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  • Venerdì 21 marzo 2025

Com’è che negli Stati Uniti vanno matti per la “March Madness”

La fase finale del campionato di basket universitario non è sempre stata così seguita: c'entrano una sfida storica, l'imprevedibilità e le scommesse

La mascotte dei Miami RedHawks durante una partita del campionato di NCAA, 15 marzo 2025
La mascotte dei Miami RedHawks durante una partita del campionato di NCAA, 15 marzo 2025 (AP Photo/Sue Ogrocki)

Il 18 marzo è iniziata negli Stati Uniti la fase finale della NCAA Division I, il campionato di basket delle università statunitensi, conosciuta da tutti come March Madness, “follia di marzo”. È un evento visto ogni anno da milioni di persone, anche da chi non ha legami con le università coinvolte, tanto che per trasmetterlo le emittenti televisive americane pagano circa 900 milioni di dollari l’anno.

Il nome March Madness, prima informale e dal 2022 diventato ufficiale, si deve al formato coinvolgente e imprevedibile di questa fase del torneo: si svolge nell’arco di tre settimane tra marzo e aprile, con 68 squadre da tutto il paese e sette fasi a eliminazione diretta con gare secche, quindi si decide chi passa il turno in una sola partita (si inizia con un turno preliminare a cui partecipano solo 8 squadre). È proprio l’eliminazione diretta su gare secche a renderlo molto incerto: le squadre favorite possono essere eliminate subito perdendo una sola partita, mentre squadre più deboli sulla carta possono avanzare fino alle fasi finali (per avere un termine di paragone: nella fase finale dell’NBA, la lega professionistica statunitense, ogni turno si gioca al meglio delle 7 partite).

Negli Stati Uniti la March Madness è un evento sportivo seguito con un entusiasmo paragonabile a quello di una festa nazionale, attorno al quale si sono consolidate varie tradizioni: molte persone prolungano le pause di lavoro o addirittura si fingono malate pur di non perdersi le partite. Una delle usanze più diffuse tra i tifosi, e forse la più nota anche da queste parti, è il cosiddetto bracketing: ogni anno, milioni di persone compilano il proprio tabellone (bracket), cercano cioè di prevedere l’esito di ogni incontro del torneo e partecipano a scommesse tra amici o colleghi.

È molto attesa e seguita anche perché i cestisti più forti sono quelli che probabilmente si vedranno nella successiva stagione di NBA, che è il principale campionato di basket nordamericano e il più seguito al mondo. Secondo gli addetti ai lavori, è questo il momento in cui si intuisce chi, tra i giovani che si sono distinti nel campionato, gioca bene anche quando le aspettative e le attenzioni sono molto più alte.

La fase finale del campionato universitario statunitense comunque non è sempre stata coinvolgente e attesa com’è adesso. Quando nacque il torneo NCAA, nel 1939, alla fase finale partecipavano solo otto squadre e nei primi anni non era considerata molto prestigiosa, tanto che alcune squadre universitarie preferivano giocare altri tornei organizzati negli Stati Uniti. In particolare, durante i primi decenni della sua storia subì molto la competizione del National Invitation Tournament (NIT), un torneo tra college che si giocava (e si gioca ancora) ogni anno al Madison Square Garden di New York, uno degli stadi più famosi degli Stati Uniti.

Quello dell’NCAA cominciò a diventare un torneo universitario rilevante solo all’inizio degli anni Cinquanta, quando le squadre partecipanti aumentarono da 8 a 16 e, contemporaneamente, il NIT venne coinvolto in uno scandalo di corruzione. Nei decenni successivi comunque, per quanto crescesse di popolarità, la March Madness rimase abbastanza noiosa (si chiamava così anche quando non era granché matta): tra il 1964 e il 1975 vinse per 10 volte su 12 la stessa squadra, gli UCLA Bruins, dell’Università di Los Angeles. Per coinvolgere un pubblico sempre più vasto, alla fine degli anni Settanta gli organizzatori decisero di aumentare il numero di squadre partecipanti fino a farle diventare 64 nel 1985 (dal 2011 sono 68, mentre quelle che partecipano alla fase precedente della NCAA Division I sono oltre 300).

