Come Trump ha smantellato “Voice of America”
La storica emittente internazionale statunitense è stata bloccata da un ordine esecutivo, ma le cose dentro andavano già male da mesi
di Eugenio Cau

Nel corso del fine settimana il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, con un ordine esecutivo firmato venerdì notte, ha bloccato le operazioni delle più importanti emittenti pubbliche americane e costretto al congedo migliaia di giornalisti che lavorano per media storici come Voice of America, Radio Free Europe/Radio Liberty e Radio Free Asia. Nel giro di poche ore i programmi di informazione radio e TV di queste emittenti, che venivano trasmessi in più di 100 paesi del mondo, sono stati sospesi. In alcuni casi le frequenze radio e TV che li trasmettevano sono rimaste silenziose; in altri hanno messo musica al posto dell’informazione.
Voice of America (VoA) e le altre sono storiche emittenti pubbliche americane fondate tra gli anni Quaranta e Cinquanta per rispondere alle propagande nazista e sovietica. Pur essendo controllate dal governo americano, erano tenute a rispettare stretti criteri giornalistici, e soprattutto nel caso di VoA avevano un alto grado di indipendenza editoriale. Nel corso della Guerra Fredda il loro lavoro trasmesso all’estero fu essenziale per portare informazione in paesi governati da regimi dittatoriali o autoritari e dove i media erano censurati: nell’Europa dell’est, per esempio, furono l’unico modo con cui milioni di persone riuscivano a evadere la censura sovietica.
Ora, dopo l’ordine esecutivo di Trump «per la prima volta in 83 anni, Voice of America è stata silenziata», ha scritto sui suoi social Michael Abramowitz, il direttore editoriale di VoA. Lui è stato messo in congedo, assieme ad altri 1.300 giornalisti. Se si considerano anche gli altri media, in tutto 3.500 giornalisti sono stati coinvolti dalla decisione di Trump.
Dentro a Voice of America, il più importante e contestato dei media coinvolti, le cose andavano male da mesi. VoA è un posto molto particolare, diverso dalle emittenti pubbliche europee come la BBC o la Rai. Per esempio, nonostante il nome, a Voice of America è vietato per legge trasmettere negli Stati Uniti, e può farlo soltanto all’estero.

Un presentatore delle trasmissioni radio di Voice of America in russo nel 1954 (AP Photo/Bill Allen)
Questo perché l’obiettivo dell’emittente, come dice il suo atto costitutivo, è di «presentare le politiche degli Stati Uniti» al mondo, e al tempo stesso di «costituire una fonte di news affidabile e autorevole». Di fatto, si può dire che Voice of America sia un organo di propaganda statunitense gestito però con princìpi giornalistici indipendenti. I suoi giornalisti sono dipendenti federali (quindi dipendenti pubblici) ma la legge garantisce loro ampia libertà editoriale.
A Washington la sede di VoA è tappezzata di frasi di presidenti che celebrano questa peculiare missione dell’emittente: rappresentare i valori degli Stati Uniti nel mondo ma farlo con rigore giornalistico. C’è John F. Kennedy che dice: «Voice of America ha una grande responsabilità: il peso della verità non è facile da sostenere». C’è Ronald Reagan che dice: «VoA non comprometterà mai la verità».
Donald Trump, al contrario, non ha mai sopportato Voice of America. Ha sempre ritenuto che VoA fosse troppo schierata a favore dei Democratici e non abbastanza ossequiosa nei suoi confronti. «Le cose che dicono (durante la trasmissioni) a Voice of America sono disgustose», disse nel 2020.
Durante il primo mandato la sua amministrazione aveva cercato di prendere il controllo dell’emittente e di renderla più vicina alle proprie posizioni, ma come in molti altri progetti del primo mandato non c’era riuscita. Alcuni giornalisti di Voice of America sentiti dal Post, che hanno chiesto di rimanere anonimi per non subire ritorsioni, hanno detto che durante il primo mandato di Trump c’erano stati alcuni scossoni nell’azienda, e per esempio alcuni giornalisti erano stati messi sotto indagine interna, ma che il team editoriale non aveva dovuto fare particolari compromessi sul modo in cui trattava le notizie.
Le cose sono cambiate con il secondo mandato. A dicembre, prima ancora di entrare formalmente in carica, Trump aveva nominato Kari Lake, politica dell’Arizona, nuova direttrice dell’azienda. Lake è estremamente fedele a Trump e convinta sostenitrice dell’idea falsa per cui le elezioni del 2020 sarebbero state falsificate. Lake non è ancora entrata in carica (servono alcuni passaggi burocratici) ma aveva promesso di trasformare Voice of America in «un’arma» per combattere «la guerra informativa» a favore di Trump.

