Un documentario girato dentro un videogioco

Grand Theft Hamlet è uscito su MUBI dopo aver partecipato e vinto a diversi festival di cinema: il nome fa intuire l'idea che c'è dietro

Su MUBI è uscito un documentario che non contiene nessuna immagine del mondo reale, ma è interamente ambientato nel mondo di GTA V Online, la quinta edizione di una delle più celebri saghe di videogiochi. Si chiama Grand Theft Hamlet (GTA è l’acronimo di Grand Theft Auto), ed è stato girato da due attori durante i mesi del lockdown del 2021, a partire dall’idea di usare un auditorium all’aperto contenuto nella grande mappa del gioco, per una rappresentazione dell’Amleto di Shakespeare. Per farlo hanno iniziato a cercare possibili attori all’interno del mondo online, cioè persone collegate da vari posti del mondo, che erano lì per giocare ma che sarebbero state disposte a seguirli nel tentativo. Nel cercare di mettere in piedi lo spettacolo hanno infine realizzato molto più di quello che si aspettavano.

Grand Theft Hamlet è un machinima, cioè una produzione audiovisiva realizzata usando il motore grafico di un videogioco. In breve: se per creare un film animato al computer è necessario programmare o acquistare un motore grafico (cioè la tecnologia attraverso la quale si possono “disegnare” i personaggi e gli ambienti in cui farli muovere), per realizzare un machinima si può sfruttare un mondo già creato per un videogioco. È una pratica nota e diffusa almeno dal 2005, quando uscì un videogioco chiamato The Movies, il cui scopo era proprio quello di far gestire ai giocatori uno studio di produzione, e che conteneva un motore grafico per fare i film. Da lì i giocatori hanno iniziato a usare sempre di più le tecnologie dei videogiochi per creare sequenze in stile cinematografico e poi doppiarle. Con il passare del tempo e l’affermarsi di questa forma di produzione, i videogiochi con la grafica migliore e le mappe, cioè le ambientazioni, più ampie e varie, hanno cominciato a prevedere la possibilità per i giocatori di utilizzare i loro motori grafici a questo scopo.

Oggi per realizzare un machinima si possono usare i motori grafici di molti videogiochi diversi. GTA V in particolare è tra i più utilizzati perché ha una modalità Regista in cui non ci sono missioni o obiettivi ludici da completare, ma il giocatore può impostare variabili come il meteo, la luce, l’ambientazione, scegliere i personaggi, modificarne le caratteristiche ed entro certi limiti decidere se e quanto il gioco può intervenire (per esempio facendo arrivare la polizia in certe situazioni). Nella modalità Regista poi, oltre a poter muovere con grande libertà il punto di vista per inquadrare le scene da dove si preferisce, si ha la possibilità di registrare video. Questo permette di costruire scene molto facilmente giocando e muovendo i personaggi.

Tutto questo però non è disponibile nella versione Online del gioco, quella usata per Grand Theft Hamlet. Quindi i due autori del film, Sam Crane e Mark Oosterveen, non hanno potuto controllare molto e hanno fatto un machinima in tempo reale, basandosi su quel che accadeva nel videogioco e che non potevano controllare. Per questo è considerato un documentario, perché non è interamente “messo in scena”.

Quello che Grand Theft Hamlet racconta è il modo in cui, a partire dalla frustrazione causata dal lockdown, i due attori, una volta scoperto l’auditorium all’aperto, abbiano iniziato a entrare in contatto, parlare e cercare di convincere altri giocatori a partecipare alla rappresentazione, invece di ucciderli come il gioco prevede. Con quelli che hanno aderito si è formata una “compagnia” che si dava appuntamento nel gioco periodicamente e faceva le prove, prima nell’auditorium e poi ovunque nella grande mappa della città fittizia di Los Santos. Quello che accadeva più frequentemente però era che altri giocatori collegati online nello stesso momento li uccidessero. Nel film come nel gioco si muore e si ricomincia moltissime volte, e lentamente questo meccanismo diventa parte di ciò che il documentario racconta.

Da un lato Grand Theft Hamlet è una storia a tratti divertente e a tratti drammatica sui tentativi di fare qualcosa di diverso in un videogioco pensato per giocare a spararsi; dall’altro è un modo di esplorare il bene e il male con le tecniche delle installazioni di videoarte. Nel film si vedono cose come un monologo recitato in un bar di Los Santos pieno di altri giocatori che assistono, prima che entri la polizia (che in GTA V è il nemico) e uccida tutti. Oppure accade che gli stessi Crane e Oosterveen litighino furiosamente nel gioco, davanti agli altri giocatori, anche se non è chiaro fino a che punto questo litigio sia messo in scena o meno. Il contrasto tra tutti questi tentativi di fare qualcosa di lontano dalle dinamiche di gioco e i mezzi creativi con cui gli altri giocatori li uccidono spesso ha un effetto comico.

Il film è stato presentato in tantissimi festival di cinema e ha vinto il premio come miglior documentario sia al South by Southwest (il secondo festival più importante d’America dopo il Sundance) sia a Sitges, il festival più importante per il cinema di genere e fantastico. Solitamente i film machinima hanno una circolazione limitata tra appassionati e si diffondono più che altro su YouTube, non hanno il tipo di realizzazione professionale che gli consente di accedere ai festival insieme al resto delle produzioni. Grand Theft Hamlet invece, anche grazie al fatto di essere stato realizzato da due attori, cioè persone con esperienza e contatti nei meccanismi di distribuzione cinematografici, ha avuto una vita molto diversa. Anche la distribuzione su una piattaforma come MUBI, che fa parte di un gruppo esperto nella gestione del cinema d’autore e da festival e che ha un catalogo molto ricercato, è coerente con questa categorizzazione.

Una delle caratteristiche che conferiscono a Grand Theft Hamlet uno status diverso rispetto ad altri machinima è il modo in cui è montato e confezionato. Los Santos, la città fittizia di GTA V, è stata ideata e disegnata per essere una versione esagerata di Los Angeles, un luogo da cui emerge l’ossessione per il capitalismo, il denaro come unica forma di transazione e relazione, e in cui il crimine è la regola. Il fatto che in quel mondo un gruppo di persone cerchi di fare qualcosa che equivale a nuotare controcorrente, ovvero non sparare, scappare, rapinare e rubare veicoli ma mettere in scena uno spettacolo, e che debba ironicamente combattere contro il resto dei giocatori ignari del progetto, alla lunga induce lo spettatore a riflettere su temi di certo non inediti, come la difficoltà nell’aggregare persone, il desiderio di fare qualcosa di più delle proprie vite, le diverse maniere e ragioni per le quali le persone si approcciano all’arte o il contrasto con chi ha altre aspirazioni nella vita, ma in una maniera diversa dal solito.

Inoltre l’idea di un film che è effettivamente un documentario, ossia la cronaca di qualcosa che è accaduto, ma che utilizza solo immagini sintetiche e animate per raccontare ciò che non si vede, è molto potente. Una parte importante di Grand Theft Hamlet è il fatto che tutto questo sia nato durante il lockdown, che le persone coinvolte, senza conoscersi e sparse nel mondo, fossero ognuna a casa propria, e che quindi in un certo senso le immagini del gioco parlino di ciò che avviene al di fuori del gioco stesso, nel mondo reale che le ha generate. Anche se in modi strani.