Il leader dell’M23 ha sempre fatto la guerra
Sultani Makenga ha iniziato a combattere da ragazzo, prima in Ruanda e poi in Congo: oggi guida il gruppo armato che da qualche settimana controlla la città di Goma

All’inizio del 2013, poco dopo aver guidato la prima offensiva dell’M23 contro l’esercito della Repubblica Democratica del Congo, Sultani Makenga, il leader militare del gruppo, descrisse così la sua storia, in una rara intervista pubblicata sulla rivista New African: «La mia vita è una guerra, la mia formazione è la guerra, il mio linguaggio è la guerra». All’epoca l’M23 era un gruppo armato nato da appena tre anni come frangia oltranzista di un’altra milizia che aveva accettato di abbandonare la lotta armata e diventare un partito politico.
Makenga però non crede nella lotta politica, come ha detto lui stesso: «Sono un soldato, e l’unica lingua che conosco è quella delle armi». E in effetti per buona parte della sua vita ha partecipato a guerre e insurrezioni, anche se non nello stesso paese: prima in Ruanda e poi nella Repubblica Democratica del Congo.
Oggi in Congo l’M23 è il gruppo militare più organizzato, disciplinato e militarmente efficace tra tutti quelli che combattono contro il governo centrale. Negli ultimi mesi è avanzato nelle regioni attorno al lago Kivu, un grande bacino sul confine con il Ruanda, paese che come è stato ampiamente dimostrato aiuta il gruppo in molti modi. Ancora oggi Makenga continua a dirigere le operazioni militari.
Di Makenga si sa poco, a parte il fatto che combatte da decenni. È nato il giorno di Natale tra le colline della regione di Kivu Nord e molto probabilmente è cresciuto in un campo profughi nella zona del Rutshuru. La questione etnica è stata centrale nella sua vita. I suoi genitori erano Banyarwanda (che significa “originari del Ruanda), una comunità ruandofona che vive in Congo da moltissime generazioni, ma che spesso ha subìto e continua a subire discriminazioni.
Makenga è un tutsi, uno dei due principali gruppi etnici della regione dei Grandi Laghi, che comprende tra gli altri anche Repubblica Democratica del Congo e Ruanda. L’altro è quello degli hutu. Tra i due esiste una rivalità radicata, alimentata da una serie di politiche razziste e divisive dell’epoca coloniale, che causarono scontri per decenni e che, a metà degli anni Novanta, in Ruanda sfociarono in una guerra civile.
All’epoca Makenga aveva 17 anni e decise di abbandonare la scuola, lasciare il Congo e unirsi al Fronte Patriottico del Ruanda, la milizia tutsi ruandese che combatteva contro il governo degli hutu a Kigali, la capitale. Il Fronte Patriottico del Ruanda era comandato dall’attuale presidente ruandese Paul Kagame, che alla fine della guerra civile riuscì a prendere il controllo della capitale Kigali e vincere la guerra.
Pochi mesi dopo gli accordi di pace però Juvénal Habyarimana, il presidente del governo di transizione di etnia hutu fu ucciso in un attentato, e dell’omicidio furono accusati i tutsi. Fu così che iniziò uno dei genocidi più cruenti del secolo scorso. Tra aprile e luglio del 1994 più di 800mila tutsi, considerati responsabili dell’attentato, vennero massacrati insieme agli hutu contrari al genocidio.

