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  • Lunedì 17 marzo 2025

Tutti i modi in cui il Ruanda appoggia il gruppo armato congolese M23

Il governo ruandese prima ha negato e ora fa il vago, ma le prove sono molte: per esempio ci sono soldati ruandesi a combattere insieme ai miliziani

di Antonella Serrecchia

L'ingresso di una base della missione ONU MONUSCO a Goma, 30 gennaio 2025 (Daniel Buuma/Getty Images)
L'ingresso di una base della missione ONU MONUSCO a Goma, 30 gennaio 2025 (Daniel Buuma/Getty Images)

In un’intervista della settimana scorsa, riferendosi alle ripetute accuse di avere tra le proprie file anche migliaia di soldati del Ruanda, il leader politico del gruppo armato congolese M23, Corneille Nangaa, ha detto: «Non so, non li ho visti. Loro possono avere le loro prove, io dico che non le ho». Con “loro” intende un gruppo di esperti istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2004 per monitorare, tra le altre cose, l’attività dei moltissimi gruppi armati attivi nel Congo e delle loro reti di sostegno. Gli esperti sostengono che il Ruanda appoggi l’M23 dalla prima offensiva che il gruppo armato condusse contro l’esercito regolare congolese nel 2012, e che negli ultimi dieci anni lo abbia aiutato a diventare la milizia organizzata ed efficace che è oggi.

Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha sempre negato queste accuse, ma di recente ha assunto una posizione più ambigua, iniziando a sostenere come Nangaa di non sapere se i soldati del suo esercito stiano combattendo al di là del confine (una cosa improbabile, essendo il comandante in capo delle forze armate).

Secondo gli esperti dell’ONU non solo è vero e comprovato, ma le Forze di Difesa del Ruanda offrono «un appoggio sistematico» e sono «di fatto in controllo delle operazioni» dell’M23. Nei loro rapporti scrivono che questo appoggio avviene in tre modi: diretto, cioè con la presenza di soldati ruandesi in Congo; attraverso l’addestramento delle nuove reclute e con la fornitura di equipaggiamento militare avanzato.

Miliziani dell’M23 a Bukavu, 22 febbraio 2025 (Hugh Kinsella Cunningham/Getty Images)

Il coinvolgimento militare del Ruanda in Congo non è una cosa nuova, e risale ai primi anni Novanta. Storicamente ha a che fare con le ragioni del cruento genocidio su base etnica guidato nel 1994 dal governo degli hutu e dalle milizie alleate: in soli 100 giorni vennero massacrate più di 800mila persone, di cui principalmente tutsi ma anche hutu moderati che si opponevano alle violenze.

Il genocidio terminò quando la milizia guidata da Kagame arrivò nella capitale Kigali e instaurò un governo a maggioranza tutsi. In quel momento moltissimi hutu, tra cui anche i responsabili del genocidio, scapparono in Congo: alcuni di loro si riunirono nelle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda, una milizia hutu attiva ancora oggi e che il Ruanda dice di considerare una minaccia alla propria sicurezza. Da allora il Ruanda ha appoggiato in vario modo le milizie tutsi nella Repubblica Democratica del Congo, tra cui appunto l’M23.

Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda non sono una vera minaccia per governo ruandese, almeno dal punto di vista militare: «sono troppo piccole e troppo lontane», spiega Koen Vlassenroot, docente di Scienze politiche all’Università di Ghent e ricercatore dell’Egmont Institute. «Ma dal punto di vista ideologico sì, perché possono generare paura nella società ruandese». Sostenendo le milizie tutsi nelle regioni orientali del Congo, il Ruanda spera quindi di creare una sorta di zona cuscinetto per proteggersi da eventuali attacchi.

Potrebbero però esserci anche altre ragioni che spingono il Ruanda ad appoggiare l’M23. Una sono le miniere: Kivu Nord e Kivu Sud, le due regioni in cui l’M23 ha conquistato ampie porzioni di territorio negli ultimi tre anni, sono ricchissime di materie prime ricercate sul mercato internazionale. È noto che buona parte di queste estrazioni viene trasferita illegalmente in Ruanda, che le esporta in tutto il mondo.

