La sintonia tra John Elkann e Mario Draghi è vista con sospetto dalla destra
I due si sono sentiti spesso ultimamente, e i loro ammonimenti sull'alto costo dell'energia rendono evidenti le difficoltà del governo nel sostenere l'industria

Mercoledì pomeriggio, durante un colloquio avvenuto nei suoi uffici di Palazzo Madama, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha chiesto a John Elkann quale fosse la priorità su cui il parlamento dovrebbe agire con più determinazione. Elkann, che è presidente di Stellantis, ha risposto in modo diretto e conciso: «Il costo dell’energia». Del resto, su quel problema, e su quanto renda sconveniente produrre automobili in Italia, Elkann si era lungamente soffermato durante la sua audizione avvenuta alla Camera un paio d’ore prima.
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Quella di Elkann era stata la seconda autorevole sollecitazione sul tema. Martedì, infatti, in un’altra audizione molto attesa, l’ex presidente del Consiglio ed ex governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi aveva approfondito alcuni aspetti del suo rapporto sulla competitività europea, e aveva evidenziato il grosso svantaggio dell’industria italiana legato ai costi elevati dell’energia. La sintonia tra Elkann e Draghi, evidente peraltro anche su altri argomenti, non è casuale. I due si sono parlati e confrontati più volte nelle ultime settimane. Elkann ha chiesto a Draghi pareri e riscontri, in virtù di un rapporto di stima reciproca che dura da molto tempo e che negli ultimi tempi si è andato consolidando.
Pur parlando da punti di vista diversi, Elkann e Draghi hanno entrambi, in maniera indiretta, esortato il governo a fare qualcosa per l’industria. Hanno infatti parlato di come, pur in un contesto generalmente difficile come quello europeo, l’Italia viva una situazione particolarmente complicata. Draghi ha detto che il prezzo dell’elettricità all’ingrosso nel 2024 sono stati «in media superiori dell’87 per cento a quelli francesi, del 70 per cento rispetto a quelli spagnoli, e del 38 per cento rispetto a quelli tedeschi». E nel prezzo finale dell’energia che il consumatore deve pagare «incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate di Europa». Nello specifico, «nel primo semestre del 2024, l’Italia risultava il secondo paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici».
Significa che le aziende italiane devono pagare di più per far funzionare i loro macchinari, anche per via di maggiori tasse sull’energia stessa e di minori agevolazioni e sgravi rispetto ai loro concorrenti europei.
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Elkann ha spiegato invece che «i prezzi dell’energia dei paesi produttori di auto europei risultano 5 volte più alti di quelli cinesi», e che questo determina «uno svantaggio strutturale pari al 40 per cento del costo manifatturiero complessivo». Poi ha chiesto di intervenire a Jean-Philippe Imparato, il capo di Stellantis Europa, che ha detto: «Fare una macchina in Spagna mi costa 516 euro, fare una macchina in Italia mi costa 1.414 euro». Si tratta del costo medio per il produttore, cioè appunto per l’azienda: e questa differenza, ha detto Imparato, è in maniera sostanziale dovuta alle differenze del prezzo dell’energia, che in Spagna è molto più basso.
Draghi parla da ex capo del governo che su questo tema ha una certa credibilità: è stato infatti lui a promuovere misure che consentivano di realizzare su scala nazionale un parziale “disaccoppiamento” del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica generata anche con fonti rinnovabili, che è quello che l’Italia chiede da tempo che si faccia in modo più completo ed efficace a livello europeo. Inoltre, è stato il governo di Draghi a condurre una complicata battaglia diplomatica in Europa per imporre, nei mesi più difficili della crisi energetica tra il 2021 e il 2022, un tetto al prezzo del gas: obiettivo raggiunto sia pur con risultati più modesti di quelli inizialmente auspicati, anche a causa dell’opposizione di Germania e Paesi Bassi, ma che ha contribuito in una certa misura a contenere i costi dell’energia nel suo complesso in Italia.
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Giorgia Meloni ha guardato sempre con ammirazione a questo lavoro di Draghi. Chiese a Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica che aveva gestito in prima persona quei negoziati europei, di fornire una sorta di consulenza anche al proprio governo, per dare continuità. Pochi mesi dopo, però, Cingolani venne nominato amministratore delegato di Leonardo, la principale azienda pubblica del settore della difesa, e sul tema del disaccoppiamento del prezzo dell’energia, che doveva essere un po’ il completamento del lavoro avviato nel 2021 da Cingolani, Meloni non è finora riuscita a ottenere granché, in Europa. In questo compito, di per sé già complicato, non ha aiutato la scarsa autorevolezza del ministro che ha sostituito Cingolani, e cioè Gilberto Pichetto Fratin.
