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  • Mercoledì 19 marzo 2025

La Terra dei fuochi brucia ancora

Nelle campagne tra il napoletano e la provincia di Caserta le bonifiche delle discariche non sono mai cominciate, e non è cambiato quasi niente

di Angelo Mastrandrea

Rifiuti nella campagna di Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)
Rifiuti nella campagna di Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)
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Al confine tra i comuni di Giugliano e di Villa Literno, a nord di Napoli, c’è una discarica abusiva di rifiuti che si estende per alcune centinaia di metri. Si trova poco oltre uno svincolo conosciuto come “la rotonda di Ischitella”, lungo una via sterrata che attraversa la campagna. In alcuni punti i rifiuti sono così tanti da bloccare il passaggio e i contadini sono costretti a scendere dai trattori e a spostarli con le mani per poter passare oltre. Un po’ ovunque ci sono segni di incendi.

La discarica abusiva vicino alla rotonda di Ischitella a Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

«Spesso sono gli stessi agricoltori a bruciare tutto per fare un po’ di spazio, però dopo un po’ la strada si riempie di nuovo», dice Enzo Tosti, che è stato vicesindaco di Orta di Atella, un comune del casertano, e da anni denuncia le discariche abusive. Altre volte a dare fuoco alla spazzatura sono persone pagate da chi smaltisce i rifiuti illegalmente, per evitare di lasciare tracce che possano far risalire a loro.

Accade lo stesso nelle decine di discariche abusive che si trovano tra il napoletano e la provincia di Caserta. Per questo nel 2003 Legambiente, in un rapporto sulle ecomafie, definì quest’area la Terra dei fuochi. Lo scrittore Roberto Saviano utilizzò la stessa definizione in Gomorra, e da allora è diventata di uso comune. Nel 2017 la procura di Napoli contò 2767 discariche abusive e 653 roghi tossici in un’area di 426 chilometri quadrati. «Da allora, nonostante numerose inchieste giudiziarie e la nomina di numerosi commissari straordinari, non è cambiato molto», dice Domenico Laurenza, un attivista di “Stop biocidio”, una rete di comitati ambientalisti locali.

Laurenza da due mesi tenta di far bonificare una discarica abusiva nella campagna di Caivano, lungo i Regi Lagni, un reticolo di canali costruiti nel Seicento per convogliare le acque piovane verso il mare. Dice di aver presentato molte denunce, ma è convinto che «finirà come è già accaduto altre volte: che di notte sentiremo la puzza di fumo e dovremo accorrere perché sono stati incendiati».

Rifiuti lungo la strada nella campagna di Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

La discarica abusiva vicino alla rotonda di Ischitella è una delle più grandi di tutta la Terra dei fuochi. Accatastati ai bordi della strada, vicino alle reti che delimitano i campi coltivati e davanti ai cancelli d’ingresso, ci sono tettoie in amianto e altri materiali di scarto dell’edilizia, pneumatici usati ed elettrodomestici sventrati, manichini utilizzati nei laboratori del tessile e sacchi neri pieni di pelli ritagliate.

Sacchi pieni di ritagli di pelli in una discarica abusiva a Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

Sacchi pieni di ritagli di pelli in una discarica abusiva a Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

«Sono gli scarti delle ditte che lavorano in conto terzi per le grandi firme della moda, è tutta pelle di prima qualità, se si guarda bene si trovano anche i nomi delle aziende produttrici», spiega Tosti. Altri bustoni pieni di tessuti e finta pelle provengono invece dalle decine di laboratori clandestini che producono borse e vestiti con griffe false. L’ultimo è stato sequestrato alla fine di ottobre a Palma Campania, un altro comune della provincia di Napoli: in un capannone di 350 metri quadrati sono stati trovati 33mila capi d’abbigliamento falsificati e 500 etichette con la scritta “made in Italy”.

Poco lontano, lungo la strada che taglia in due la cosiddetta Area vasta, una zona di campagna che si estende per un paio di chilometri alla periferia di Giugliano, i rifiuti occupano un’intera corsia. Per circa un chilometro si cammina tra sacchi di vestiti aperti e sparpagliati sull’asfalto, o accatastati a formare delle collinette. «Provengono dai cassonetti della raccolta degli indumenti usati, quelli che non sono riciclabili vengono abbandonati nelle discariche abusive, è un fenomeno nuovo», dice ancora Tosti. Proseguendo, si trovano frigoriferi sventrati e cavi dell’elettricità da cui è stato tolto il rame.