Un’altra, sottolineata tra gli altri anche da Vlassenroot, potrebbero essere i rapporti sempre più tesi tra il governo di Kagame e quello di Félix Tshisekedi, il presidente della Repubblica Democratica del Congo. Di recente Tshisekedi ha siglato degli accordi in ambito militare e per la gestione di miniere e nuovi progetti infrastrutturali con l’Uganda, storico rivale del Ruanda; inoltre è accusato da Kagame di sostenere le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda e di non ascoltare le richieste dei tutsi congolesi.

Appoggiare l’M23 sarebbe quindi un modo per fare pressione sul governo del Congo e costringerlo a riallinearsi con gli interessi politici ed economici del Ruanda.

– Leggi anche: Da dove arriva l’M23

Secondo i rapporti del panel di esperti dell’ONU, oggi con l’M23 in Congo ci sono tra i 3mila e i 4mila soldati dell’esercito nazionale ruandese. Ci sono molte prove a sostenerlo: fotografie, immagini satellitari e testimonianze delle autorità locali, del personale umanitario, di ex combattenti dell’M23 e di altri gruppi armati che dicono di aver visto uomini con l’uniforme ruandese nelle basi dell’M23 e nei combattimenti. Gli esperti dell’ONU dicono che sono arrivate conferme anche dagli stessi soldati ruandesi.

Oltre a partecipare alle operazioni militari, gli ufficiali ruandesi addestrano i miliziani a muoversi come un esercito regolare: lo fanno in campi appositi, lungo la zona di confine. Uno di questi è quello di Tchanzu, dove solo tra settembre e ottobre dell’anno scorso 3mila nuove reclute hanno completato i cinque mesi di addestramento previsti. Una parte consistente è minorenne: i ragazzi che hanno più di 15 anni vengono formati al combattimento come militari adulti, mentre i più piccoli assistono gli ufficiali svolgendo varie mansioni.

Tra i corsi che seguono ce ne sono alcuni più pratici, per esempio sull’uso delle armi o sulle tattiche di combattimento negli ambienti naturali più selvaggi: altri più teorici, come quelli sulle cosiddette regole di ingaggio (ricevono cioè istruzioni su quando e come usare la forza nelle diverse situazioni in cui possono trovarsi, come fanno gli eserciti e le polizie di tutto il mondo).

C’è poi una parte che l’ONU definisce di «indottrinamento»: corsi sui valori e sugli ideali politici dell’M23, sulla storia, sulle istituzioni e sull’identità del Congo, sul «ruolo delle donne e dei giovani nella rivoluzione», sul patriottismo. Insegnano anche come reclutare nuove persone tra le file del movimento e come raccogliere informazioni che possano tornare utili alla milizia.

Ex soldati delle FARDC (l’esercito regolare del Congo) e uomini della polizia congolese, arresi all’arrivo dell’M23 a Goma, 23 febbraio 2025 (AP Photo/Moses Sawasawa)

L’indottrinamento ideologico è fondamentale soprattutto quando vengono arruolati ex uomini dell’esercito o delle forze di sicurezza congolesi, come è successo a molti dopo la conquista di Goma nel gennaio di quest’anno e anche in passato. Anche se l’esercito congolese è male armato e sottopagato, ha tra i 100 e i 200mila uomini a disposizione: molto di più dei 3mila stimati dell’M23.

Il terzo pilastro dell’appoggio del Ruanda riguarda le armi. Oggi l’M23 può contare su armi più avanzate di quelle che aveva a disposizione dieci anni fa, tra cui alcune armi mai usate prima in territorio congolese, né dall’esercito regolare né dalle altre milizie.

Ci sono prove dell’uso di armi così sofisticate, costose e difficili da trasportare e manovrare che «è altamente improbabile» che l’M23 possa averle avute senza aiuti dall’esterno. «È certamente grazie all’appoggio militare che hanno ricevuto che sono riusciti ad arrivare a Goma», la città più grande tra quelle che hanno conquistato finora, ha detto Clémentine de Montjoye di Human Right Watch.