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  • Mercoledì 19 marzo 2025

Il dibattito canadese sulle tombe vicino agli ex collegi per bambini indigeni

Riguarda l'opportunità di riesumare i corpi per ricostruire ed elaborare un pezzo di storia del paese, ma intanto alimenta teorie negazioniste

Il ricordo del 2022 a un anno dal ritrovamento delle sepolture di Kamloops, British Columbia, Canada (REUTERS/Jennifer Gauthier)
Il ricordo del 2022 a un anno dal ritrovamento delle sepolture di Kamloops, British Columbia, Canada (REUTERS/Jennifer Gauthier)
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Da alcuni anni in Canada è in corso un complesso dibattito attorno alle tombe anonime di bambini e ragazzi trovate nei dintorni dei collegi per studenti indigeni. Le Indian Residential School erano istituti gestiti prima dalla Chiesa cattolica e poi dallo stato, dove per oltre un secolo, fra l’Ottocento e il Novecento, furono portati circa 150mila minori indigeni allontanati a forza dalle loro famiglie. Almeno 6mila morirono, per malattie, malnutrizione, incidenti e abusi.

Da alcuni anni questo pezzo di storia canadese è al centro di un tentativo del governo di riconoscere ed elaborare la sua storia di oppressione delle comunità indigene, non senza polemiche. Di recente se ne sta riparlando per via delle proteste di alcune associazioni contro un taglio di fondi e per un gran movimento nei gruppi negazionisti di destra e religiosi, soprattutto sui social. La questione attorno a cui ruota il dibattito è se le tombe debbano o meno essere riesumate, cosa che finora non è stata fatta, se non in minima parte.

Nel 2021 fu annunciata l’individuazione di possibili tombe in 80 terreni adiacenti alle Indian Residential School. Vennero trovate con indagini radar e altre tecnologie, e con ricostruzioni storiografiche, ma mai scavando e riesumando i resti. Da allora, per oltre tre anni, molte comunità dei popoli indigeni discutono sull’opportunità di effettuare quegli scavi, per portare alla luce ossa e resti. Molte preferirebbero non farlo, per rispetto verso i defunti. Al momento non è stato riesumato nemmeno un corpo (o i resti di un corpo) dai luoghi di sepoltura individuati.

L’esistenza delle sepolture è considerata certa da scienziati e storici, ma l’assenza di prove fisiche da esumazione è stata sfruttata negli ultimi mesi da correnti negazioniste legate all’estrema destra o all’integralismo religioso, che ciclicamente parlano di “truffa delle tombe” e contestano i fondi concessi dal governo canadese per ricerche storiche e strumenti di riparazione e sostegno alle famiglie e alle comunità indigene.

È successo di nuovo nelle scorse settimane, in corrispondenza delle proteste di due associazioni (sulle decine che si occupano della questione) che lamentavano un taglio di fondi. Nei canali social di estrema destra e cristiani, ma anche su alcuni media mainstream americani ed europei, quei tagli sono stati interpretati come la prova del fatto che lo stato canadese si sarebbe «arreso» di fronte all’impossibilità di trovare i corpi. Nell’estate del 2024 per questioni di bilancio il governo canadese aveva effettivamente deciso di ridurre in modo parziale i finanziamenti al fondo statale dedicato al sostegno delle famiglie e delle comunità indigene coinvolte nelle sparizioni (“Residential Schools Missing Children Community Support Fund”), ma dopo le proteste ha deciso di stanziare 91 milioni di dollari canadesi (circa 58 milioni di euro) fra il 2025 e il 2026.

Le presunte tombe in un terreno a Saskatchewan (Li Haitao/Xinhua via ZUMA Press)

I popoli indigeni abitavano il territorio canadese da migliaia di anni prima che venisse esplorato e colonizzato dagli europei. Generalmente, vengono distinti in tre grandi gruppi: le Prime Nazioni, gli Inuit e i Métis (“meticci”). Nel corso dell’Ottocento i coloni britannici iniziarono politiche di assimilazione culturale e nel 1876 l’Indian Act allargò il campo in cui l’autorità canadese poteva intervenire: promuoveva l’integrazione e l’assimilazione delle Prime Nazioni, le forzava ad abbandonare i loro usi e costumi e metteva al bando i loro rituali. Un ruolo rilevante nell’assimilazione culturale degli indigeni lo ebbero proprio le Indian Residential School, che cominciarono a diffondersi a fine Ottocento. Alcune rimasero aperte fino al 1996.