Kari Lake il 21 febbraio 2025 (AP Photo/Jose Luis Magana, File)
Alcuni giornalisti di VoA hanno detto che dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca l’atmosfera nell’emittente era cambiata. Tutti si sono accorti che questa volta il presidente era pronto ad agire con più determinazione, e di conseguenza hanno cominciato a comportarsi cautamente: «Tutti sono spaventati e di conseguenza tutti sono più obbedienti», aveva detto un giornalista alcuni giorni fa, prima dell’ordine esecutivo.
Nei mesi scorsi a Voice of America ci sono stati alcuni casi di autocensura, che hanno coinvolto articoli critici nei confronti di Trump. Ma più in generale, ci sono stati molti piccoli segnali del fatto che le cose stavano cambiando.
Per esempio VoA segue le regole di scrittura definite dall’agenzia di stampa Associated Press quando si tratta di spelling dei nomi, regole grammaticali, punteggiatura e così via: è una pratica comune a moltissimi media americani. Quando Trump ha deciso di rinominare il Golfo del Messico in Golfo d’America, Associated Press ha mantenuto il vecchio nome, e per questo ha subìto ritorsioni dalla Casa Bianca. Ma i caporedattori di Voice of America hanno esortato i loro giornalisti a ignorare AP, e a usare invece Golfo d’America nei loro articoli.

La sede di Voice of America a Washington (AP Photo/Andrew Harnik)
Dentro alla redazione di VoA le cose hanno cominciato a farsi preoccupanti dopo che a febbraio Richard Grenell, ex ambasciatore nominato “inviato speciale per le missioni speciali” e stretto alleato di Trump, ha detto che Voice of America e altre emittenti erano «una reliquia del passato» e che dovevano smettere di essere finanziate con soldi dei contribuenti. Elon Musk, che adesso è a capo del dipartimento per l’Efficienza del governo (DOGE), ha subito ripreso la dichiarazione su X, scrivendo: «Sì, chiudiamole».
Non è del tutto chiaro cosa sia successo nelle settimane successive: è possibile che, dopo aver valutato l’ipotesi di prendere il controllo di Voice of America e delle altre emittenti, l’amministrazione Trump l’abbia ritenuta troppo impegnativa, e abbia deciso quindi di smantellarle.
VoA e le altre non sono state ancora del tutto chiuse. Dal punto di vista giuridico l’ordine esecutivo firmato da Trump stabilisce «l’eliminazione al massimo grado consentito dalla legge» della U.S. Agency for Global Media (USAGM), che è appunto l’agenzia che sovrintende alle emittenti pubbliche americane. Questo perché la USAGM è finanziata tramite un atto legislativo del Congresso: il governo, come avviene con altre agenzie federali indipendenti, non può chiuderla direttamente, ma può soltanto bloccarla a livello operativo, com’è avvenuto in questi giorni. È probabile che adesso cominceranno cause legali da parte dei dipendenti, per cercare di invalidare l’ordine.
Tra le altre cose, queste mosse stanno seguendo abbastanza precisamente il Project 2025, il documento programmatico radicale scritto da alcuni intellettuali trumpiani durante la campagna elettorale dell’anno scorso. Il Project 2025 dedica un intero capitolo a USAGM e a Voice of America: nelle conclusioni si legge che l’amministrazione Trump deve riuscire a trasformare l’agenzia in uno «strumento utile», altrimenti tanto vale «toglierle i finanziamenti e smantellarla».
Trump ha spesso cercato di distanziarsi dal Project 2025, ma Mora Namdar, che scrisse il capitolo, oggi lavora nell’amministrazione federale, e nelle ultime settimane è stata vista più volte dentro alla sede di USAGM.