Cosa sappiamo della detenzione di Alberto Trentini in Venezuela

Finora nessuno ha potuto incontrare il cooperante italiano o parlarci, e l’unica prova che sia vivo è dell’inizio di febbraio

Alcuni partecipanti al flash mob per la liberazione di Alberto Trentini a Venezia, 31 gennaio 2025 (ANSA/ANDREA MEROLA)
Alcuni partecipanti al flash mob per la liberazione di Alberto Trentini a Venezia, 31 gennaio 2025 (ANSA/ANDREA MEROLA)
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Sono passati più di quattro mesi da quando il cooperante italiano Alberto Trentini è stato arrestato in Venezuela, e da allora le notizie certe su di lui sono molto poche. Si sa che il Venezuela non ha ancora concesso la visita del console italiano né ha permesso a Trentini di telefonare alla famiglia, che l’ha sentito l’ultima volta il 15 novembre scorso, quando è stato fermato insieme all’autista con cui viaggiava. Non si sa invece con certezza dove sia detenuto: venerdì l’Ansa ha scritto che secondo sue fonti locali Trentini si trova nel carcere El Rodeo I, nella periferia della capitale Caracas. Finora però non ci sono state conferme.

Alberto Trentini

Alberto Trentini (ANSA)

Venerdì il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto di aver parlato del cooperante italiano durante l’incontro con gli altri ministri degli Esteri del G7 a Charlevoix, in Canada, dove tra le altre cose hanno discusso appunto del Venezuela e della repressione nei confronti degli oppositori attuata sistematicamente dal regime di Nicolás Maduro, al potere dal 2013. «Ho ribadito l’importanza di fare ogni sforzo per liberare il nostro connazionale Trentini, che è detenuto senza avere la possibilità di essere visitato dal nostro console in un carcere in Venezuela», ha detto Tajani. Il ministro ha poi aggiunto di averne parlato il giorno dopo anche con il segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, ma non ha dato altre informazioni.

Trentini ha 45 anni ed è originario di Venezia. Dallo scorso ottobre si trovava in Venezuela per la ong internazionale Humanity & Inclusion, che aiuta le persone con disabilità. Quando è stato arrestato, stava andando per lavoro dalla capitale Caracas a Guasdualito, nel nordovest del paese. Insieme a lui è stato fermato anche l’autista della ong che lo accompagnava. La madre, Armanda Colusso, aveva ricevuto messaggi da lui mentre era ancora all’aeroporto di Caracas, poi non l’ha più sentito. La sera del 16 novembre la famiglia ha saputo che era stato fermato. Da allora le notizie su di lui sono state piuttosto frammentarie.

Il 7 marzo Repubblica, che sta seguendo la vicenda dall’inizio con aggiornamenti regolari, ha scritto che il Venezuela lo accusa di cospirazione. Secondo fonti di Repubblica presso i servizi segreti le accuse sono strumentali: non risulta che Trentini fosse in contatto con gruppi di oppositori politici di Maduro o con l’intelligence. L’unico legame appurato con il paese era una ragazza con cui aveva una relazione e per cui aveva deciso di andare in Venezuela, come ha raccontato la madre. Un’ipotesi di cui si è scritto sui giornali è che il Venezuela stia accusando Trentini in modo infondato per ottenere qualcosa dall’Italia, per esempio il riconoscimento del regime di Maduro.

Per alcuni paesi incarcerare cittadini occidentali per ottenere qualcosa in cambio è una pratica consolidata, nota come “diplomazia degli ostaggi”: in questi mesi se n’è molto parlato in riferimento al caso di Cecilia Sala, la giornalista italiana imprigionata per 21 giorni nel carcere iraniano di Evin e liberata lo scorso 8 gennaio. Il Wall Street Journal scrive che in Venezuela da luglio sono stati arrestati oltre 50 cittadini stranieri (a fine febbraio secondo i conteggi della ong Foro Penal erano diventati 66): secondo alcuni analisti il governo di Maduro vorrebbe usarli come scambio con gli Stati Uniti e i governi alleati. Per Gonzalo Himiob Santomé, avvocato e fondatore di Foro Penal, che offre assistenza legale gratuita ai prigionieri politici, il governo venezuelano si sta preparando a forti scontri sul piano diplomatico. 