Una foto del 1900 alla St. Michael’s Indian Residential School a Saskatchewan, Canada. (EPA/PROVINCIAL ARCHIVES OF SASKATCHEWAN)

Al loro momento di massima espansione, questi collegi religiosi costituivano una rete di 132 istituti dove i bambini venivano tenuti in condizioni igieniche spesso al limite della sopravvivenza, costretti a non parlare la loro lingua e a rimanere a migliaia di chilometri dalle proprie famiglie. Tra le altre cose, dovevano convertirsi al cristianesimo e molti di loro venivano picchiati e subivano violenze fisiche e psicologiche.

Quando i bambini o i ragazzi morivano, il governo si rifiutava di pagare il trasporto dei loro corpi verso le comunità di origine, e spesso le scuole non tenevano nemmeno un registro completo dei decessi né avvertivano le famiglie.

La St. Joseph’s Mission Residential School, a Williams Lake (Darryl Dyck/The Canadian Press via ZUMA Press)

Le prime indagini e inchieste sugli abusi degli ex collegi risalgono ai primi anni Duemila. Nel 2015 la Commissione per la Verità e la Riconciliazione stabilì che almeno 3.200 studenti non tornarono mai a casa e riconobbe il “genocidio culturale”, cioè lo sterminio di un popolo attraverso la cancellazione della sua cultura e delle sue tradizioni. Nel 2021 nei pressi della Indian Residential School di Kamloops, nella provincia canadese della British Columbia, furono individuate le possibili tombe di 215 fra bambini e ragazzi.

Allora si parlò erroneamente del ritrovamento “dei resti”: in realtà quello che avvenne fu che indagini con strumentazioni radar individuarono nel terreno anomalie che erano riconducibili a 215 sepolture. La notizia ebbe grande rilevanza internazionale, e il primo ministro canadese Justin Trudeau e papa Francesco chiesero scusa ufficialmente alle comunità interessate in nome del governo canadese e della Chiesa cattolica. In varie regioni del Canada, vicino a dove sorgevano le scuole, vennero effettuate ricerche simili: in 80 casi furono trovati indizi di possibili sepolture.

La visita del Papa nel 2022 (AP Photo/Gregorio Borgia)

I metodi usati erano diversi: indagini radar, controllo dell’acidità del terreno (che aumenta in corrispondenza di resti umani sepolti), brevi impulsi di luci laser, recupero di registri governativi o ecclesiastici, testimonianze di ex studenti. In un caso, quello della Indian Residential School di Marieval, nella provincia canadese del Saskatchewan, le presunte tombe erano 751.

Da allora le comunità delle Prime Nazioni hanno discusso a lungo sull’opportunità di riesumare i corpi ed effettuare gli scavi. È una decisione culturalmente molto complessa: nella maggior parte dei casi si è deciso di non procedere e in altri la discussione è ancora aperta, come a Kamloops. In alcune zone ci sono stati scavi parziali, che non hanno portato a risultati. David Lametti, che era ministro della Giustizia quando fu annunciato il primo ritrovamento, nel 2024 ha detto al New York Times: «Ovviamente non tutte le anomalie riscontrate nei terreni si riveleranno tombe non segnalate. Ma ci sono già prove sufficienti e convincenti».

L’iniziale confusione fra ritrovamento di corpi e individuazione di possibili tombe ha però favorito teorie del complotto che ritengono falsa tutta la questione, compreso il «genocidio culturale». Altri studiosi invece riconoscono il sistema coercitivo imposto dalle Indian School, ma si dicono poco convinti dei numeri delle sepolture clandestine. A ottobre Leah Gazan, deputata dei Democratici, ha presentato una proposta di legge che vuole introdurre il reato di negazionismo del sistema degli ex collegi per indigeni, punibile con due anni di carcere: la legge non è ancora stata discussa o approvata dal parlamento canadese.