Pensiamo che capire le emozioni dei cani sia facile

In realtà le fraintendiamo facilmente, ha dimostrato un esperimento che ha sfruttato le reazioni al guinzaglio o all'aspirapolvere

Un husky in primo piano e un altro fuori fuoco, sullo sfondo
Un husky abbaia prima di una gara di cani da slitta nel bosco di Feshiebridge, in Scozia, il 19 gennaio 2016 (Jeff J Mitchell/Getty Images)

«Gli manca solo la parola» è una frase fatta che capita spesso di sentire quando le persone parlano dei loro animali domestici. C’è chi dice che il suo cane è in grado di capire se lui o lei è triste, per esempio, perché si comporta in modo diverso dal solito, quasi come se volesse offrire consolazione. La capacità inversa, cioè quella umana di comprendere le emozioni degli animali domestici, in particolare dei cani, è in generale meno commentata perché molte persone la considerano ovvia.

Eppure, sebbene pensiamo di sapere cosa provino i cani, quand’è che sono felici e quando no, non siamo poi così bravi a capirlo, secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Anthrozoös e condotto dalla psicologa Holly Molinaro e dall’etologo Clive Wynne, dell’università statale dell’Arizona.

Molinaro e Wynne hanno mostrato a un gruppo di 400 studenti del campus una serie di video in cui un cane domestico reagiva a due diversi tipi di stimoli: positivi, come il suo guinzaglio, un suo giocattolo o uno spuntino, e negativi, come un rimprovero o l’aspirapolvere. Hanno quindi chiesto a ciascun partecipante di valutare quanto il cane fosse felice in ogni video.

Il cane utilizzato per girare i video era il cane di famiglia di Molinaro – Oliver, un maschio di 14 anni, incrocio tra un pointer e un beagle – ripreso in casa mentre interagiva con il suo proprietario (il padre di Molinaro). In un primo esperimento gli studenti dovevano osservare video completi, che mostravano tutta la stanza e la situazione, e video modificati in modo da rimuovere qualsiasi elemento contestuale – incluso lo stimolo – e lasciare solo il cane, su uno sfondo tutto nero.

Quando i video non mostravano il contesto le persone tendevano a interpretare meno correttamente le situazioni «negative», cioè quelle in cui il cane era esposto a stimoli come l’aspirapolvere o il gatto domestico. In quei casi capitava più spesso che qualcuno dei partecipanti rispondesse che il cane era felice. In generale i risultati dello studio hanno mostrato che le persone basavano le loro risposte più sull’osservazione dello stimolo che sull’osservazione del comportamento del cane. E questa tendenza è emersa con ancora più chiarezza in un secondo esperimento, in cui i video modificati mostravano su sfondo nero non solo il cane ma anche lo stimolo.

A insaputa dei partecipanti, alcuni video erano stati alterati in modo da combinare parti di situazioni diverse: lo stimolo del guinzaglio (o un altro stimolo positivo) e la reazione del cane all’aspirapolvere (o a un altro stimolo negativo). Quando le persone vedevano il cane reagire all’aspirapolvere tendevano a rispondere che era agitato e si sentiva male. Quando osservavano la stessa reazione ma combinata con lo stimolo del guinzaglio tendevano a dire che il cane era calmo e felice.

«Se vedi un cane che riceve un premio, presumi che si senta bene, e se vedi che viene sgridato, presumi che si senta male», ha detto Molinaro. Queste supposizioni, ha aggiunto, «non hanno però niente a che fare con il comportamento del cane o con i segnali emotivi, il che è molto sorprendente». È come se nell’interpretazione delle emozioni del cane le persone avessero «una specie di grande punto cieco intorno al cane stesso», ha detto Wynne al New York Times.

Come dichiarato dall’autore e dall’autrice, lo studio ha comunque diversi limiti, tra cui il fatto che è basato sui comportamenti di un solo cane. Inoltre gli esperimenti non prevedevano di usare stimoli troppo spaventosi o traumatici, che avrebbero potuto suscitare reazioni del cane meno ambigue. È anche possibile che le persone proprietarie di cani domestici siano più abili nel valutare le emozioni del proprio cane, secondo Wynne, anche se non necessariamente quelle di qualsiasi cane.

Avere molta esperienza con i cani era in effetti un fattore tenuto in considerazione durante gli esperimenti, ma non è emersa una correlazione con una migliore capacità di interpretare correttamente i comportamenti del cane. L’unica differenza tra le persone con quel tipo di esperienza e quelle che non ne avevano alcuna è che in generale le prime tendevano più spesso a valutare come positivo lo stato emotivo del cane.

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Molinaro ha detto al New York Times di considerare lo studio – oltre che un bel modo di commemorare Oliver, morto prima della pubblicazione – un tentativo di indagare una diffusa tendenza delle persone a sovrastimare la loro capacità di interpretare le espressioni dei cani. Uno dei possibili motivi di questa tendenza, secondo lei, è un pregiudizio generale causato dalla proiezione di emozioni umane sugli animali.

Studiare meglio le emozioni dei cani nell’interazione con gli esseri umani potrebbe migliorare l’esperienza dei cani e delle persone nei contesti familiari, e anche prevenire situazioni in cui i cani si sentono a disagio o minacciati. Uno studio pubblicato nel 2023 dall’università di Helsinki, per esempio, aveva mostrato che la capacità di distinguere sulla base dell’espressione facciale un cane inferocito da uno che non lo è – capacità abbastanza normale tra gli umani adulti – non è ancora sviluppata nei bambini tra i 4 e i 6 anni.

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