Poco o niente funziona contro il mal di schiena?
Un’analisi di 301 studi ha segnalato che tra le decine di terapie e rimedi solitamente consigliati pochi funzionano, e spesso meno di quanto ci si aspetta

Il mal di schiena viene spesso descritto come uno degli svantaggi dell’evoluzione, che ci ha portati ad avere una posizione eretta a differenza della stragrande maggioranza degli altri mammiferi. Non deve essere ovviamente un male necessario, eppure è tra i problemi di salute più difficili da trattare e di cui liberarsi. Il dolore alla schiena non ha spesso una causa specifica e questo complica la sua gestione: quando lo si ha si tenta un po’ di tutto, ma i tanti rimedi disponibili – dai farmaci all’esercizio fisico – spesso non funzionano come ha da poco confermato un’analisi di 301 studi clinici pubblicata sulla rivista medica BMJ Evidence-Based Medicine.
Secondo l’analisi solamente l’impiego di antinfiammatori non steroidei, come l’aspirina o l’ibuprofene, è efficace nel ridurre almeno in parte il dolore nella fase acuta del mal di schiena. L’esercizio fisico e l’applicazione di calore sulla parte dolorante hanno mostrato di ridurre il dolore cronico, con benefici comunque molto ridotti e marginali da un punto di vista medico. Non tutte le ricerche hanno comunque permesso di stabilire con certezza l’efficacia dei trattamenti, spesso a causa del basso numero di partecipanti o del modo in cui erano state organizzate.
I 301 studi presi in considerazione erano di tipo randomizzato controllato, cioè realizzati con volontari assegnati in modo casuale a diversi gruppi di trattamento: alcuni ricevevano la terapia vera e propria e altri un placebo, una sostanza o una pratica che in realtà non faceva nulla. Gli studi sono stati poi classificati in 56 tipi diversi, suddivisi in farmacologici e non farmacologici, con ulteriori distinzioni legate al mal di schiena acuto (di breve termine) e a quello cronico. Il gruppo di ricerca ha poi realizzato un modello statistico per normalizzare i dati, cioè per renderli comparabili, anche dal punto di vista della certezza delle prove.
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Gli studi selezionati per l’analisi si erano occupati del trattamento del mal di schiena non specifico, cioè senza una chiara causa identificabile attraverso esami clinici e diagnostica per immagini. È il tipo di condizione che rappresenta circa il 90 per cento dei mal di schiena: nella maggior parte dei casi migliora spontaneamente entro qualche settimana, ma può diventare cronico e ricorrente. Trattarlo è difficile perché dalle visite e dagli esami non emergono lesioni ai dischi (i cuscinetti che fanno da ammortizzatori tra le vertebre), ai nervi o alle vertebre stesse. Le cause possono essere molteplici e combinate tra loro come: contratture muscolari, problemi articolari, periodi di forte stress, scarso esercizio fisico o lavori usuranti.
Tra gli studi presi in considerazione il gruppo di ricerca ne ha comunque mantenuti alcuni con mal di schiena in presenza di artrosi, protrusioni ed ernie discali, purché non fossero presenti sintomi neurologici gravi. Le protrusioni e le ernie si verificano quando i dischi si deformano, schiacciandosi e occupando più spazio. Se nel farlo comprimono uno dei fasci nervosi che passano lungo la schiena si possono avere altri problemi di salute, come dolore al nervo sciatico, formicolii alle gambe e debolezza muscolare. In questi casi la causa del problema è più evidente e talvolta si procede con interventi invasivi, per lo più chirurgici, per ridurre lo schiacciamento del disco.
Dall’analisi è emerso che l’esercizio fisico può contribuire a ridurre il dolore alla schiena, ma solo fino a un certo punto. Su una scala da 0 a 100, la riduzione del dolore è stata di 7,9 punti, un miglioramento inferiore alla soglia per ritenerlo una differenza significativa dal punto di vista clinico. Per un paziente che prima di fare attività fisica come terapia segnalava di avere un dolore alla schiena pari a 8 su 10, sarebbe un miglioramento di circa 0,8, potenzialmente non percepibile dal paziente come un effettivo miglioramento.
Si ritiene comunque che il mantenimento di una buona mobilità della schiena, tramite l’esercizio fisico, sia importante per ridurre il rischio di recidive. Gli esercizi solitamente consigliati sono dedicati a potenziare la muscolatura della parte lombare e addominale, che ha un ruolo importante nel sostenere le articolazioni della schiena. La maggior parte dei problemi si presenta proprio nell’area lombare, dove grava una parte importante del peso della parte superiore del corpo.
Sul mal di schiena nella fase acuta è stata notata una diversa efficacia degli antinfiammatori non steroidei (FANS) a seconda degli studi. Come per gli altri rimedi, ciò deriva sia dal fatto che ognuno di noi è fatto diversamente, e reagisce in modo diverso ai trattamenti, sia dal fatto che esistono molti tipi di FANS che seguono vie chimiche diverse per dare sollievo dal dolore. Spesso chi ha mal di schiena fa ricorso al proprio FANS di elezione, ma non è detto che sia quello più adatto e trascura la possibilità di confrontarsi col medico per provarne un altro. L’analisi ha comunque indicato che il paracetamolo, una delle alternative più comuni ai FANS, fa poco o niente contro il mal di schiena.
L’applicazione del calore sembra portare a benefici in alcuni casi significativi, ma l’analisi ha rilevato come gli studi presi in considerazione che se ne sono occupati fossero meno affidabili a causa del basso numero di partecipanti, o per alcuni pregiudizi dei gruppi di ricerca. In sostanza non ci sono elementi a sufficienza per dire con certezza che le applicazioni funzionino, ma questo non significa che debbano essere necessariamente abbandonate. Molte persone dicono di trovare giovamento dalla terapia del caldo, che è economica e – se fatta correttamente – priva di effetti avversi.
L’analisi da poco pubblicata è tra le più ampie mai realizzate sul mal di schiena non specifico e secondo i suoi autori non deve essere considerata tanto come un punto di arrivo, ma come l’occasione per rivedere alcune delle pratiche seguite finora con un approccio critico. Misurare i benefici dei trattamenti in alcuni ambiti della medicina è comunque molto difficile, soprattutto nel caso del dolore che ha una forte componente di percezione soggettiva.