Tra i parlamentari di Fratelli d’Italia si è diffuso un certo malcontento durante l’audizione di Draghi: come se lui avesse voluto infierire sulle difficoltà del governo attuale che sono dovute in parte alle resistenze di altri paesi europei e che soprattutto, questo è il punto, vengono già insistentemente richiamate dalle opposizioni. Il leghista Claudio Borghi, invece, ha rimproverato a Draghi di non aver seguito l’esempio di Emmanuel Macron che nell’estate del 2022, per fronteggiare il rincaro delle bollette, ha nazionalizzato la principale azienda energetica francese, la EDF. «Perché lei», ha chiesto Borghi, «non ha pensato a tutelare gli italiani e le bollette degli italiani in quel modo, quando era presidente del Consiglio?». Quando Draghi era presidente del Consiglio, la Lega di Claudio Borghi era in maggioranza, e il vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, era ministro dello Sviluppo economico.
Oggi giornata intensa.
Qui il mio intervento con le domande, ahimé senza risposta (diretta), a Draghi stamattina in Senato. https://t.co/XGyxpsFKMC— Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) March 18, 2025
Elkann ha parlato da un altro punto di vista: quello del presidente di un gruppo automobilistico al quale il prezzo elevato dell’energia rende poco conveniente costruire automobili in Italia. Questo problema è emerso come una delle incognite sul mantenimento degli impegni di produzione annunciati da Stellantis in Italia. Nel complesso, infatti, l’audizione di Elkann è stata abbastanza rassicurante: non ha prospettato la chiusura di stabilimenti né riduzioni dei posti di lavoro, pur ammettendo che anche il 2025 sarà un anno molto difficile per Stellantis, in un contesto europeo in cui il mercato dell’automotive è un po’ ovunque in crisi.
Elkann ha confermato in questo senso gli obiettivi definiti lo scorso 17 dicembre durante un colloquio col ministro delle Imprese Adolfo Urso, compreso l’aumento degli acquisti dalla filiera italiana per 6 ulteriori miliardi nel 2025, assicurando dunque un buon livello di commesse per l’indotto dell’auto.
Lo stesso Urso, che nei mesi passati aveva tenuto un atteggiamento dialettico, spesso ostile e con toni pretestuosamente esasperati, mercoledì ha espresso apprezzamento per le parole di Elkann. E negli ultimi tempi aveva accantonato un argomento che aveva utilizzato spesso come una forma di pressione sui dirigenti di Stellantis: che in mancanza del raggiungimento dell’obiettivo quasi irrealistico di produrre almeno un milione di autoveicoli all’anno – quasi il 25 per cento in più rispetto al 2023 – avrebbe favorito l’ingresso di produttori di auto elettriche cinesi in Italia.

Mario Draghi entra nella sala Koch del Senato per la sua audizione, il 18 marzo 2025 (GIUSEPPE LAMI/ANSA)
Al dunque, questa minaccia si è rivelata inconsistente (anche il fatto che Elkann nell’audizione abbia insistito sul paragone tra i costi dell’energia in Cina e quelli in Italia non è stato un caso).
La sproporzione nel costo dell’energia condiziona non solo il mercato dell’auto tradizionale, ma anche dell’auto elettrica. Il governo fa da tempo pressione a Stellantis perché spinga Automotive Cells Company (ACC), di cui Stellantis è socio di minoranza, ad aprire a Termoli, in Molise, una gigafactory, cioè un grosso stabilimento industriale per la produzione delle batterie necessarie ad alimentare le auto elettriche. Elkann su questo punto è stato molto cauto, ma ha implicitamente ammesso che l’apertura non è affatto imminente.
«Per quanto riguarda una gigafactory, il consumo di energia necessario è 10 volte superiore a quello di uno stabilimento produttivo di autovetture», e questo spiega perché l’Europa, e l’Italia ancora di più, non sono ambienti favorevoli a questo tipo di industria. «Oggi sono attive 263 gigafactory in tutto il mondo: 214 sono in Cina, solo 13 in Europa», ha ricordato Elkann. Il quale sa che su questo aspetto difficilmente Stellantis può essere accusata di scarsa attenzione all’Italia: è un’accusa che gli è stata rivolta dopo che ACC aveva aperto, nel maggio 2023, una gigafactory in Francia, a Douvrin, dove Stellantis ha un suo stabilimento.
Ma in Francia il costo dell’energia è significativamente più basso. E Stellantis non è l’unica che si tiene alla larga dall’Italia: mesi fa il governo aveva auspicato che anche il capo di Tesla Elon Musk aprisse uno stabilimento in Italia con annessa gigafactory, dopo che era stato respinto un suo progetto di espandere l’unico impianto europeo di assemblaggio della sua azienda di auto elettriche, in Germania. Urso aveva annunciato questa ipotesi nel febbraio del 2024, dicendo che il dialogo con Tesla andava avanti da mesi e che il governo stava avendo «riscontri molto positivi». Come ha raccontato Andrea Stroppa, il referente italiano di Musk, quest’ultimo non ha mai preso davvero in considerazione questa proposta, tra l’altro proprio per l’elevato costo dell’energia.