A Palermo ci tengono molto alle “Vampe di San Giuseppe”
Al punto da scontrarsi con la polizia che era intervenuta per rimuovere i mucchi di mobili e legna, incendiati per una vecchia usanza popolare

A Palermo, in Sicilia, ci sono stati scontri tra la polizia e persone che protestavano in occasione delle cosiddette “Vampe di San Giuseppe”. È una vecchia tradizione popolare non solo siciliana, secondo la quale per giorni vengono accatastati grossi cumuli di mobili e legname, e poi il 19 marzo, che è San Giuseppe, si dà fuoco a questi cumuli in diversi punti della città. In altre città i falò per San Giuseppe sono regolamentati, ma non a Palermo, dove già in passato si era reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine.
Non essendo controllati, i fuochi vengono accesi anche in centro dove non c’è molto spazio, e le cataste incendiate impediscono il passaggio delle auto ma anche a eventuali mezzi di soccorso. La combustione libera di rifiuti indifferenziati è inoltre pericolosa per la salute, e in quanto tale considerata un reato, in quanto può generare fumi tossici ed è fonte di gas serra.
La polizia era quindi intervenuta per rimuovere le cataste, ma in risposta ci sono state proteste e lanci di bottiglie contro gli agenti, che hanno risposto coi lacrimogeni.
In realtà le rimozioni erano iniziate venerdì 14 marzo, prima che venissero accesi i fuochi. La Risorse Ambiente Palermo (RAP), azienda pubblica controllata dal comune che si occupa di raccolta di rifiuti e igiene ambientale, aveva utilizzato due gru e tre furgoni per rimuovere circa 20 tonnellate di cumuli in una ventina di luoghi della città. Le operazioni erano ancora in corso quando alcune persone hanno iniziato a protestare incendiando cassonetti e scontrandosi con la polizia.

(Antonio Melita/Pacific Press via ZUMA Press Wire/ANSA)
I cumuli che la RAP stava cercando di rimuovere erano composti di vecchi mobili, pezzi di legno, stipiti di porte e cornici di finestre, materassi, divani, pezzi di carta da parati, carrelli per la spesa e altri materiali di uso comune: secondo la tradizione il cumulo di oggetti deve essere alto, ingombrante e di forma conica, in modo da rendere la vampa alta e duratura.
Anche a Napoli c’è una tradizione simile, con gli stessi significati religiosi e antropologici, ma legata a un’altra occasione, il 17 gennaio, che è Sant’Antonio. Non è chiaro a quando risalga esattamente: a Palermo è attestata dall’Ottocento, in parte come rielaborazione di altre tradizioni pagane precedenti all’epoca cristiana, accomunate dal ritenere il fuoco un simbolo di purificazione, rinnovamento e coesione della comunità. In questo caso i falò vengono dedicati proprio a San Giuseppe, con invocazioni rivolte da parte delle persone riunite attorno ai falò.
L’antropologo Ignazio Buttitta ha spiegato al Giornale di Sicilia che la tradizione prevede diverse fasi ben definite e una partecipazione di tutta la cittadinanza, con ruoli precisi: le donne donano gli oggetti domestici in disuso da destinare ai falò, i bambini raccolgono la legna, gli uomini costruiscono le cataste di oggetti. Ci sono luoghi dove si raccoglie il materiale, e altri dove invece vengono costruite le cataste: normalmente sono grandi piazze o strade larghe, ma non sempre.
Alla base delle cataste ci sono i pezzi più pesanti e voluminosi, come mobili vecchi, che rendono la struttura sufficientemente solida: più in alto i pezzi più piccoli, e il cono è allungato verso l’alto da oggetti come stipiti e finestre appoggiati per lungo. I falò si accendono normalmente la sera.
Dopo gli ultimi scontri, un amministratore locale ha proposto di individuare alcune aree precise in cui accendere i falò, una per ogni circoscrizione della città, introducendo misure di sicurezza e sorveglianza per limitare i danni e garantire il passaggio di mezzi di emergenza.
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