Forse dovremo ripensare l’energia oscura
Nuovi dati sembrano confermare che il misterioso fenomeno che fa espandere l’Universo non sia costante, ed è un bel grattacapo

Uno dei gruppi di ricerca più importanti sull’energia oscura – ciò che spinge il nostro Universo a espandersi sempre più velocemente – ha da poco presentato nuovi dati che sembrano suggerire che questa misteriosa energia stia lentamente diminuendo e non sia quindi costante. I dati sono ancora preliminari e saranno necessarie altre analisi, ma se confermati farebbero mettere in discussione una parte importante del modello ipotizzato dai fisici per ricostruire la storia e le future evoluzioni dell’Universo.
La nuova serie di dati è stata presentata mercoledì 19 marzo durante un incontro dell’American Physical Society in California, con studi scientifici che descrivono i risultati e che devono essere ancora sottoposti a un processo di revisione prima di poter essere pubblicati su una rivista scientifica. Le analisi sono state effettuate utilizzando i dati forniti dal Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI), una grande collaborazione scientifica per misurare l’effetto dell’energia oscura sull’espansione dell’Universo. Il nuovo materiale sembra confermare quanto era emerso nell’aprile dello scorso anno, quando i responsabili di DESI avevano iniziato a sollevare l’ipotesi che l’energia oscura fosse diminuita nel corso di miliardi di anni.
Con i nuovi studi il gruppo di ricerca segnala di avere ottenuto ulteriori dati a conferma di quell’ipotesi, pur mantenendosi ancora al di sotto del margine di incertezza per dichiarare una nuova scoperta. Un eventuale ripensamento dell’energia oscura avrebbe grandi implicazioni e, per comprenderle, occorre partire da ciò che ci circonda e di cui siamo fatti: la materia.
Vedendola e avendone esperienza di continuo, tendiamo a pensare che la materia sia tantissima, ma in realtà in termini cosmologici (cioè nello studio dell’Universo nel suo insieme) è relativamente poca. Si stima che la materia costituisca meno del 5 per cento dell’Universo conosciuto e che tutto il resto sia formato per il 25 per cento di materia oscura e per il 70 per cento di energia oscura. Queste ultime due sono completamente invisibili sia ai nostri occhi sia agli strumenti di misurazione, e infatti non sappiamo di preciso che cosa siano né come funzionino.