Un tubo della centrale a biogas di Giugliano smontato e abbandonato (Angelo Mastrandrea/il Post)

Un tubo della centrale a biogas di Giugliano smontato e abbandonato (Angelo Mastrandrea/il Post)

Il metallo è molto richiesto sul mercato illegale perché viene pagato anche 4 o 5 euro al chilogrammo dai grossisti, che poi lo mandano nelle fonderie o lo lavorano sul posto per rivenderlo sul mercato a 7 o 8 euro al chilogrammo. Mobili da rottamare, letti, materassi, divani e altri arredamenti vengono invece portati qui dagli “svuotacantine”, persone che per poche decine di euro sgomberano box e a volte interi appartamenti. Tosti dice che basta osservare da vicino la spazzatura che si trova nelle decine di discariche abusive della zona per «ricostruire tutte le attività in nero che caratterizzano l’economia di questo territorio».

Da molti anni associazioni e comitati denunciano che gli smaltimenti illegali di rifiuti hanno provocato l’aumento di malattie dell’apparato respiratorio e di tumori del sangue, anche nei bambini. Nel 2019 Enzo Tosti ha scoperto di essere malato di linfoma non Hodgkin, un tumore del tessuto linfatico. «Mi trovarono nel sangue una concentrazione molto alta di sostanze cancerogene, come l’esaclorobenzene, che potevano provenire solo dall’inquinamento ambientale», dice.

Alla fine di gennaio del 2025, la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla vita degli abitanti di un’area che comprende 90 comuni, dove vivono quasi tre milioni di persone. La Corte ha accolto le denunce presentate da 41 ricorrenti, tra cui 5 associazioni e alcuni familiari di persone morte di tumore. Il primo firmatario fu Alessandro Cannavacciuolo, un pastore di Acerra che in pochi anni fu costretto ad abbattere 3mila pecore, malate o nate deformi. Il regista Andrea D’Ambrosio raccontò la sua storia in Biùtiful cauntri, che nel 2008 vinse il Nastro d’argento come miglior documentario. Ora è tornato in queste zone per valutare se abbia senso girare un seguito del film.

«Cannavacciuolo mi ha portato in quelle stesse terre e le immagini non sono cambiate, ci sono roghi, amianto e altri rifiuti dappertutto», racconta.

La CEDU ha dato al governo italiano due anni di tempo per risolvere il problema dell’inquinamento nella Terra dei fuochi. La sentenza non ha un’efficacia esecutiva diretta, poiché i giudici europei non possono sanzionare l’Italia se non fa le bonifiche, ma è vincolante, cioè costituisce un importante precedente giuridico di cui gli altri tribunali in futuro dovranno tenere conto. Il governo Meloni ha nominato un commissario straordinario, il generale dei carabinieri Giuseppe Vadalà. Appena insediato, il 12 marzo, Vadalà ha spiegato che nella Terra dei fuochi ci sono due problemi diversi fra loro da risolvere: il primo riguarda gli «abbandoni dei rifiuti» nelle «discariche a cielo aperto», che proseguono ancora, il secondo gli «sversamenti» di scorie industriali, «di cui la criminalità ha fatto un’industria virulenta».

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite presentato nel 2022, dalla fine degli anni Ottanta al 2015 tra le province di Napoli e Caserta «sono state scaricate oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti illegali». Dal 2002 ci sono state 267 indagini giudiziarie, con 594 arresti, 844 denunce e 246 aziende coinvolte. In una delle prime inchieste della procura di Napoli, chiamata Adelphi, un pentito raccontò ai magistrati napoletani che tutto cominciò nel 1989, quando al ristorante “La Lanterna” di Villaricca, un comune che confina con Giugliano, esponenti del clan dei Casalesi e della camorra fecero un patto con alcuni politici e imprenditori locali per sotterrare in quest’area scorie industriali provenienti da tutta l’Italia.

