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  • Giovedì 20 marzo 2025

La durissima sentenza contro Greenpeace per le proteste al Dakota Access Pipeline

È stata condannata a pagare 660 milioni di dollari di danni all'azienda che gestisce l'oleodotto, la cui costruzione era stata molto contestata

Alcuni attivisti protestano contro l'espansione dell'oleodotto Dakota Access Pipeline a Cannon Ball, North Dakota, 2 novembre 2016 (AP Photo/John L. Mone)
Alcuni attivisti protestano contro l'espansione dell'oleodotto Dakota Access Pipeline a Cannon Ball, North Dakota, 2 novembre 2016 (AP Photo/John L. Mone)

Una giuria del tribunale di Mandan, nel North Dakota, negli Stati Uniti, ha stabilito che l’ong ambientalista Greenpeace deve pagare 660 milioni di dollari di danni (più di 600 milioni di euro) a Energy Transfer, un’azienda texana che si occupa di trasporto e stoccaggio di combustibili fossili. Il processo in cui l’ong e l’azienda sono coinvolte riguarda le grosse proteste del 2016 e del 2017 contro il Dakota Access Pipeline, un oleodotto duramente contestato da gruppi di nativi americani e attivisti ambientalisti. È un verdetto molto duro per l’ong fondata nel 1976, che in precedenza aveva detto che una condanna avrebbe rischiato di farla fallire.

La Energy Transfer aveva fatto causa a Greenpeace per circa 300 milioni di dollari (275 milioni di euro), ma in un verdetto molto contestato la giuria ha più che raddoppiato la somma a carico dell’organizzazione ambientalista, che ha annunciato che farà appello.

Mandan si trova un’ottantina di chilometri a nord di Standing Rock, la riserva indiana abitata dai Sioux dove si concentrarono le proteste. Il Dakota Access Pipeline è un oleodotto sotterraneo che serve a portare il greggio dalla Bakken Formation – una zona al confine tra Montana e North Dakota, nel nord-ovest degli Stati Uniti – fino all’Illinois, attraversando il South Dakota e l’Iowa. La sua costruzione era stata ampiamente contestata sia dagli abitanti della riserva, secondo cui avrebbe inquinato le acque del fiume Missouri, la loro principale fonte idrica, e danneggiato terre sacre per i nativi americani.

In seguito il suo percorso fu deviato, ma nel frattempo alle proteste si erano unite migliaia di persone, tra cui membri di altre tribù, attivisti ambientalisti e celebrità. Ci furono anche scontri violenti con le forze dell’ordine e grossi danni.

Nel 2019 la Energy Transfer, che è una delle aziende del settore più importanti degli Stati Uniti, fece causa a Greenpeace accusandola di aver guidato le proteste, di aver diffuso disinformazione e di aver danneggiato economicamente l’azienda. Greenpeace, che negli Stati Uniti è attiva con diverse non profit, è stata infine giudicata colpevole di violazione di proprietà privata, diffamazione e associazione a delinquere.

– Leggi anche: Le dure proteste contro il Dakota Access Pipeline

L’ong ha sostenuto di aver avuto un ruolo marginale nelle proteste guidate dalla tribù Sioux di Standing Rock, e ha detto che cause come questa sono pensate per limitare il diritto alla libertà di parola e quello a riunirsi per protestare in maniera pacifica sanciti dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

In un comunicato, Greenpeace ha accusato quelli che ha definito «bulli del settore del petrolio» di voler mettere a tacere le loro proteste. Il mese scorso la ong aveva a sua volta citato in giudizio Energy Transfer in un tribunale olandese per i danni subiti per via delle cause intentatele dall’azienda, citando le norme europee per proteggere media e attivisti dalle intimidazioni.