Ribelli del Fronte Patriottico del Ruanda, aprile 1994 (Patrick Robert/Sygma/CORBIS/Sygma via Getty Images)
Il genocidio fu un evento decisivo per molti ragazzi della generazione di Makenga, che nei decenni successivi militò in varie milizie tutsi con l’obiettivo dichiarato di difendere la propria comunità dalle violenze degli hutu.
Negli anni passati a combattere, Makenga si fece conoscere per essere un abile militare e un ottimo tiratore. Un ex compagno di battaglia lo descrisse come «uno molto bravo nelle imboscate». Anche nell’esercito regolare del Ruanda, dove venne integrato per qualche anno dopo la fine della guerra civile, fece una discreta carriera, soprattutto considerato che non era ruandese, ma congolese. I pochi giornalisti che lo hanno incontrato lo hanno descritto come un uomo imponente ma riservato, di poche parole, che non ama apparire in pubblico.
Makenga cominciò a essere noto anche fuori dalla regione dei Grandi Laghi nei primi anni Duemila. Allora faceva parte del Congresso nazionale del popolo, un gruppo armato che aveva combattuto e perso una guerra durata cinque anni contro l’esercito del Congo per il controllo delle regioni attorno al lago Kivu. Sono zone ricchissime di miniere, da cui si estraggono minerali molto ricercati sul mercato internazionale e che hanno molto a che fare con le ragioni delle guerre del Congo.
Makenga fu tra gli ufficiali che contestarono l’attuazione degli accordi di pace che misero fine alla guerra tra il governo centrale e il Congresso nazionale del popolo. Con gli accordi, il gruppo accettava di essere smantellato e di venire integrato nell’esercito regolare congolese. Insieme ad altri, Makenga decise di continuare a combattere e fondò l’M23 (che prende il nome dal 23 marzo 2009, la data degli accordi). Non si sa esattamente perché lo fece, ma è possibile che c’entrassero anche le mire che aveva sulle ricchezze del Kivu.
«Esistono due versioni sulla sua storia. La prima ti dice che lui è uno che è cresciuto all’interno di un ambiente in cui l’importanza del sentimento etnico tutsi lo ha guidato a rompere le righe col suo vecchio movimento» spiega Luciano Pollichieni, analista del centro studi Med-Or. «L’altra, più prosaica ma probabilmente più veritiera, è quella che lui e altri ufficiali del Congresso nazionale del popolo siano stati tagliati fuori dalla possibilità di gestire quel bottino legato alla violenza armata del Congo, quindi il commercio dei minerali e altro».

Un soldato della missione di peacekeeping dell’ONU di stanza nella Repubblica Democratica del Congo, 26 luglio 2007 (Photo by Brent Stirton/Getty Images)
Dalla sua fondazione, l’M23 ha condotto due grosse offensive contro il governo congolese: la prima nel 2012, l’altra nel 2021, di fatto in corso ancora oggi. In quei nove anni l’M23 è cambiato molto: se prima era un gruppo ribelle disorganizzato, violento e predatorio, ora è organizzato e gestito quasi al pari di un esercito regolare.
Secondo diverse prove raccolte dall’ONU e da vari governi, molto è dovuto all’appoggio del Ruanda, che all’M23 fornisce uomini, addestramento e attrezzature avanzate. Ma «Makenga è stato in grado di accompagnare questa trasformazione», dice Pollichieni, e trasformare il gruppo in una milizia più sofisticata.
Insieme ai successi militari, in questi anni alla guida dell’M23 si sono accumulate anche le notizie delle violenze commesse dagli uomini di Makenga, che ha ricevuto sanzioni dalle Nazioni Unite e da vari governi occidentali. Secondo i rapporti dell’ONU, da comandante operativo dell’M23 ha ordinato l’esecuzione di prigionieri di guerra e di reclute in fuga, l’uccisione e la mutilazione di civili, lo stupro sistematico, il rogo di case e il reclutamento di bambini tra le file del gruppo paramilitare. Makenga ha sempre respinto ognuna di queste accuse.
Domenica il governo del Congo ha emesso una taglia dell’equivalente di oltre 4,5 milioni di euro su di lui e altri due leader dell’M23: tutti e tre erano stati processati in contumacia da un tribunale militare nel 2024 e condannati alla pena di morte per tradimento. È comunque attualmente molto improbabile che vengano arrestati.
Ora non è chiaro quali siano gli obiettivi della milizia: dopo aver preso il controllo di Goma e Bukavu a gennaio, due grosse città intorno al lago Kivu, il capo politico Corneille Nangaa ha detto che l’M23 punta a Kinshasa, la capitale, 1.500 chilometri più a ovest. Secondo la maggior parte degli osservatori è decisamente improbabile che ci riesca, perché il Congo è un paese enorme e l’appoggio che il gruppo armato ha nel Kivu non lo troverebbero altrove. Makenga non ha espresso posizioni in merito.