Tra poco tutte le aziende italiane dovranno assicurarsi contro le catastrofi naturali
L'obbligo entra in vigore il 31 marzo, ci sono problemi e incognite

Dal 31 marzo per legge tutte le imprese italiane dovranno assicurarsi contro le catastrofi naturali e sottoscrivere a proprie spese una polizza che protegga dai danni causati da eventi come terremoti o alluvioni. Sebbene l’Italia sia particolarmente esposta a questi rischi, era rimasto uno dei pochi paesi dell’Unione a non prevedere una misura simile: oggi in caso di catastrofi naturali i danni vengono coperti da chi ne viene colpito, dagli enti locali e dallo Stato, con conseguenti grosse difficoltà, iniquità e lentezze. L’obbligo risolve in parte questo problema, ma ne crea diversi altri.
La norma interesserà tutte le imprese con una sede fisica in Italia, sia straniere che italiane, purché abbiano una sede operativa che possa essere oggetto di danni. Sono esclusi i professionisti che lavorano come lavoratori autonomi, e le imprese agricole, quelle della pesca e dell’acquacoltura, per le quali invece l’obbligo partirà dal 2026: queste ultime, essendo inevitabilmente più esposte ai danni da catastrofi naturali, hanno già un sistema di copertura dai danni specifico per il loro settore. Tutte le altre dall’1 aprile dovranno avere una polizza assicurativa apposita. Oggi in Italia solo il 5 per cento delle aziende è coperto da una polizza contro le catastrofi naturali.
Inizialmente l’obbligo sarebbe dovuto entrare in vigore il 31 dicembre 2024, come previsto dalla legge di bilancio approvata alla fine del 2023. Come spesso accade mancavano però i decreti attuativi con i dettagli operativi per far funzionare la misura, e il governo ha faticato parecchio a metterli insieme: un po’ perché è un tema ricco di delicatezze tecniche, ma anche per le proteste delle imprese che dovevano adeguarsi e delle compagnie assicurative che avrebbero dovuto offrire le polizze.
L’obiezione principale fatta dalle parti era che ci volesse più tempo per mettere in piedi un sistema efficace. Per questo, alla fine la scadenza è stata spostata di tre mesi – al 31 marzo, appunto – e il decreto ministeriale con tutti i dettagli è stato pubblicato solo alla fine di febbraio: dettagli che comunque sono ritenuti insufficienti e fallaci da gran parte degli esperti del settore. C’è ancora in corso una discussione tra associazioni delle imprese, che chiedono un ulteriore rinvio, e il governo, che lo starebbe valutando.
La questione forse più problematica è che per ora non sono previste sanzioni per le imprese che non si adeguano: questo riduce di molto l’efficacia del progetto. E non sono stati neanche previsti incentivi per le aziende che si doteranno di una polizza, come avviene invece in diversi paesi europei dov’è in vigore l’obbligo.
Le aziende che non si assicurano rischiano però di essere penalizzate in diverse occasioni, come spiega Claudia Giannetti, broker assicurativa e divulgatrice: avranno difficoltà nell’accesso ai bandi pubblici e in generale nelle procedure per ricevere fondi pubblici, per esempio, e rischiano anche di vedersi negare un finanziamento dalle banche più scrupolose. Senza contare il rischio più grosso: ritrovarsi a non avere diritto ad alcun rimborso – né pubblico né privato – nel caso in cui subiscano effettivamente danni da catastrofi naturali.
Per assicurarsi basta rivolgersi a una qualsiasi compagnia assicurativa. Dal momento che è una polizza obbligatoria per legge – come quella per la responsabilità civile per i mezzi stradali – le compagnie non possono rifiutarsi di fornirla e sono anche soggette a vincoli stringenti su massimali, scoperti e franchigie, cioè su tutti quei dettagli contrattuali che determinano se, a seguito di un certo evento, un rimborso è dovuto e a quanto ammonta. I contratti sono dunque abbastanza simili tra le diverse compagnie, quello che cambia è soprattutto il prezzo: e sono polizze piuttosto care.