Il governo italiano non riconosce il regime di Maduro e lo ha ribadito di recente: non si sa però con certezza cosa potrebbe volere il Venezuela in cambio di Trentini, né se Trentini sia stato effettivamente imprigionato per ottenere qualcosa. A metà gennaio Tajani aveva detto che la sua detenzione «non è una rappresaglia» di Maduro. In quei giorni però il governo venezuelano aveva annunciato che avrebbe limitato a tre il numero di diplomatici nelle ambasciate di Italia, Francia e Paesi Bassi, visto che questi paesi non avevano riconosciuto come valido il risultato delle elezioni in cui Maduro aveva ottenuto un terzo mandato.

– Ascolta anche: La diplomazia degli ostaggi, con Farian Sabahi

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che gestisce la delega sui servizi segreti per conto di Giorgia Meloni, ha ammesso che è una «situazione complessa» e di «difficile soluzione». Ha però assicurato che il governo ha attivato «tutti i canali» per riportare Trentini in Italia. Lo aveva detto anche Tajani a inizio marzo, aggiungendo però che non era «facilissimo».

A inizio febbraio la famiglia di Trentini ha saputo che il Venezuela aveva dato al governo italiano una prova che attestava che Trentini fosse ancora vivo e detenuto in un carcere di Caracas. Pochi giorni prima Repubblica aveva scritto che stando alle informazioni dell’intelligence italiana Trentini sarebbe prigioniero della DGCIM (Dirección General de Contrainteligencia Militar), l’agenzia venezuelana di controspionaggio militare accusata ripetutamente dalle Nazioni Unite di abusi, torture e violazioni dei diritti umani.

Questa prova, di cui non si sa altro, era stata considerata incoraggiante: tanto che alcuni agenti dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna, cioè i servizi segreti per gli esteri) sarebbero andati a Caracas per cercare di prendere contatti e ottenere la scarcerazione di Trentini prima dell’inizio di un eventuale processo a suo carico. Al momento però non si sa se siano riusciti ad avere colloqui utili e non ci sono più state conferme da parte del Venezuela sul fatto che Trentini sia vivo.

La sua famiglia, che in un primo momento aveva chiesto il silenzio stampa per agevolare eventuali trattative per il rilascio, ha iniziato a esporsi chiedendo pubblicamente la sua liberazione. Insieme agli amici e all’avvocata Alessandra Ballerini ha aperto una pagina Facebook, Alberto Trentini Libero, dove pubblica tutti gli aggiornamenti. A metà gennaio il gruppo Alberto Trentini Libero ha aperto una petizione su Change.org per chiedere, oltre alla sua liberazione, che gli venga assicurata assistenza legale e medica (Trentini soffre di ipertensione) e che gli sia permesso di avere contatti con l’esterno. Al momento la petizione, rivolta alle istituzioni italiane ed europee e alle Nazioni Unite, ha raccolto 90mila firme.

Il 5 marzo è iniziato anche un digiuno a staffetta, cui può partecipare chi vuole. Tra gli altri ha aderito anche Cecilia Sala. È stato anche aperto uno spazio su una piattaforma per creare un muro virtuale di fotografie, un “Wall of Hope”: chi vuole può partecipare facendosi una foto tenendo in mano un cartello con la foto di Trentini e la scritta “Alberto Trentini Libero”.

Durante un’intervista al programma Che Tempo Che Fa, condotto da Fabio Fazio sul canale NOVE, del 16 febbraio e poi in una lettera pubblicata su Repubblica il 22 la madre di Alberto ha raccontato di avere scritto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per chiederle «di percorrere tutte le strade, domandando se necessario il contributo di istituzioni anche di altri Paesi per porre fine il prima possibile alla detenzione di nostro figlio», come era stato fatto per Sala (citata esplicitamente a Che Tempo Che Fa). Finora non ci sono stati contatti diretti tra Meloni e la famiglia Trentini.