Cosa sappiamo della visita di un capo di una milizia libica in Italia

Abdel Ghani Al Kikli è il leader di una potente milizia che intercetta e tortura i migranti: qualche giorno fa è stato fotografato in un ospedale romano

Giovedì una piccola delegazione di funzionari e leader libici ha fatto visita a Adel Juma, ministro dell’Interno del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, che da circa un mese è ricoverato nell’ospedale privato European Hospital di Roma dopo avere subito un attentato. Fra loro c’era anche Abdel Ghani Al Kikli, noto anche col soprannome di “Gheniwa”. In Italia Al Kikli è poco noto, ma in Libia è da anni il capo di una importante milizia armata legata al governo e accusata da diverse rispettate ong internazionali di essere coinvolta nelle violenze sui migranti.

La presenza di Al Kikli in Italia è stata notata dal dissidente libico Husan el Gomati, che sui social network ha trovato una foto dell’incontro in ospedale, e ripresa dall’attivista per i migranti David Yambio. Sabato la storia è stata raccontata da tutti i principali quotidiani italiani.

A molti il caso di Al Kikli ha ricordato quello di Nejeem Osama Almasri, il miliziano arrestato in Italia a gennaio e subito rilasciato e rimpatriato in Libia in aperto conflitto con la Corte penale internazionale, che ne aveva invece richiesto la cattura con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità. Ai tempi il governo Meloni era stato accusato di aver rilasciato Almasri per mantenere buoni rapporti con il governo libico, a cui ormai da anni ha affidato il compito di fermare con la violenza i migranti che cercano di arrivare in Italia via mare: accuse a cui il governo aveva risposto con ricostruzioni assai confuse.

Il caso di Al Kikli è un po’ diverso da quello di Almasri dal punto di vista giuridico, perché non è sottoposto a un mandato di arresto pubblico da parte della Corte penale internazionale: le accuse rivolte nei suoi confronti sono comunque simili. A quanto si sa, comunque, Al Kikli è tornato in Libia già mercoledì sera con lo stesso volo privato con cui era arrivato.

Dopo la circolazione della foto di Al Kikli in Italia la Corte penale internazionale ha fatto sapere di non avere un mandato di arresto pubblico su di lui. È comunque possibile che Al Kikli  sia sotto indagine o comunque che esista un mandato d’arresto secretato: ma per ora non c’è alcuna misura pubblicamente nota, nei suoi confronti.

Avvenire scrive che secondo alcune fonti proprie Al Kikli ha un visto rilasciato da Malta nel 2023 e valido fino al 25 novembre 2025 che gli consente di muoversi ovunque all’interno dell’Unione Europea. Sempre secondo Avvenire Al Kikli era già stato in Italia nel luglio del 2024 per assistere ad alcune partite della Serie A maschile di calcio libica, disputate eccezionalmente in alcune città italiane.

Commentando la notizia della visita di Al Kikli in Italia, la segretaria del PD Elly Schlein ha detto: «Vogliamo chiarezza dal governo sul perché sta rendendo questo paese un porto sicuro per le milizie libiche». Il governo Meloni non ha ancora commentato.

Al Kikli è il capo di una milizia chiamata Stability Support Apparatus (SSA), nata nel 2021 dopo che per anni era stato a capo di una milizia minore attiva nella periferia di Tripoli. Da diversi anni è legato al governo che controlla Tripoli, l’unico riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale, che al momento è guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Il governo Dbeibah è solo una delle entità politiche che governano in Libia, e per controllare il suo territorio e rispettare gli accordi sui migranti presi con l’Italia si serve di diverse milizie armate, fra cui proprio la SSA.

Diverse organizzazioni internazionali raccontano da tempo che la SSA è direttamente coinvolta nelle intercettazioni di migranti in mare, almeno dall’estate del 2021, e nella detenzione di migranti a terra.

Nel gennaio del 2022 l’equipaggio della ong Louise Michel raccontò di aver visto persone su una nave libica picchiare con dei bastoni alcuni migranti intercettati su un gommone, e sparare a uno di loro che si era tuffato in acqua. Più tardi l’equipaggio raccontò al progetto CivilMRCC che la nave responsabile dell’operazione apparteneva alla milizia SSA.

Una conferma di quell’operazione era arrivata pochi giorni dopo, quando un account Twitter di estrema destra legato a milizie libiche, Migrant Rescue Watch, aveva raccontato che i migranti erano stati intercettati proprio dalla SSA, e portati a terra in un centro di detenzione a sua volta gestito dalla SSA, quello di Al Maya, alla periferia ovest di Tripoli. Nell’ultimo tweet con cui racconta l’operazione l’account Migrant Rescue Watch scrive che le persone intercettate «sono state sbarcate in sicurezza»: nei primi secondi del video si vede chiaramente un membro dell’equipaggio dare un calcio a una delle persone intercettate.

Esistono poi varie testimonianze su quello che accade nei centri di detenzione gestiti dalla SSA. Nell’estate del 2022 almeno una decina di migranti detenuti nei centro di al Maya raccontò ad Associated Press di torture e violenze sistematiche. Un uomo egiziano rimasto per tre mesi nel centro di al Maya ha raccontato: «continuano a picchiarti per ore con tutto quello che hanno: bastoni, calci di fucile, sbarre di metallo. A un certo punto preferiresti essere morto». Un uomo marocchino, sempre ad Associated Press, ha detto: «se hai dei soldi puoi salvarti: altrimenti rimani lì per sempre». Nel 2022 funzionari del ministero dell’Interno di Tripoli hanno confermato ad Amnesty International che la SSA intercettava migranti in mare e li portava in centri sotto il suo controllo.

La SSA è ancora attiva nella gestione violenta della migrazione: a inizio gennaio per esempio ha annunciato di avere dispiegato alcuni miliziani al confine con la Tunisia, dove le autorità tunisine ormai da due anni trasferiscono con la forza i migranti che trovano nelle città. A quel punto i libici impediscono loro di entrare in Libia oppure li rapiscono e li portano nei centri di detenzione in Libia.

Negli anni diverse organizzazioni internazionali hanno segnalato alla Corte penale internazionale le violenze sui migranti compiute dalla SSA. Alla fine del 2022 la nota ong European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) ha consegnato alla Corte un rapporto di 189 pagine sulle violenze sui migranti compiute dalle autorità libiche in cui si legge per esempio che la SSA «gestisce diversi centri di detenzione». Il centro di Maya viene citato nel lungo rapporto sulla condizione dei migranti in Libia commissionato dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU e pubblicato nel 2023.