• Mondo
  • Giovedì 20 marzo 2025

L’attacco col sarin nella metro di Tokyo, 30 anni fa

Fu compiuto dai membri di una setta, che uccisero 14 persone e ne ferirono migliaia: secondo molti non è stata fatta del tutto giustizia

Un passeggero rimasto coinvolto nell'attacco alla metro del 20 marzo 1995 viene portato in un ospedale di Tokyo (AP Photo/Chikumo Chiaki)
Un passeggero rimasto coinvolto nell'attacco alla metro del 20 marzo 1995 viene portato in un ospedale di Tokyo (AP Photo/Chikumo Chiaki)

Durante l’ora di punta del 20 marzo 1995 una setta giapponese che credeva nell’imminente arrivo dell’apocalisse piazzò diversi sacchetti contenenti sarin in forma liquida, un gas nervino altamente tossico, nella metro di Tokyo: i vapori del sarin uccisero 14 persone, e un migliaio riportò lesioni significative. È il più grave attentato terroristico nella storia recente del Giappone, ma trent’anni dopo molte vittime e i loro familiari ritengono che lo stato giapponese non abbia fatto abbastanza per fare giustizia.

L’attacco fu compiuto da membri della setta Aum Shinrikyō (che significa in giapponese “verità suprema”), fondata nel 1984 da un uomo chiamato Shoko Asahara. Il gruppo univa credenze buddhiste, induiste e cristiane, ed era convinto che presto il mondo sarebbe finito, e che solo i seguaci della setta sarebbero sopravvissuti all’apocalisse. In dieci anni l’organizzazione riuscì a riunire 10mila membri in Giappone e ancora di più all’estero. Nel frattempo compì diversi crimini, fra cui vari omicidi e un primo attacco col sarin, nel 1994 nella città di Matsumoto, in cui furono uccise sette persone. Gli errori nelle indagini però impedirono alla polizia di ricondurre subito i delitti alla setta.

Secondo le convinzioni della setta l’attacco alla metropolitana di Tokyo sarebbe dovuto servire per far avvicinare la fine del mondo. Per i membri di Aum Shinrikyō l’apocalisse sarebbe iniziata con una guerra fra Stati Uniti e Giappone a cui sarebbero sopravvissuti solo loro, che avrebbero dovuto ricostruire una società utopica. I procuratori del processo contro Shoko Asahara dissero che in realtà fra le motivazioni dell’attacco c’era quella di distrarre la polizia, che stava pianificando una perquisizione negli uffici della setta di cui il fondatore era in qualche modo venuto a conoscenza.

Il 20 marzo quindi cinque membri della setta salirono sui convogli di tre linee della metro di Tokyo portando con sé dei sacchetti che contenevano il sarin in forma liquida, mentre altri cinque li attendevano in luoghi prestabiliti su altrettante auto, per aiutarli a fuggire dopo l’attacco. Quando i treni su cui viaggiavano arrivarono sotto alla sede della Dieta nazionale (il parlamento giapponese) i membri di Aum Shinrikyō lasciarono i sacchetti sul pavimento dei vagoni e li forarono di nascosto con degli ombrelli acuminati.

Il sarin quando è liquido evapora molto in fretta, e il gas si diffuse rapidamente nei treni: entro pochi minuti i passeggeri iniziarono a manifestare i segni dell’intossicazione. Alcuni collassarono sul posto mentre altri riuscirono a uscire dalle stazioni, con sintomi più o meno gravi. I convogli furono fermati, e nel giro di mezz’ora le stazioni furono evacuate.

Soldati giapponesi ripuliscono un vagone dove era stato rilasciato il sarin dopo l’attacco (Japanese Defence Agency/Getty Images)

Otto persone morirono il giorno stesso dell’attacco, e altre quattro in quelli seguenti. Nel 2008 il governo giapponese riconobbe una tredicesima persona, che morì il giorno successivo a causa dell’inalazione di sarin, come vittima dell’attacco. Nel 2020 una donna morì dopo essere stata costretta a letto per 25 anni dalle conseguenze dell’attacco: è stata riconosciuta come la 14esima vittima dell’attentato.

Il 20 marzo, in conseguenza all’attacco, furono ricoverate negli ospedali di Tokyo più di cinquemila persone. In realtà moltissime di loro avevano solo sintomi lievi o nulli, ma erano preoccupate di aver subìto danni più gravi. Alcune centinaia di persone ebbero problemi alla vista, e una cinquantina fu ricoverata per problemi seri, fra cui spasmi muscolari, problemi respiratori e gastrointestinali, e alcuni richiesero un ricovero in terapia intensiva. Alcune persone invece andarono normalmente al lavoro nonostante i sintomi, ignari dell’intossicazione. Moltissimi rimasero gravemente traumatizzati.