Con così tante squadre, il torneo divenne più imprevedibile: fu in quegli anni che scommettere sull’esito (il bracketing, per l’appunto) si trasformò in un passatempo diffuso. Negli anni successivi il fenomeno divenne così popolare che la stampa statunitense iniziò a dedicargli ampio spazio, con numerosi articoli sulla bracketology, il processo che analizza e prova a prevedere chi vincerà i vari accoppiamenti del torneo. Un esempio è il Wall Street Journal, che quest’anno ha pubblicato un’analisi dettagliata, con grafici e ricerche, spiegando perché scommettere sulla squadra favorita non sia quasi mai la scelta migliore.

È in ogni caso quasi impossibile indovinare l’esito di tutte le partite: secondo l’NCAA stessa, chi sa qualcosa di basket ha meno di una possibilità su 120 miliardi di azzeccare tutto il bracket, mentre chi tira semplicemente a indovinare come andrà ciascun incontro ha una possibilità su 9.223.372.036.854.775.808 (9 miliardi di miliardi) di beccare tutte e 67 le partite. Nessuno, che si sappia, ci è mai riuscito: la serie più lunga e documentata di pronostici corretti fu di 49, nel 2019.

Un altro momento decisivo per la storia del torneo fu la finale del 1979, quando si sfidarono per la prima volta Larry Bird e Magic Johnson, due dei cestisti più forti di sempre. Quell’anno le loro prestazioni avevano catturato l’attenzione di milioni di appassionati: tutti volevano vedere quella che, a ragion veduta, credevano sarebbe stata la prima sfida di una storica rivalità tra i due giocatori. La finale del 1979 rimane ancor oggi la più vista della storia della March Madness, con 35 milioni di spettatori.

Dopo quella partita l’interesse nei confronti del basket universitario aumentò nettamente negli Stati Uniti, grazie anche ai giocatori di grandissimo talento che parteciparono e vinsero il torneo in seguito: nel 1982, per esempio, a vincerlo fu la squadra di Michael Jordan, considerato da molti il cestista più forte di sempre.

Nei decenni successivi il successo della March Madness tra il pubblico statunitense aumentò sempre di più: dal 1996 le semifinali e le finali del torneo maschile (le cosiddette Final Four) si giocano negli stadi da football americano al chiuso, molto più capienti delle arene da basket. Quest’anno, per esempio, le Final Four si giocheranno all’Alamodome, in Texas, uno stadio al chiuso con 64mila posti.

Un ulteriore fattore di espansione per la March Madness è stata la recente crescita del campionato di basket femminile della NCAA. La NCAA organizza un torneo di basket universitario femminile dal 1982, ma per molto tempo era composto da poche squadre, e aveva budget e infrastrutture di gran lunga inferiori rispetto al torneo maschile. Solo nel 2021, in seguito a una protesta delle cestiste che parteciparono alla March Madness, il numero di squadre che partecipano al torneo femminile è diventato uguale a quello del torneo maschile e le atlete hanno ottenuto un trattamento più equo.

La giocatrice che negli ultimi anni ha elevato di più il livello agonistico e il successo della March Madness femminile è stata Caitlin Clark. È una delle più forti cestiste al mondo e oggi gioca in WNBA, il campionato femminile di basket più competitivo al mondo, ma dal 2021 al 2024 partecipò con le Iowa Hawkeyes – la squadra della sua università – a quattro edizioni del torneo NCAA Division I. Fu in quelle occasioni che dimostrò di essere una cestista fortissima e moltissimi si accorsero di lei, e così aumentò anche l’attenzione del pubblico verso il torneo femminile. Nel 2023 per la prima volta i biglietti delle Final Four femminili sono costati di più di quelli maschili, in gran parte per via della presenza di Clark. L’NCAA stessa definì questa enorme attenzione e la corsa a vedere le partite delle Iowa Hawkeyes «l’effetto Caitlin Clark».

– Leggi anche: Tutti vogliono vedere giocare Caitlin Clark

Grazie anche al recente contributo del basket femminile, la March Madness continua a crescere dentro e fuori gli Stati Uniti. È stato stimato che nel 2025 gli statunitensi scommetteranno circa 3 miliardi di dollari sulla March Madness, cioè circa 400 milioni di dollari in più rispetto all’anno scorso e circa il doppio di quanto scommesso per il Super Bowl, che è l’evento sportivo più importante negli Stati Uniti. Quest’anno poi Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi al mondo, ha offerto un milione di dollari a chi tra i suoi dipendenti dovesse indovinare tutto il bracket del torneo.