Lo strano ritardo della maggioranza nel rinnovare le commissioni parlamentari
C'è uno stallo da cinque mesi e gira tutto intorno alla presidenza di quella più prestigiosa, la Bilancio della Camera

Lo scorso ottobre sono finiti i primi due anni della legislatura iniziata dopo le elezioni del 25 settembre 2022. La scadenza è importante, tra le altre cose, per un motivo tecnico: dopo due anni le commissioni parlamentari, cioè i sottogruppi di Camera e Senato che si occupano di materie specifiche, vanno rinnovate, e i loro presidenti rieletti. Così prevede il regolamento delle camere, che comunque consente anche di riconfermare sia i componenti sia i presidenti. Da cinque mesi però questa procedura viene rimandata: il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha già sollecitato i partiti di maggioranza e ha intenzione di tornare a farlo in questi giorni.
Lo stallo è dettato da motivi politici, e ha a che vedere in particolare con le ambizioni di Fratelli d’Italia e le divisioni interne a Forza Italia. Tutti i capigruppo di maggioranza confermano che al Senato non c’è alcuna concreta ipotesi di sostituire i presidenti attualmente in carica, che dunque verrebbero agevolmente riconfermati per un altro biennio. Alla Camera invece la faccenda è più complicata.
Come spesso succede, tutto gira intorno alla presidenza della commissione Bilancio, che è di gran lunga la più importante e prestigiosa di tutte: da lì passano infatti praticamente tutti i provvedimenti per una verifica sulla loro sostenibilità finanziaria, e soprattutto è lì che viene discussa la legge di bilancio e gli altri atti che hanno ricadute sulle casse dello stato. Presiedere “la Bilancio” significa, grosso modo, avere un controllo diretto sullo stanziamento delle risorse pubbliche e sul finanziamento delle varie misure.
L’attuale presidente della commissione Bilancio della Camera è Giuseppe Mangialavori, esponente di Forza Italia, calabrese con origini altoatesine che è arrivato a ottenere quell’incarico in maniera un po’ rocambolesca. Dopo una prima esperienza nel consiglio regionale della Calabria, e dopo quattro anni da senatore tra il 2018 e il 2022, Mangialavori venne proposto da Silvio Berlusconi come sottosegretario allo Sviluppo economico. Ma Fratelli d’Italia si oppose facendo leva, in maniera un po’ strumentale, su alcune vecchie testimonianze di un collaboratore di giustizia che parlavano di presunti legami di Mangialavori con esponenti della ’ndrangheta. Durante un acceso dibattito alla Camera, Francesco Lollobrigida arrivò a dire ai colleghi di Forza Italia che, cercando su Google le parole “Mangialavori” e “’ndrangheta”, venivano fuori risultati poco rassicuranti.
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Forza Italia pensò allora di compensare quel mancato incarico dando a Mangialavori una presidenza di commissione. Si ipotizzò dapprima la commissione Affari sociali, che si occupa per lo più di sanità e rispetto alla quale il deputato calabrese, medico radiologo, poteva vantare una competenza specifica; poi invece per quella fu scelto Ugo Cappellacci, sempre di Forza Italia, e nelle trattative convulse che seguirono Mangialavori ottenne una presidenza ancora più importante: quella appunto della commissione Bilancio.

