I primi effetti delle restrizioni sugli affitti brevi

Ci sono meno annunci di un anno fa, mentre sono aumentati quelli per periodi più lunghi

Una folla di turisti su un ponte di Venezia, l'1 marzo del 2025 (Stefano Mazzola/Getty Images)
Una folla di turisti su un ponte di Venezia, l'1 marzo del 2025 (Stefano Mazzola/Getty Images)
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In un’intervista al Corriere della Sera Marco Celani – presidente dell’AIGAB, l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi – ha dato diversi dati interessanti sull’impatto che le recenti regole restrittive del governo e delle amministrazioni locali stanno avendo sul settore degli affitti brevi. L’obiettivo di queste regole è limitare gli effetti negativi del cosiddetto turismo di massa, soprattutto nelle città italiane più visitate, e l’aumento degli affitti e dei prezzi delle case (su cui si è ormai capito che gli affitti brevi hanno una certa influenza).

Secondo l’AIGAB rispetto a un anno fa sui principali portali online di annunci di affitti brevi ci sono quasi 9mila annunci in meno, 66mila contro i 75mila di inizio del 2024. È un calo dell’11 per cento, che è maggiore nelle più importanti città turistiche come Firenze (20 per cento in meno) e che è un po’ più contenuto in città come Milano e Roma, dove l’Associazione registra un calo rispettivamente dell’8 e del 9 per cento.

Secondo Celani i motivi di questo calo sono principalmente due. Il primo è legato alle tendenze generali del settore turistico, che inizia a risentire della grossa fase di incertezza a livello internazionale: gli operatori hanno notato che i turisti stranieri stanno prenotando sempre meno e con sempre meno anticipo, col risultato che chi ha una casa destinata agli affitti brevi o ne abbassa il prezzo o disattiva l’annuncio per un po’.

L’altra ragione ha poi a che vedere con il tentativo di governo e amministrazioni locali di regolare il settore. La prima è il cosiddetto CIN, il Codice Identificativo Nazionale di cui per legge dovevano dotarsi entro lo scorso 31 dicembre tutti coloro che volevano affittare un proprio immobile per brevi periodi. Il CIN è un codice che identifica l’immobile, e che deve essere esposto in ogni annuncio online e anche fuori dall’edificio, con un bollino visibile dalla strada. Serve a rendere più tracciabili gli immobili affittati per brevi periodi ed evitare evasione e abusivismo.

Si richiede tramite l’iscrizione alla Banca dati nazionale delle strutture ricettive e degli immobili in locazione breve e per finalità turistica (BDSR), gestita dal ministero del Turismo: raccoglie tutte le informazioni sull’immobile – dati catastali, certificazioni sugli impianti, la capacità ricettiva, la localizzazione – e i dati dei proprietari che propongono case o appartamenti in affitto. La banca dati è a disposizione dei clienti, che possono verificare l’autenticità del CIN di un locatore attraverso questa piattaforma.

Delle 613mila strutture registrate alla BDSR solo 521mila hanno richiesto il CIN: c’è dunque una discrepanza del 15 per cento, dovuta al fatto che l’iscrizione alla Banca dati era già obbligatoria per alcune città, ancor prima dell’obbligo del CIN. Una differenza del genere potrebbe significare due cose.

La prima è che una parte dei proprietari potrebbe aver deciso di togliere la casa dal mercato degli affitti brevi e di non fare richiesta per il codice, tanto che l’ammanco di CIN è anche coerente con il calo degli annunci indicato dall’AIGAB: Celani segnala che contestualmente si vedono in aumento i dati sugli affitti di lungo termine e transitori, segno che questi proprietari potrebbero aver preferito soluzioni più stabili.

La seconda è che alcuni potrebbero aver scelto di continuare a operare senza il CIN, e dunque da abusivi: è noto che nel settore l’abusivismo sia assai diffuso, anche a causa di una normativa finora inesistente e fallace. Il CIN del resto serviva proprio a questo.

Un’altra iniziativa recente per regolare il settore riguarda le cosiddette key box, cioè le cassettine per le chiavi usate dai gestori di alloggi turistici per permettere ai clienti che hanno prenotato online di entrare direttamente nell’appartamento ritirando in autonomia le chiavi, senza incontrarli. In Italia sia alcune amministrazioni locali che il governo per ragioni di sicurezza e decoro urbano hanno contrastato il loro uso: recentemente il comune di Roma ha cominciato a rimuoverle e a Firenze è stata approvata una delibera che le vieta. Le key box sono così diventate una sorta di simbolo del fenomeno, e non solo in Italia.