La legge sulla gestazione per altri “reato universale” discrimina soprattutto le coppie omosessuali
Perché a differenza di quelle eterosessuali non possono nascondere di aver fatto ricorso a questa tecnica all'estero

Negli ultimi giorni è stata raccontata la storia di una coppia di due uomini di Arezzo bloccata negli Stati Uniti dopo aver fatto ricorso a gestazione per altri (GPA) per avere un figlio. La gestazione per altri è la tecnica di fecondazione assistita che prevede che una donna porti avanti una gravidanza per altre persone: dallo scorso dicembre il governo di Giorgia Meloni l’ha resa un “reato universale”, cioè penalmente perseguibile in Italia anche se fatta all’estero in paesi dove è legale. La coppia in questione si trova a San Diego, in California, e almeno per ora ha deciso di non tornare in Italia proprio per via delle possibili conseguenze penali della scelta.
Il figlio della coppia non è il primo bambino nato da GPA da quando è entrata in vigore la legge, come invece hanno scritto diversi giornali. C’è almeno un altro caso di una coppia italiana, in quel caso eterosessuale, che ha avuto un figlio nato con questa tecnica dopo l’entrata in vigore della legge, lo scorso 3 dicembre. La coppia di Arezzo è invece la prima ad aver reso pubblica la propria situazione. Il loro caso è emblematico di uno degli aspetti più discussi e contestati della legge, cioè il fatto che discrimini soprattutto le coppie omosessuali, che peraltro sono una parte molto minoritaria di chi ricorre alla GPA.
Nella stragrande maggioranza dei casi, secondo gli studi e i dati disponibili sia sull’Italia che sull’estero, lo fanno le coppie eterosessuali, magari per motivi medici che rendono impossibile portare avanti una gravidanza per la donna nella coppia.
La GPA in Italia era già vietata dal 2004, e punibile con la reclusione fino a due anni e una multa fino a un milione di euro (prima non era legale: semplicemente non era regolamentata). Per questa ragione le coppie che volevano ricorrere a questa tecnica, finora, erano sempre andate a farlo all’estero, nei vari paesi in cui è permessa. Poi tornavano in Italia coi figli appena nati e li registravano all’anagrafe del proprio comune di residenza: facevano cioè trascrivere il certificato di nascita estero del bambino o della bambina nel registro di Stato civile del proprio comune, in modo che quella nascita risultasse registrata all’anagrafe locale.
Finora non c’era mai stata nessuna distinzione tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali. Chiunque tornasse dall’estero con un figlio o una figlia nata da GPA andava semplicemente al proprio comune col certificato di nascita estero e ne chiedeva la trascrizione. Di solito sul certificato c’è scritto il nome del figlio e quello dei genitori intenzionali, cioè delle persone che l’hanno fatto nascere ricorrendo a GPA e che intendono prendersene cura: l’ufficiale di Stato civile doveva semplicemente trascrivere quel certificato nell’anagrafe locale senza porsi altri problemi.
Con la legge che ha reso la tecnica un “reato universale” le cose sono cambiate: i genitori intenzionali possono essere denunciati dall’ufficiale. Ed è molto più facile che si venga a conoscenza di una GPA fatta all’estero con una coppia omosessuale rispetto a quanto accade con una coppia eterosessuale, che può semplicemente non esplicitarlo.
Infatti, nel caso di una coppia eterosessuale, il certificato di nascita da registrare all’anagrafe italiana è di fatto indistinguibile da quello di un figlio nato all’estero senza gestazione per altri. La coppia può dire semplicemente che è nato all’estero, senza dare spiegazioni su come sia stato concepito: è quello che è successo con l’altra coppia – eterosessuale – che ha avuto un figlio con la GPA nato dopo l’entrata in vigore della legge.
Nel caso di una coppia omosessuale maschile, invece, il ricorso alla gestazione per altri è impossibile da nascondere. L’ufficiale di Stato civile si trova davanti due uomini con un bambino, molto probabilmente intuisce che la coppia ha avuto il proprio figlio ricorrendo alla GPA, e può decidere di segnalarli alle autorità giudiziarie, facendo iniziare un procedimento penale.
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La legge che ha reso la GPA un “reato universale” è formulata in maniera estremamente vaga e consiste in una frase che dice semplicemente che chi ha fatto ricorso a GPA all’estero viene «punito secondo la legge italiana». Non aggiunge altri dettagli e anche per via della sua vaghezza ci sono forti dubbi sulla sua applicabilità: non è chiaro come si possa concretamente punire un’azione che in un altro stato è legale, come avvenga la raccolta delle prove, che impatto avrebbe sulle famiglie, e sui bambini e le bambine, un procedimento penale dei genitori. Avevamo raccontato queste e altre questioni in questo articolo.
In California, lo stato statunitense in cui si trova la coppia di Arezzo, la GPA è legale in forma commerciale, quindi con un compenso previsto per la donna che porta avanti la gravidanza, ed è regolamentata in maniera da tutelare lei, i genitori intenzionali e il neonato o la neonata. Lì la donna gestante deve avere già avuto figli propri, non deve trovarsi in condizioni di bisogno economico, e può scegliere per chi portare avanti una gravidanza e per chi no. I genitori intenzionali possono inoltre mantenere i rapporti con lei dopo la nascita, come avviene in molti casi.
Non è chiaro cosa abbiano intenzione di fare i due uomini e quanto intendano restare negli Stati Uniti: Gianni Baldini, l’avvocato che li segue, ha detto che tornando in Italia potrebbero dimostrare come la legge che ha reso la GPA un “reato universale” sia incostituzionale proprio in quanto discriminatoria, magari facendo arrivare il loro caso all Corte costituzionale, il tribunale che tra le altre cose si occupa di valutare la conformità delle leggi ai principi della Costituzione.
Secondo Baldini è molto probabile che ben più di una sola coppia sia tornata in Italia con un figlio o una figlia nata da GPA all’estero: citando una stima della Fondazione PMA Italia che definisce «prudenziale», Baldini dice che ogni anno nascono tra i 150 e i 200 bambini da GPA all’estero.
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