Rappresentazione schematica di che cosa si intende per “materia” in rapporto alle altre forme “oscure” ipotizzate (ESA)
Dopo decenni di teorie, osservazioni indirette e studi, si è arrivati a un certo consenso scientifico sul fatto che esistano, più che altro perché in loro assenza non si potrebbero spiegare alcuni dei fenomeni che possiamo osservare e che conosciamo. In altri termini, le teorie per spiegare come funziona l’Universo hanno bisogno sia della materia oscura sia dell’energia oscura per avere senso.
Circa un secolo fa si scoprì che l’Universo si sta espandendo e circa 70 anni dopo fu anche scoperto che l’Universo è in una fase di espansione accelerata: la velocità a cui si sta espandendo aumenta nel tempo. Non fu banale scoprirlo e la circostanza era inattesa, perché contraddiceva alcune parti del modello che era stato teorizzato fino ad allora per descrivere l’Universo, secondo il quale la gravità avrebbe via via portato l’espansione a rallentare.
Non è chiaro che cosa determini l’accelerazione, ma tra le ipotesi più condivise c’è quella che contempla l’esistenza dell’energia oscura. Questa sarebbe un particolare tipo di energia che contrasta in qualche modo la gravità e che fa sì che l’Universo acceleri la propria espansione. È una forma di energia ipotetica, che secondo la teoria sarebbe distribuita omogeneamente nello spazio e impossibile da misurare direttamente.
Di energia oscura si parla nel modello Lambda-CDM, che è considerato il modello standard della cosmologia: quello più adatto e semplice per provare a spiegare il funzionamento su grande scala dell’Universo nella sua espansione accelerata. Il nome del modello è legato alla costante cosmologica, indicata con la lettera Λ (lambda) dell’alfabeto greco, inizialmente aggiunta da Albert Einstein alle proprie equazioni per la teoria della relatività generale ipotizzando un universo statico.
Oggi quella costante ha un ruolo diverso ed è usata per provare a spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’Universo. Più si espande, più la materia e l’energia che riusciamo a osservare diventano meno dense perché si “spalmano” in uno spazio sempre più grande. Diventano quindi meno dense e ciò dovrebbe essere accompagnato da un rallentamento nell’espansione dell’Universo e non da una sua accelerazione.
Durante questo fenomeno c’è però una cosa che non si diluisce ed è lo spazio. Se una scatola inizia a espandersi, tutto al suo interno sembra allontanarsi e quindi diluirsi, a parte lo spazio all’interno della stessa scatola. Se ipotizziamo che il vuoto che costituisce quello spazio abbia una propria energia, all’aumentare del vuoto aumenterà l’energia e di conseguenza l’accelerazione nell’espansione della scatola. Si ipotizza che questa energia del vuoto possa fornire una spiegazione dell’energia oscura, su scala cosmologica.
DESI cerca di fare qualcosa di simile, utilizzando uno strumento montato sul telescopio Mayall di Kitt Peak in Arizona, che tiene traccia di milioni di galassie lontanissime. Sono talmente lontane da poterle osservare come si presentavano miliardi di anni fa, perché la loro luce impiega moltissimo tempo per raggiungere lo strumento. DESI in un certo senso vede nel passato e può mappare lo spostamento relativo delle galassie dalle loro vicine e da noi, in base all’epoca in cui effettivamente si trovano. Più le galassie sono distanti più mostrano epoche antiche, e questo permette di calcolare come e quanto si sta espandendo l’Universo.
Tornando all’analogia della scatola, è come se DESI osservasse il modo in cui si spalmano nello spazio gli oggetti al suo interno, ricostruendo in questo modo come si espande la scatola stessa.
In pochi anni, DESI ha permesso di mappare le caratteristiche e la posizione di milioni di galassie per come apparivano tra i 2 e i 12 miliardi di anni fa, sui circa 13,8 miliardi di esistenza stimata dell’Universo. I gruppi di ricerca le hanno poi suddivise in sette grandi epoche e sono andati a vedere se ci fosse una corrispondenza tra quanto osservato e quanto previsto da Lambda-CDM, confrontando i risultati anche con quelli ottenuti da altri esperimenti.
Ad aprile dello scorso anno i responsabili di DESI avevano annunciato che le prime analisi facevano sospettare che l’energia oscura non sia costante nel tempo, ma che subisca oscillazioni e che stia diminuendo. Quei risultati hanno ricevuto ulteriori conferme nell’ultimo anno grazie all’analisi di altri dati, ma anche in questo caso la rilevanza statistica è ancora poco affidabile. Potrebbero esserci minuscoli errori di misurazione che portano a interpretare i dati in modo scorretto e per questo si è ancora al di sotto del margine di incertezza per confermare la scoperta.
In fisica si utilizza la soglia di 5 sigma (l’unità di misura dell’incertezza statistica) per dichiarare una scoperta, perché si vogliono evitare annunci basati su semplici fluttuazioni statistiche. Se le ricerche saranno confermate nel processo di revisione, con DESI si è arrivati a 4,2 sigma: un risultato molto promettente (1 probabilità su 50.000 di errore), ma non abbastanza solido da essere considerato definitivo e poter annunciare di avere scoperto qualcosa di nuovo.
A complicare ulteriormente le cose ci sono i risultati di altri esperimenti, che sembrano invece confermare l’ipotesi di un’energia oscura costante nel corso del tempo. Sempre questa settimana il gruppo internazionale di ricerca dell’Atacama Cosmology Telescope (ACT) in Cile ha pubblicato nuovi dati sui primordi dell’Universo, che permettono di ricostruire come si presentava quando aveva appena 380mila anni sui 13,8 miliardi di oggi. I dati e le analisi sembrano confermare che le cose andassero come previsto dal modello standard nei primi tempi dell’Universo. D’altra parte, non forniscono informazioni su cosa possa essere accaduto all’energia oscura in tempi più recenti, quindi la questione rimane aperta.

L’Atacama Cosmology Telescope, visto dall’alto (Wikimedia)
Secondo alcuni cosmologi, l’introduzione del concetto di una forma dinamica di energia oscura – che quindi può variare – potrebbe aiutare a tenere insieme la teoria e i dati raccolti nella pratica. Sarebbe però una soluzione di compromesso e non tutti sono convinti che abbia senso intraprendere questa strada, almeno allo stato attuale delle conoscenze.
In un certo senso l’energia oscura è diventata ulteriormente più oscura, come ha detto Michael Turner, che ideò proprio il termine “energia oscura” nel 1998: «La buona notizia è che non ci sono crepe nell’uovo cosmico. La brutta notizia è che non ci sono crepe nell’uovo cosmico. [Se ci fosse una crepa] non si sarebbe aperta a sufficienza per vedere il prossimo grande progresso nella cosmologia, almeno per ora».