Le prime operazioni di soccorso furono rese molto complicate dal fatto che non fu immediatamente chiaro che tipo di attacco era stato compiuto (all’inizio ai soccorritori venne riferito di un’esplosione), e perché anche una volta capito che si trattava di un attacco con un agente tossico la sostanza velenosa non fu subito identificata come sarin. Solo due ore dopo gli attacchi gli ospedali iniziarono a somministrare gli antidoti per il gas nervino.

Il trattamento dei passeggeri rimasti feriti nell’attacco (Kyodo News via AP)

Il sarin è un agente nervino, cioè una sostanza che danneggia il funzionamento del sistema nervoso: il suo nome tecnico è fluoro-metil-fosforil-ossipropano, e deriva dall’acido fosforico. Fu sviluppato negli anni Trenta da un gruppo di scienziati tedeschi che stava cercando di sviluppare un pesticida. I composti che gli scienziati realizzarono si rivelarono troppo pericolosi per l’uso agricolo, ma vennero impiegati dagli eserciti di diversi paesi come armi chimiche (che oggi comunque sono vietate in quasi tutto il mondo).

Anche una quantità minuscola può risultare letale in pochi minuti se viene inalata o entra in contatto con la pelle. Quando entra nell’organismo blocca la produzione di un enzima che serve a eliminare l’acetilcolina, un neurotrasmettitore che facilita il passaggio degli impulsi nervosi dai nervi ai muscoli. L’accumulo di acetilcolina porta alla stimolazione continua dei muscoli, che quindi rapidamente smettono di funzionare correttamente. L’avvelenamento da sarin causa fra le altre cose difficoltà respiratorie, rallentamento del battito cardiaco, svenimento, fuoriuscita di feci e urine dovuta alla perdita di controllo dei muscoli, e infine la morte. Se non trattato adeguatamente, il contatto con una dose non letale può causare danni neurologici permanenti anche molto gravi.

Dopo gli attacchi, la polizia giapponese riuscì a ricostruire con più precisione le attività di Aum Shinrikyō. La sua base, vicino al monte Fuji, fu perquisita due giorni dopo, e il fondatore Shoko Asahara fu arrestato a maggio in una perquisizione successiva, nascosto in un’intercapedine ricavata dietro a un muro del complesso. Subì un lungo processo, e fu condannato alla pena capitale nel 2004, e il suo ultimo appello venne respinto nel 2011. La sua condanna a morte fu eseguita per impiccagione il 6 luglio 2018, e nello stesso mese furono eseguite le condanne a morte degli altri 11 membri della setta coinvolti nell’attacco. Diversi altri sono stati condannati all’ergastolo.

Shoko Asahara, fondatore della setta Aum Shinrikyō, in una foto del 1990 (EPA/JIJI PRESS)

Le perquisizioni scoprirono varie prove di crimini, abusi e torture sui membri della setta e contro familiari, giudici e avvocati che avevano cercato di farli uscire dall’organizzazione. In tutto il gruppo è considerato responsabile di 27 omicidi. Dopo l’arresto di Shoko Asahara la setta Aum Shinrikyō venne sciolta, ma nel 2000 fu ricostituito un gruppo successore chiamato Aleph (la prima lettera dell’alfabeto ebraico), che esiste ancora oggi e conta circa 1.600 membri in Giappone. Anche altre due sette, molto più piccole, continuano a seguire gli insegnamenti del fondatore di Shoko Asahara.

Nel tempo il governo giapponese ha stanziato un fondo di 3 miliardi di yen (circa 18 milioni di euro) per il risarcimento delle vittime, a cui hanno accesso più di 5mila persone. Un miliardo di questi dovrebbe essere versato da Aleph, che però non lo ha mai fatto, ed è stato accusato di aver nascosto milioni di yen di profitti derivanti da corsi di yoga e seminari spirituali. Alcuni sopravvissuti e familiari delle persone uccise hanno recentemente esortato il governo a fare di più per ottenere i pagamenti dal gruppo.

L’attacco, le attività della setta e le vicende giudiziarie conseguenti sono state molto seguite in Giappone, ma alcuni hanno criticato i media e le istituzioni perché la narrazione si è focalizzata più sui crimini di Aum Shinrikyō che sull’insegnare ai cittadini come stare alla larga da sette e organizzazioni pericolose.