Giuseppe Mangialavori esce dall’aula del Mappamondo, dove si riunisce la commissione Bilancio della Camera, il 15 dicembre 2022 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Da tempo però i deputati si lamentano del suo modo di condurre i lavori della commissione: a loro dire avrebbe poco polso, scarsa autorevolezza e una conoscenza non troppo approfondita delle questioni di finanza pubblica. Capita spesso, specie tra gli esponenti dei Fratelli d’Italia, che ci si riferisca a lui come al «medico», che è un modo un po’ sprezzante per ricordare i suoi studi e la sua professione lontani dall’incarico politico che gli è stato assegnato. Spesso anche tra i leghisti c’è chi si lascia andare a commenti del tipo «qui ci occupiamo di bilancio dello Stato, non di fratture al menisco», o cose simili.
A volte è stata notata la sua tendenza a non prendere posizione sulle faccende più controverse, o a non assecondare alcune forzature procedurali chieste da Fratelli d’Italia, preferendo piuttosto fare affidamento sui funzionari della Camera. In ogni caso è indubbio che alla base di queste maldicenze ci sia, almeno in parte, anche la malizia di chi vuole delegittimarlo per propiziarne la sostituzione.
Fratelli d’Italia può contare anche sul fatto che Mangialavori appartiene alla corrente attualmente minoritaria di Forza Italia, quella che fa capo a Licia Ronzulli e a Giorgio Mulè, e che si oppone a quella del segretario Antonio Tajani: per questo, nelle trattative finora solo abbozzate, i membri di FdI hanno lasciato intendere che vedrebbero con favore la promozione di Mauro D’Attis o Roberto Pella, due colleghi di partito di Mangialavori. Una soluzione di questo genere però innescherebbe grosse rimostranze dentro Forza Italia, e per questo il capogruppo alla Camera Paolo Barelli, molto vicino a Tajani, per ora ha rassicurato i suoi colleghi che non le prenderà in considerazione.
Nel momento in cui si decidesse di rimuovere Mangialavori comunque non è affatto detto che Fratelli d’Italia rinuncerebbe a promuovere un proprio esponente: Ylenia Lucaselli e Giovanni Cannata sono tra i principali candidati, ma non gli unici che aspirano all’incarico. Altre ipotesi di cui parla alla Camera, ancora più azzardate, prevedono trasferimenti di altri presidenti di commissione, in un rimescolamento generale degli incarichi che però sarebbe molto difficile da gestire, per Meloni, senza alimentare le rivendicazioni di Matteo Salvini.
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La questione della Bilancio è anche più complicata di così, perché s’intreccia con un’altra faccenda rilevante: quella dell’attribuzione dei posti vacanti nel governo. La legge stabilisce che tra ministri, viceministri e sottosegretari non possano esserci più di 65 persone, e Meloni le aveva inizialmente nominate tutte. Ma col tempo, per via delle dimissioni di Augusta Montaruli e di Vittorio Sgarbi dai ministeri di Università e Cultura, e dopo il trasferimento del viceministro dei Trasporti Galeazzo Bignami nel ruolo di capogruppo alla Camera, si sono creati di fatto tre vuoti che potrebbero essere riempiti. Meloni potrebbe insomma decidere di offrire alcuni posti di governo a Forza Italia come compensazione per la commissione Bilancio, prendendone la presidenza.

Un facchino porta in commissione Bilancio del Senato i fascicoli della manovra finanziaria, il 31 ottobre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Un vecchio adagio della politica romana vuole infatti che la presidenza della Bilancio valga più di un sottosegretario, e in certi casi più di un ministro. E in più, secondo una regola di alternanza col Senato, dovrebbe essere proprio la commissione Bilancio della Camera a gestire l’ultima legge di bilancio della legislatura, nel 2027, che è sempre quella più delicata perché serve ai partiti di governo per preparare la campagna elettorale con misure di grande consenso. Non a caso su quell’incarico si concentrano sempre le maggiori divisioni nei casi in cui si riassegnino le presidenze di commissione.
Nella scorsa legislatura la faccenda fu per certi versi clamorosa. Nell’estate del 2019 il governo cosiddetto “giallorosso”, quello composto da PD e M5S, subentrò a quello “gialloverde”, sostenuto dal M5S e dalla Lega: li guidava entrambi Giuseppe Conte, ma erano di orientamento opposto. Se però il governo di centrodestra era stato sostituito da uno di centrosinistra, le presidenze di commissione erano rimaste quelle dell’inizio della legislatura, e pertanto alcune di loro erano occupate da esponenti leghisti: un fatto che generò in certi momenti grosse tensioni tra governo e parlamento. La Bilancio della Camera era guidata da Claudio Borghi, rappresentante dell’ala radicale del partito di Salvini, convinto no-Euro e antieuropeista. Il PD propose di sostituirlo con un suo deputato che era, al contrario, una figura molto moderata e di grande esperienza istituzionale, Fabio Melilli.
Tutti nella maggioranza erano contenti di questo cambio di orientamento, ma Italia Viva di Matteo Renzi rivendicò per sé quell’incarico per Luigi Marattin. Si arrivò così, con una maggioranza frammentata, a un voto molto tribolato in cui né Borghi né Melilli ottennero la maggioranza assoluta dei voti al primo voto tra i componenti della commissione, e si dovette procedere, come prevede il regolamento, al ballottaggio. Il compromesso si trovò in extremis: a Marattin fu assegnata la presidenza della commissione Finanze, meno prestigiosa della Bilancio ma pur sempre molto importante, e solo a quel punto, in un pomeriggio molto concitato, Italia Viva diede i propri voti a Melilli, che risultarono essenziali per la sua elezione.