuta perlopiù da un massiccio intervento sui mercati della banca centrale turca, uno dei più costosi della sua storia secondo il Financial Times: secondo i calcoli degli analisti mercoledì avrebbe speso quasi 12 miliardi di dollari delle sue riserve (su circa 100 complessivi) con l’obiettivo di stabilizzare la moneta, per poi continuare a operare nei giorni successivi con quantità più limitate.

La banca centrale turca – come fanno le banche centrali in questi casi – ha usato le riserve di valuta straniera in dollari per comprare grandi quantità di lira turca, in modo da farne salire il prezzo ed evitarne il tracollo: il fine era di contrastare così l’azione opposta dei tanti investitori che volevano liberarsi della lira, facendone scendere il valore.

Per lo stesso motivo giovedì la banca centrale turca ha anche convocato una riunione d’emergenza per approvare un aumento non previsto di uno dei tassi di interesse di riferimento.

Alcuni manifestanti a Istanbul, venerdì 21 marzo 2025 (AP Photo/Emrah Gurel)

Fluttuazioni di questa portata non si vedevano da tempo sui mercati finanziari turchi, e hanno interrotto il vasto programma di normalizzazione dell’economia impostato in seguito alla rielezione di Erdogan nel 2023: dopo anni di decisioni scellerate e controverse in nome della crescita economica – che avevano fatto salire moltissimo il costo della vita, portato al deprezzamento della lira, e impoverito la popolazione – Erdogan aveva affidato il ministero dell’Economia a Mehmet Simsek, un economista molto autorevole e rispettato che ha riportato le politiche economiche turche su un percorso quantomeno più ortodosso.

Simsek ha impostato un percorso di riforme e aumenti delle tasse per rendere il bilancio dello stato più sostenibile e credibile davanti agli investitori internazionali, e ha permesso l’aumento dei tassi di interesse per combattere l’ostinata iperinflazione provocata dalle politiche di Erdogan: dall’oltre 80 per cento di fine 2022 l’inflazione è ora scesa sotto il 40, e il valore della lira era tornato ad aumentare. La banca centrale turca era anche riuscita a ricrearsi delle riserve più solide, prima degli interventi straordinari di questa settimana.