In Sudan l’esercito ha ripreso il controllo del palazzo presidenziale di Khartum
È un'altra importante vittoria nella guerra civile in corso da quasi due anni contro i paramilitari delle Rapid Support Forces

Venerdì i soldati dell’esercito del Sudan hanno ripreso il controllo del palazzo presidenziale di Khartum, la capitale del paese. Il palazzo sarebbe la sede del governo, ma da quasi due anni era sotto il controllo delle Rapid Support Forces, un gruppo paramilitare contro cui l’esercito sta combattendo una cruenta guerra civile che ha causato decine di migliaia di morti, milioni di sfollati e una grave carestia. La riconquista del palazzo presidenziale consolida l’avanzata dell’esercito sudanese, che negli ultimi mesi ha ottenuto varie importanti vittorie e sta quindi riuscendo a svoltare a suo favore la situazione sul campo.
Le Rapid Support Forces non hanno confermato di aver perso il controllo del palazzo, ma vari video verificati mostrano i soldati dell’esercito all’interno dell’edificio e la notizia è stata diffusa anche dal ministro dell’Informazione sudanese, cioè il governo che guida l’esercito regolare.

Una foto diffusa dall’esercito sudanese che ritrae i soldati di fronte all’ingresso del palazzo presidenziale di Khartum, 21 marzo 2025 (SAF via AP )
La guerra civile in Sudan iniziò nell’aprile del 2023 a causa di uno scontro tra Abdel Fattah al Burham, a capo dell’esercito, e Hamdan Dagalo, detto Hemedti, che dirige le Rapid Support Forces. I due generali erano a capo di una dittatura militare ma nel dicembre 2022, su pressione internazionale, acconsentirono ad avviare una transizione democratica. Quando però Burham decise di integrare le Rapid Support Forces nell’esercito regolare, Dagalo si oppose duramente: attaccò la capitale Khartum e prese rapidamente il controllo del palazzo presidenziale, quello che ora è stato riconquistato dall’esercito.
Al di là del palazzo, da oltre sei mesi l’esercito sta cercando di riprendere il controllo di tutta Khartum: finora è riuscito a riconquistarne ampie aree a nord e a est, ma ci sono ancora delle zone sotto il controllo delle Rapid Support Forces.
Nelle aree riconquistate ci sono interi quartieri abbandonati o distrutti, e molti edifici sono stati saccheggiati. Alcuni residenti hanno raccontato al New York Times che nei giorni prima di abbandonarle, i miliziani delle Rapid Support Forces avevano cominciato a chiedere soldi alla popolazione, minacciando di uccidere chi non li avesse consegnati. Secondo diverse stime, negli ultimi due anni la popolazione di Khartum si è ridotta da 8 a 2 milioni di residenti. Molti hanno lasciato le loro case a causa dei combattimenti e abitano in campi per sfollati alla periferia della città.
I combattimenti sono in corso in diverse aree del paese, anche lontane da Khartoum. La città di Al Fashir, la più grande della regione del Darfur settentrionale, è assediata da ormai un anno dalle Rapid Support Forces ma rimane ancora sotto il controllo dell’esercito. Giovedì il gruppo paramilitare ha detto di aver conquistato la città di Al Malha, a 200 chilometri di distanza, vicino al confine con il Chad e la Libia (l’esercito ha confermato i combattimenti ma non di aver perso la città).
Durante il primo anno e mezzo le Rapid Support Forces avevano ottenuto diverse importanti vittorie, poi la guerra è entrata in una fase di stallo. Dall’inizio del 2025 però l’esercito è riuscito a riconquistare ampie porzioni di territorio anche grazie all’aiuto di altre milizie. A metà febbraio le Rapid Support Forces e i rappresentanti di altri gruppi ribelli e partiti politici avevano firmato un accordo per formare un governo parallelo nei territori occupati (che loro ritengono legittimo), ma per il momento non se n’è fatto nulla.
La guerra civile sta causando in Sudan un disastro umanitario. Sono state uccise più di 26mila persone (ma non esistono numeri certi: alcune stime parlano anche di oltre 60mila), e più di 10 milioni di persone hanno dovuto lasciare la loro casa. Sia l’esercito regolare che le Rapid Support Forces sono accusate di aver bombardato indiscriminatamente aree abitate dai civili e di aver impedito la consegna degli aiuti umanitari. In varie aree del paese è in corso una grave carestia, e l’Unicef (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di infanzia) ha stimato la settimana scorsa che più di 700mila bambini rischiano la morte per fame. Nella guerra in Sudan, così come in altre guerre passate, lo stupro è diventato un’arma di guerra, usato cioè anche con lo scopo di spaventare e assoggettare la popolazione.
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