La maggior parte fu portata nelle 7 discariche che si trovano nell’Area vasta di Giugliano. In una perizia commissionata dalla procura di Napoli nel 2008, furono trovati rifiuti speciali di vario genere e di diversa provenienza. Tra questi, anche fanghi provenienti dall’Acna di Cengio, in provincia di Savona, una fabbrica di coloranti ed esplosivi che nel 1988 provocò un disastro ambientale in val Bormida.

Ora i traffici sembrano finiti, gli impianti sono tutti fermi, ma i rifiuti non sono stati rimossi e i terreni non sono stati bonificati.

Il commissario straordinario Mario De Biase, in carica dal 2010 al 2019, intervenne solo sulla Resit, una discarica di 60mila metri quadrati confiscata all’imprenditore Cipriano Chianese, considerato l’inventore del sistema di smaltimento illegale delle scorie industriali. Ora la Resit è una sorta di simbolo della riconversione dell’Area vasta. All’ingresso, un murale dello street artist Jorit raffigura il giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985. Un altro raffigura invece Peppino Impastato, militante e giornalista ucciso dalla mafia nel 1978 a Cinisi, in provincia di Palermo.

L’ingresso della Resit a Giugliano con il murale di Jorit (Angelo Mastrandrea/il Post)

Sui 60mila metri quadrati di collinette artificiali che coprono i rifiuti, ci sono prati ben curati e alcune migliaia di alberi, piantati per la fitodepurazione dei gas prodotti dalle scorie interrate, cioè un sistema per filtrare le sostanze tossiche attraverso le piante. Sono interventi che sono serviti a rendere sicure le discariche dell’Area vasta, e per i quali nel 2022 il ministero dell’Ambiente e la Regione stanziarono altri 150mila euro. Ma coprire le discariche e piantare degli alberi è un conto, fare le bonifiche è un altro: l’ex commissario De Biase ha stimato che servirebbero da 150 a 800 milioni solo per ripulire la Resit.

Altri 20mila pioppi furono piantati nella discarica di San Giuseppiello, e 12mila alberi anche in quella di Masseria del Pozzo, che si trova a poche centinaia di metri dalla Resit. Fino al 2016 sulla discarica c’era un campo rom dove i bambini giocavano a bucare il terreno per far uscire i gas e a volte dargli fuoco. Ora invece è tutto in stato di abbandono. All’ingresso, l’edificio che ospitava gli uffici del commissariato è distrutto. La notte di ferragosto del 2019, subito dopo che De Biase aveva lasciato il ruolo di commissario, l’edificio fu assalito da decine di persone armate, che arrivarono in furgone e lo bruciarono. A pochi metri di distanza c’è un impianto di trattamento del biogas e del percolato, che fu costruito con fondi europei per trasformare in energia le esalazioni provocate dalle sostanze tossiche sotterrate.

L'impianto di biogas abbandonato a Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

L’impianto di biogas abbandonato a Giugliano (Angelo Mastrandrea/il Post)

Anche l’impianto fu distrutto nella spedizione in stile paramilitare del 2019, e in almeno altri tre attacchi successivi. Tutto intorno ci sono auto bruciate, tubi fatti a pezzi e tombini smontati. All’interno, gli impianti sono in cattive condizioni e ci si riesce a stare solo per pochi secondi, perché le esalazioni di acidi provocano un immediato mal di testa.

Nel 2020 il governo Conte inserì l’Area vasta tra i Siti di interesse nazionale (SIN) da bonificare. A gennaio del 2021 un ambientalista di Giugliano, Giovanni Rienzo, scrisse al ministro dell’Ambiente Sergio Costa per sapere quando sarebbero cominciati i lavori. Allegò anche una mappa delle aree inquinate. «Mi rispose che stava attendendo dalla Regione Campania le visure catastali dei terreni per perimetrare l’area da bonificare, subito dopo però il governo cadde, il ministro cambiò e nessuno ha più risposto alle mie domande», dice. Da allora non è stata fatta neppure la perimetrazione delle aree inquinate.

Rienzo dice che qui «è una continua lotta, contro gli scarichi abusivi in superficie, che continuano, e contro i fantasmi del passato, perché le scorie interrate provocano ancora danni».