Le polizze catastrofali, infatti, sono un prodotto relativamente nuovo. Fino all’introduzione dell’obbligo esistevano solo limitati tipi di copertura, come quella per i danni da terremoti, mentre la polizza prevista dalla legge prevede espressamente che siano coperti anche danni da frane, alluvioni, esondazioni e inondazioni (le differenze tra i diversi tipi di catastrofe si possono trovare qui). Il settore assicurativo ha dunque dovuto congegnare in poco tempo un prodotto che prima non offriva, e assai delicato per almeno altri due motivi.
Il primo è la grande complessità e tecnicalità della materia. I contratti assicurativi devono prevedere una vastissima serie di eventualità – dal capannone crollato per un terremoto al piccolo negozio allagato da una piena – e anche di modalità di rimborso, sia monetario ma anche in termini di servizi e assistenza, per esempio lo sgombero e la pulizia dei locali alluvionati. Gli addetti ai lavori dicono che servirà tempo ed esperienza per rodare i prodotti e chiarire i dubbi sul loro funzionamento e la loro sostenibilità. Nel frattempo l’ANIA, l’associazione italiana di riferimento per le imprese assicuratrici, ha creato una casella mail per le aziende che abbiano domande su come assicurarsi, oltre che una pagina di risposte ai dubbi più frequenti.
Il secondo motivo è legato alla sostenibilità dei bilanci delle compagnie assicurative. I rimborsi delle polizze catastrofali hanno potenzialmente tutt’altra scala rispetto a quelle tradizionali: rimborsare un’azienda a cui è crollato un capannone a seguito di un terremoto, per capirci, è generalmente molto più costoso di pagare i danni di un incidente stradale. E non solo: mentre l’incidente stradale è un evento singolo, in caso di catastrofe naturale le compagnie assicurative potrebbero ritrovarsi a erogare tanti rimborsi di grossa entità e tutti insieme.
Per quanto il costo di una polizza dipenda anche dalle caratteristiche del singolo assicurato, cioè dalla sua specifica esposizione alle catastrofi, in Italia queste polizze sono mediamente più costose che altrove anche per la scarsa propensione degli abitanti ad assicurarsi contro questi rischi: proprio perché sono pochi gli assicurati, le compagnie chiedono premi più alti in modo da avere maggiori fondi per coprire le richieste di rimborso. Con l’obbligo le cose dovrebbero cambiare, ed è possibile che nel tempo i costi per dotarsi di queste polizze scendano.
Con questo obiettivo è stata coinvolta anche SACE, società partecipata dallo Stato che tra le altre cose si occupa di assicurazioni alle imprese: semplificando molto, la legge prevede che SACE possa contribuire ai rimborsi tramite un sistema di garanzie pubbliche e riassicurazioni (cioè le assicurazioni delle assicurazioni), così che i costi non gravino del tutto sulle compagnie assicurative. La garanzia del subentro dello Stato rende questi prodotti più sostenibili per le compagnie assicurative, che possono venderle a prezzi più accessibili senza il timore concreto di fallire: ma chiaramente crea un’altra zona grigia di potenziali incertezze, poiché l’intervento di SACE sarà sottoposto a limiti e condizioni.
Il costo delle polizze, comunque, non è l’unico motivo per cui ci si assicura poco. Le persone generalmente sottovalutano la probabilità e l’impatto delle catastrofi, e in alcuni paesi europei, come l’Italia, l’educazione finanziaria è talmente scarsa che gran parte delle persone non ha le conoscenze necessarie a fare scelte economiche consapevoli e appropriate. Esiste anche l’idea molto diffusa che in caso di eventi estremi lo Stato sarà sempre in grado di compensare le perdite, e quindi dotarsi di una polizza sarebbe uno spreco di soldi.
Da molti anni però è emerso chiaramente che il modo in cui i governi si fanno carico dei danni causati dalle catastrofi naturali è molto deficitario, soprattutto mentre queste diventano sempre più estreme e frequenti: le strutture pubbliche sono ben più lente delle assicurazioni nell’erogare risarcimenti e spesso la politica rappresenta un ostacolo. Senza contare che gli interventi concorrono all’aumento della spesa pubblica, altra questione citata direttamente dal governo per motivare questa norma.
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